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Computer quantistici più vicini Il futuro del calcolo in un chip

Ultimo Aggiornamento: 26/12/2011 17:33
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26/12/2011 17:33

Chissà se, tra cinquant'anni, i nostri figli e i nostri nipoti rideranno di noi, guardando le fotografie dei primi computer quantistici. L'idea di costruire dei computer utilizzando i fenomeni tipici della meccanica quantistica è in giro dall'inizio degli anni Ottanta, ma mai fino a questo momento si era materializzata in un processore capace di aprire la strada alle sue infinite possibilità. Il concetto, spiegato più dettagliatamente in questa scheda (link), ha del rivoluzionario: moltiplicare a dismisura la capacità computazionale di una macchina, abbandonando il dualismo dei bit e affidandosi ai ben più camaleontici quantum bit, come è stata chiamata l'unità d'informazione del nuovo paradigma.
Uno dei luoghi in cui da anni si lavora a rendere possibile il "quantum computing" (questo il suo nome ufficiale) si trova all'Università di Bristol, nel Regno Unito, ed è il Centro per la Fotonica Quantistica diretto da Jeremy O'Brien. In questi laboratori un gruppo di ricercatori guidato da Peter Shadbolt è riuscito a creare il primo oggetto a poter essere considerato un processore riconfigurabile che lavora su stati quantistici. In parole semplici, il mattone di base di cui saranno fatti i quantum computer destinati a rivoluzionare buona parte del nostro modo di trattare ed elaborare le informazioni. E poiché gli italiani sono ovunque, non potevano mancare anche qui, sotto il cielo grigio ma ricco di novità di Bristol. Pronti a partire per nuove avventure ma anche - sperano -a tornare un giorno in Italia.

Il mattone dei quantum computer. Il frutto del loro lavoro, pubblicato su Nature Photonics, consiste in un chip ottico capace di generare, manipolare e misurare due fenomeni chiave per il decollo dei computer quantistici. "Il primo si chiama entanglement o correlazione quantistica", ha spiegato a Repubblica. it Alberto Politi, 30 anni (di cui gli ultimi 5 passati a Bristol), una laurea in Fisica all'Università di Pavia e un biglietto in tasca per andare a continuare la sua attività di ricerca a Santa Barbara, in California.
Si tratta di quel fenomeno che Einstein non riusciva a spiegarsi e che in una lettera a Born definì "spukhafte Fernwirkung" ("spaventosa azione a distanza"), in base al quale due particelle anche lontane sono talmente "ingarbugliate" tra loro che lo stato quantistico di una non può essere descritto senza tenere conto dello stato dell'altra. L'altro fenomeno, invece, è denominato mixture: un effetto spesso non voluto derivante dall'interazione con l'ambiente, ma che ora, grazie alla scoperta fatta a Bristol, può essere controllato e usato per caratterizzare circuiti quantistici.

La meccanica quantistica in un processore. "Il pregio più grande del nostro chip è di aver reso possibile il controllo e la manipolazione di questi due fenomeni su un dispositivo di piccole dimensioni", ha commentato Alberto Peruzzo, 33 anni, laureato a Padova in Ingegneria Informatica. Il chip, infatti, misura solo 7 cm per 3 mm ed è stato fabbricato con una tecnologia al silicio che è compatibile con i processori che troviamo nei computer tradizionali. "Ciò vuol dire - ha proseguito Peruzzo - che l'approccio potrà essere facilmente trasferito su scala industriale, quando avremo superato le barriere tecniche che ancora ostacolano l'ascesa del quantum computing".

