Il mondo si gusta viaggiando. Almeno per quanto mi riguarda, secondo il mio umile punto di vista.
Me lo godo a piccoli morsi ogni volta che finisco in un altro mondo. Come una porzione di sushi al salmone. A ognuno il suo appagamento sessual-papillo-gustativo. Alla faccia della globalizzazione il “lontano”, il “diverso”, il “nuovo”, ha ancora il singolare potere di stupirmi, di farmi sgranare gli occhi e sospirare. Instagram non mi basta come finestre sul mondo.
Londra in particolare, in Europa, ha il dono di rimettermi in pace coi numeri delle grandi città, col traffico, coi colori stagionali, con i social, e con la moda.
Da questo punto di vista la capitale del Regno Unito mi affascina sempre. La moda. Il vintage, i negozi di “bizzarrerie”ad ogni angolo, le calze di seta, i cappelli di feltro, maculati, leopardati, a scacchi. Sotto il regno della “Regina coi piombini alla sottana” le donne sono palesemente diverse da noi. Calme signore, calme. Nessuno qua sta dicendo che l’erba del vicino è più verde. A me le pulzelle dello stivale, le nostrane fanciulle, donne, mamme e nonne che siano, aggradano molto. Le sobrie, eleganti, raffinate e precise italiane sono nel mio cuore nonostante l’isteria, il prendersi troppo sul serio, il prendere tutto troppo sul serio, e il fare più incazzato di altre cittadine europee. Avete ragione. Le altre non hanno “GLI” italiani. Il maschio malato di esterofilia per eccellenza. L’uomo che non contempla nemmeno vagamente l’ipotesi di accontentarsi e che non ci perdona il tempo che passa.
Ma avete ragione di nuovo: sto divagando come al solito, e generalizzando. Ma torniamo a noi, al “Britannico animale femminile” dotato di tutta una strana, inquietante, serie di “differenze” ammirabili, affascinanti, e molto visibili. Le donne inglesi, più degli uomini, colpiscono l’attenzione. Il venerdì sera londinese vede, sparsi in giro per le strade, branchi di donzelle, brucanti, scalpitanti e variopinti. La maggior parte di questi esotici esemplari, incredibilmente agghindati a festa e rumorosi come un plotone di fanti al galoppo, catturano lo sguardo del turista più di quanto facciano le guardie della regina impettite, fiere e solenni davanti a Buckingham Palace.
Qualche sera fa, a “Leicester square” mi sono imbattuta per sbaglio in un gruppetto particolarmente “esuberante” di pascolanti ed esaltatissime “squinzie”di sua maestà : la divisa d’ordinanza prevedeva chignon alti e paffuti, cotonature che non vedevo dalle foto compromettenti di mia madre negli anni ’80, make up impegnativi e arzigogolati come manco Clio Make-up nei suoi giorni migliori, e una serie non meglio identificata di giacche con stampe e richiami tribal-etnico-metropolitani. Così cariche di accessori di ogni tipo che se si fossero azzardate a passare sotto un metaldetector, sarebbe scattato l’arresto preventivo a prescindere dalle intenzioni. Tacchi altissimi, troppo alti per una qualunque italiana affezionata alla propria capacità motoria, stravaganti, difficilmente descrivibili, e una bottiglia di Vodka dal colore rossastro malamente nascosta in una borsa. Chiassose, “ridanciane”, felici di essere al mondo e per nulla fuori luogo. Accanto a loro, e dietro di loro continuavano a passare credibilissimi gruppetti di pin-up tatuate, scarpe improbabili, capelli curati, calze velate, guantini (non credo d’aver mai visto una ragazza di vent’anni andarsene in giro per il mondo con dei guantini di pizzo e un cappellino con veletta calato in testa con cura e amore), accompagnate da ragazzi con ancora addosso le divise, ormai stropicciate, del college, ventenni rampanti senza la divisa del college ma in giacca e cravatta, ragazzi con “facce da mafiosi” del ghetto come solo nei film vediamo, in kilt e felpone della “Nike” e ragazzotti che con baldanza affrontano il freddo di gennaio in maniche corte, birra e sciarpa. Sono giunta alla conclusione che in Inghilterra “la birra” sia da considerarsi addirittura “accessorio unisex ed economico”. Sì lo so, che sa di luogo comune e diceria popolare, ma l’amore che la maggior parte degli uomini inglesi nutrono per la birra è quasi commovente e profondamente sincero.
Ma tornando al nostro studio comparato sulla femminilità inglese vorrei portare l’attenzione della futura turista su una cosa: il coraggio. O il menefreghismo camuffato da coraggio, che molte di queste giovani dimostrano agghindandosi come “befane osè” e spesso e volentieri mezze nude. Prima di farvi guastare la loro immagine da scene penose come i loro disperati e annaspanti ritorni barcollanti verso casa, guardatele all’inizio di una eventuale serata: ai nostri occhi sono eccentriche, vestite in modo buffo, visibilmente confabulanti. Ma quello che invidio a molte di queste ragazze è una , almeno apparentemente, non indifferente libertà: grasse, magre, belle, brutte, nere, asiatiche, bianche, tutte seguono il loro gusto personale, più o meno fregandosene della loro fisicità, seguendo gli stili e le ere della moda in cui si trovano meglio con loro stesse. Libere di valorizzare i chili di troppo, di andare fiere e tronfie come galline del proprio essere “curvyliscious”, libere di vestirsi come ritengono più opportuno a qualunque ora del giorno e della notte, senza un “triste mietitore” nato per svilirti.
I concittadini di queste eroine occasionali dalla personalità impazzita tendono a farsi i fatti loro. Londra “by night” è un susseguirsi di bellezze auto-valorizzate al massimo, infilate in cappotti vintage anni quaranta abbinati a scarpe con zeppa lilla e gialle , il tutto accompagnato da azzardi stilistici che vanno dalla punta dei capelli alla punta di un paio di scarpe spesso definibili con un’unica parola: audaci.
La Londra “by Day” non cambia. Originale, eccentrica, alla mano, un po’ diffidente. E sotto i cappottini “da giorno,” si intravedono spesso mini-dettagli, che fanno della Londinese media una sorta di Batman a difesa di un concetto fondamentale: la donna con la gonna.