MILANO, 29 dicembre 2005 - Fa caldo a Miami. Ventisei gradi. Ma a Milano, nonostante la neve, il clima calcistico è anche più arroventato. Il matrimonio-lampo fra Juve e Mediaset, con una dote di 248 milioni di euro, ha scatenato un uragano di polemiche che arriva fino in Florida, dove il presidente di Lega Adriano Galliani passa «i primi giorni di vacanza da un anno, causa calcio». Bombardamenti telefonici, nonostante gli indispensabili filtri, gli hanno fatto arrivare un’ondata di critiche. Si fatica a entrare in argomento. «Ho ancora negli occhi — dice il dirigente — lo spettacolo della partita Nba che ho visto alla American Airlines Arena fra Miami e Milwaukee. Che fenomeno quel Dwyane Wade, una guardia eccezionale. E fra i Bucks ho rivisto il vecchio Kukoc...». D’accordo, ma ora dobbiamo parlare di un altro show.
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Signor Galliani, il suo destino di presidente della Lega è quello di oscillare fra due giudizi opposti: provvidenziale e vergognoso. In questi giorni, secondo Zamparini, siamo tornati alla vergogna.
«Sempre il solito Zamparini. Fortunatamente la Lega non è composta soltanto da lui. La stragrande maggioranza dei presidenti è stata ed è con me. Sentiteli pure. Vergogna? Come presidente io ho fatto in modo che il valore della parte collettiva dei diritti del calcio passasse in un anno da 100 a 150 milioni di euro. Un balzo del 50%. Trovatemi un’altra azienda italiana di queste dimensioni che proponga un bilancio del genere».
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Come giustifica allora la levata di scudi contro di lei dopo il maxi accordo Juve-Mediaset?
«Chi strilla ha più spazio sui media, è sempre stato così. Ma quella che chiamo maggioranza silenziosa in seno alla Lega mi dà atto del lavoro che svolgo. Riguardo la distribuzione nell’ambito della serie A dei 40 milioni da ripartire, una commissione di 5 saggi, fra cui Zamparini, aveva trovato un accordo che non è passato nell’ultima assemblea, causa pausa di riflessione chiesta e ottenuta da Della Valle».
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Ma perchè non ha messo sull’avviso tutti di ciò che stava maturando sul fronte Juve?
«Non ho partecipato ad alcuna trattativa. Ero al corrente della sua esistenza e dell’opzione Mediaset come tutti. Ma non sono stato avvertito della conclusione dell’accordo. E anche se lo fossi stato, sarei stato zitto. Infatti non avrei potuto occuparmene proprio come presidente della Lega: qui si parla di diritti soggettivi. Ripeto: soggettivi. C’è una legge dello Stato a riguardo, è dal 1999 che vale questo sistema. Può piacere o no, ma è così».
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Ora si dà per scontato che Milan, Inter e probabilmente Roma seguano a ruota dopo la Juve.
«Non c’è niente di scontato. E’ noto che sussiste un’opzione sulle quattro grandi. C’è ancora molto tempo per Mediaset per farla valere. Può darsi che la trattativa si prolunghi. Io devo fare gli interessi del Milan e potrebbe aprirsi un confronto duro, serrato.»
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Via, presidente Galliani: chi può credere che lei, un ex uomo-Mediaset e un collaboratore diretto di Berlusconi, possa trovarsi in difficoltà a trattare con quell’azienda? Il troppo è troppo.
«Non ci crederà nessuno, ma è esattamente così. Chi ironizza, tenga presente che io la faccia me la gioco sui destini del Milan, non su quelli di Mediaset. Che io ho salutato con dispiacere e fra tanti dubbi nel ’98 dopo essere stato a lungo amministratore delegato. Non si lascia a cuor leggero una delle prime 10 aziende italiane, quotata in Borsa. Ero incerto. Ricordo che mi diede una spinta decisiva mio figlio Gianluca, ricordandomi che in casa m’aveva sempre sentito parlare di calcio e quindi... Il Milan, lo giuro, non ha nemmeno cominciato la trattativa con Mediaset e non è detto che quando comincerà si concluderà rapidamente. Io amo alla follia il Milan e devo fare gli interessi del club».
