P2P, la Corte Suprema USA dà ragione alle major
Sonora sconfitta dei produttori di software di scambio:
il massimo tribunale statunitense riduce a stelle e strisce la loro difesa.
La battaglia è vinta dagli studios di Hollywood,
ma la guerra è ancora tutta da combattere
Washington (USA) - Non si parla d'altro ormai da alcune ore: è giunta ieri pomeriggio l'attesissima sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti su un caso-cardine nell'annosa lotta delle major di Hollywood contro il peer-to-peer.
Nel celeberrimo procedimento che oppone
MGM e soci ai produttori di
Grokster e Morpheus, infatti,
la Corte ha dato torto a questi ultimi, che pure si erano aggiudicati i primi due gradi del processo.
La sentenza della Corte è stata unanime:
le due società del P2P hanno distribuito i propri software allo scopo specifico di
lucrare sulle violazioni al copyright che avrebbero commesso i loro utenti.
Questo sarebbe dimostrato anche dagli slogan con cui questi programmi sono spesso stati diffusi (cose come "scarica tutta la musica che vuoi", o "trova tutti i film che vuoi rivedere").
Per questa ragione, i massimi giudici non solo considerano le due softwarehouse
colpevoli di favoreggiamento dell'abuso di massa del diritto d'autore, ma letteralmente
corresponsabili delle violazioni poste in essere.
Ora tutto il procedimento tornerà alla Corte d'Appello, che dovrà rivedere il proprio giudizio sul caso sulla base della sentenza della Corte Suprema.
Secondo quest'ultima, dunque, "chi distribuisce un prodotto con lo scopo di promuovere il suo uso per violare il copyright, come dimostrato da espressioni evidenti o altre attività condotte per favorire la violazione, è responsabile per gli atti conseguenti di violazione commessi da terze parti".
I giudici hanno anche chiarito perché il caso MGM vs. Grokster e Morpheus
differisce in modo sostanziale da quello che a suo tempo contrappose Sony a Universal sul caso del sistema di videoregistrazione
Betamax.
"La Corte d'Appello - spiegano i giudici - ha interpretato il caso Sony nel senso che quando un prodotto può essere utilizzato per fini legali allora il produttore non può mai essere considerato responsabile in solido per gli abusi commessi nell'uso da terze parti.
Questa visione del caso Sony è però un errore". In sostanza, dunque, anche se vi è un potenziale uso legale questo non giustifica la diffusione di un prodotto pubblicizzato per diventare strumento di violazione.
Quindi, ha spiegato la Corte, il caso di Sony non sembra evitare ai servizi di file sharing le proprie responsabilità. Secondo i giudici "nulla nel caso Sony impone ai magistrati di ignorare l'evidenza dello scopo (...)".
Inoltre, hanno spiegato i magistrati, le prove indicano che le due società hanno compiuto azioni "allo scopo di consentire atti di violazione, e che le violazioni hanno avuto luogo utilizzando i prodotti distribuiti".
Come si vede, dunque,
non si tratta di una condanna del P2P in sé, ma del modo in cui le due imprese hanno agito, promuovendone l'uso illegale.
In particolare, "ciascun imputato ha dimostrato di voler sfruttare una domanda nota di violazione del copyright, lo stesso mercato che comprendeva gli utenti del primo Napster" (...) "Questo è ulteriormente dimostrato dal fatto che nessuna delle due imprese ha tentato di sviluppare strumenti di filtering o altri meccanismi capaci di ridurre le violazioni condotte tramite il loro software".
Ma i massimi giudici non si sono fermati qui. Attaccando specificamente lo
scopo di lucro delle due imprese sotto processo, hanno spiegato che "dal momento che
l'ampiezza dell'utilizzo del software determina i guadagni di chi lo distribuisce (ciò dipende dall'adware e dagli spot legati ai software, ndr), il senso commerciale di questa attività è spingere per un uso di massa, ovvero verso una violazione" (di massa).
In definitiva, dunque, la Corte ha ribaltato le sentenze precedenti: "Ci sono prove sufficienti a favore di MGM su tutti i capi d'accusa, e il primo giudizio in favore di Grokster e Streamcast (che produce Morpheus, ndr.) è stato un errore".
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Secondo il presidente del celebre
gruppo pro-diritti digitali Public Knowledge, Gigi B. Sohn, "la decisione della Corte (...) sottolinea un principio che da sempre Public Knowledge promuove, quello di punire chi abusa e non la tecnologia". Dunque, questa sentenza significa che "se i fornitori di tecnologia P2P non incoraggiano intenzionalmente la violazione allora sono esenti da una responsabilità diretta". Ma, a detta di Sohn, il dato più importante è che la Corte abbia "riconosciuto che ci sono usi legali della tecnologia P2P, inclusa la distribuzione di file elettronici".
Secondo lo stimolante
Picker Moblog, se la Corte avesse dato ragione alle due società la questione della legalità del P2P sarebbe probabilmente stata inserita all'Ordine del Giorno del Congresso, con conseguenze potenziali assai più pesanti per l'intero mondo del file sharing.
In queste ore sono molte le reazioni alla sentenza che appaiono in rete,
un buon punto di osservazione per seguirle è fornito da CopyDown.
La sentenza, in formato pdf, è invece disponibile QUI
Da Punto Informatico.......
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.