Come funziona. Già ora il processore quantistico sviluppato a Bristol riesce a svolgere diversi esperimenti che normalmente verrebbero eseguiti su una superficie paragonabile a una grande tavola da pranzo. Alla vista si presenta come una rete di piccoli canali che guidano, manipolano e interagiscono con i singoli fotoni. "La generazione delle particelle di luce avviene a partire da un potente fascio laser che viene fatto incidere su un cristallo non lineare", ha spiegato il terzo degli italiani coinvolti, Mirko Lobino, laureato in Ingegneria Nucleare al Politecnico di Milano e arrivato a Bristol nel 2009 con una borsa di studio dell'Unione Europea. "A questo punto, grazie a degli elettrodi riconfigurabili inseriti nel circuito, possiamo generare, manipolare e correlare coppie di fotoni, producendo così ogni possibile stato di ingarbugliamento di una coppia e ogni stato miscela di una singola particella di luce".

La svolta della programmabilità. A fare la differenza tra questo chip e i suoi predecessori quantistici è in sostanza la complessità ("almeno dieci volte superiore", spiegano i ricercatori) e il fatto di poter essere riprogrammato per svolgere diversi compiti. "L'obiettivo finale è la costruzione di un computer che sarà molto, molto più potente e veloce rispetto a quelli che conosciamo oggi", ha ribadito Peruzzo. "Manipolando il sistema, infatti, è possibile svolgere un'operazione matematica simultaneamente su tutti gli stati di un quantum bit. Più cresce il numero dei qubit, più la capacità di elaborazione aumenta in modo esponenziale".

Le applicazioni più vicine, tra crittografia e simulazioni. Come spesso avviene per le grandi trasformazioni, è difficile prevedere in anticipo quali saranno gli utilizzi e la distribuzione dei computer quantistici. Per ora sono chiare alcune applicazioni, tra cui spiccano il settore della crittografia e quello delle simulazioni. "Una prima applicazione possibile riguarda il cosiddetto algoritmo di Shor, che permette di fattorizzare numeri molto grandi", ha detto Lobino. "Questo algoritmo è alla base della crittografia moderna, per cui un computer quantistico potrebbe de-crittografare i messaggi sicuri che ci scambiamo oggi su internet".
L'applicazione più rilevante, però, consiste nella possibilità di "simulare sistemi quantistici virtualmente in tutti i campi della scienza, dall'ingegneria dei materiali alla farmaceutica". "Pensiamo ad esempio alle molecole", ha continuato Lobino. "Oggi non è possibile studiare in maniera precisa il comportamento delle singole molecole: sono sistemi talmente complessi che un computer normale non può simulare, mentre un processore quantistico sì".

L'incognita tempo. Ancora non si sa quanti anni ci vorranno prima che i computer quantistici diventino parte del nostro panorama tecnologico più o meno quotidiano. "Tutto dipenderà da cosa vorremo fare", ha spiegato Peruzzo. "Le prime applicazioni pratiche dovrebbero arrivare nel giro di cinque-dieci anni, quando i computer quantistici potrebbero essere già in grado di svolgere calcoli ora impossibili anche per i supercomputer".
È ancora presto, insomma, per dire se tra mezzo secolo i nostri figli utilizzeranno computer quantistici come macchine capaci di fare un po' tutto, magari meravigliandosi di fronte ai nostri scogli tecnici di oggi. "Queste cose sono impossibili da prevedere", ha concluso Lobino, che l'anno prossimo lascerà Bristol per partire alla volta di Brisbane, in Australia. "Gli ingegneri che hanno costruito il primo computer pensavano di venderne due o tre e che ci sarebbero state una decina di macchine in tutto il mondo, visto che un singolo computer a quel tempo occupava una stanza intera. Oggi possiamo immaginare che forse il quantum computer non sostituirà il computer tradizionale in tutte le sue applicazioni, ma verrà utilizzato da quegli enti e quelle persone che hanno l'esigenza di risolvere determinati tipi di problemi". "Però chissà..." - e i tre si guardano con un accenno di sorriso. "Magari un giorno saremo i primi a ridere di noi, mentre ci porteremo a casa un quantum personal computer".



di GIULIA BELARDELLI
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