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Già. Ma c’è anche la sua presidenza di Lega. Altra veste. In quei panni dovrebbe promuovere l’intero sistema-calcio italiano. Non crede che il modello dell’accordo Juve scavi un baratro fra le grandi e le medio-piccole e che questo sia la rovina del campionato?
«Gli accordi soggettivi una rovina? Oggi le grandi sono tenute a ridistribuire circa 20 milioni all’anno dei loro introiti dai diritti. E’ il cosiddetto "stadio virtuale": il 18% (che l’anno prossimo dovrebbe diventare 19%) di tutti i diritti soggettivi viene ceduto alla squadra ospite. Più le grandi incassano, più gli altri club ricevono. In realtà i maggiori ricavi della Juve andranno a vantaggio di tutti».
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Sembra la riedizione della famosa battuta di Agnelli "quel che va bene per la Fiat va bene per l’Italia". Ora lei dice che ciò che va bene per la Juve, e per le altre grandi, va bene per l’intero calcio italiano.
«Guardi, in seno alla Lega ci sarà fortissima dialettica, magari battaglia. Può darsi che quel 18 o 19%, che a me sembra già tanto, venga messo in discussione. Vedremo».
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Lei dice: la legge è questa e ci comportiamo di conseguenza. Ma almeno non ritiene che sia auspicabile un cambio di regole e un ritorno alla cessione collettiva dei diritti?
«Il modello italiano funziona. Nei campionati europei maggiori ci sono altri assetti: ad esempio in Spagna i diritti sono totalmente soggettivi e non esiste mutualità. In Inghilterra sono collettivi ma non c’è mutualità sugli incassi-stadio. E se guardate bene, cambiano le regole, ma alla fine dovunque vincono più o meno sempre le stesse squadre. Dunque non è la nostra legge attuale a premiare le grandi. La Juve è la Juve per gli 80 anni di investimenti degli Agnelli. E lo stesso si dica per il Milan con i 20 anni di Berlusconi e prima con quelli di Rizzoli e di altri. Così come la famiglia Moratti per l’Inter. Quegli sforzi hanno portato all’affermarsi dei brand, dei marchi. E’ la storia, non altro».
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Insistiamo: se il divario in Italia si allarga a dismisura, alla lunga la Serie A perderà d’interesse e di credibilità. Non è che il gigantesco affare televisivo prefiguri uno sganciamento dal campionato nazionale per disegnare nuovi scenari di tornei europei?
«Ma scherziamo? La Juve incasserà da Mediaset quei soldi perchè ha venduto le 19 partite interne del campionato italiano, non altro. Vedo semmai una valorizzazione del prodotto. E poi, l’Osasuna non è a 2 punti dal Barcellona nella Liga? E il Villarreal non ha appena vinto il suo girone di Champions? Il denaro è soltanto una delle componenti del successo nel calcio».
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Tuttavia molti la attaccano. Qualche mese fa fece balenare la possibilità di abbandonare la presidenza di Lega: ci sta ripensando?
«Nemmeno per sogno. Zamparini può star certo. Non mi dimetterò mai. Non lascio spazio a chi mi dà del vergognoso. Lui, che confonde la Lega e la sua attività con i diritti soggettivi, che non c’entrano nulla».
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D’accordo, ma se scenderà apertamente in campo contro di lei anche Della Valle gli equilibri potrebbero cambiare.
«Può scendere in campo chi vuole. Io resto il presidente di Lega che ha incrementato i ricavi del 50%. Ho appena avuto una conversazione telefonica con Della Valle. Toni sereni e distesi. Certo, mi ha fatto presente che lui e il suo gruppo vorrebbero tornare ai diritti collettivi. Divergenza di vedute. Capita nella vita. Se quella che ho definito maggioranza silenziosa terrà ancora, come credo, resterò in Lega, altrimenti tornerò in esclusiva al mio amatissimo Milan. Nessun problema».
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Finiamo in chiave rossonera, allora. Rinforzi in arrivo?
«Escludo. Ho letto il nome di Lugano. Non se ne parla. La riscoperta di Kaladze centrale e di Simic sul centro-destra ha sistemato le cose. Il vecchio Milan, un po’ cigolante, come dice Berlusconi, si è rimesso in piedi. Lo scudetto? Dipenderà soltanto dalla Juve».
[Modificato da paperino73 29/12/2005 14.08]
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