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Concezione ciclica e lineare del tempo

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2006 11:45
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11/01/2006 20:02

DA SANT'AGOSTINO (LE CONFESSIONI)

libro XI da 1.14.17 a 29.39

E' LUNGO, MA NE VALE VERAMENTE LA PENA

Cos'è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve? Chi saprebbe formarsene anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni? Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo parlare altri. Cos'è dunque il tempo? Se nessuno m'interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi m'interroga, non lo so. Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere.

La durata del passato e del futuro

15. 18. Eppure parliamo di tempi lunghi e tempi brevi riferendosi soltanto al passato o al futuro. Un tempo passato si chiama lungo se è, ad esempio, di cento anni prima; e così uno futuro è lungo se è di cento anni dopo; breve poi è il passato quando è, supponi, di dieci giorni prima, e breve il futuro di dieci giorni dopo. Ma come può essere lungo o breve ciò che non è? Il passato non è più, il futuro non è ancora. Dunque non dovremmo dire di un tempo che è lungo, ma dovremmo dire del passato che fu lungo, del futuro che sarà lungo. Signore mio, luce mia 77, la tua verità non deriderà l'uomo anche qui? Perché, questo tempo passato, che fu lungo, lo fu quando era già passato, o quando era ancora presente? Poteva essere lungo solo nel momento in cui era una cosa che potesse essere lunga. Una volta passato, non era più, e dunque non poteva nemmeno essere lungo, perché non era affatto. Quindi non dovremmo dire del tempo passato che fu lungo: poiché non troveremo nulla, che sia stato lungo, dal momento che non è, in quanto è passato. Diciamo invece che fu lungo quel tempo presente, perché mentre era presente, era lungo. Allora non era già passato, così da non essere; era una cosa, che poteva essere lunga. Appena passato, invece, cessò all'istante di essere lungo, poiché cessò di essere.

La durata del presente

15. 19. Consideriamo dunque, anima umana, essendoti dato di percepire e misurare le more del tempo, se il tempo presente può essere lungo. Che mi risponderai? Cento anni presenti sono un tempo lungo? Considera prima se possano essere presenti cento anni. Se è in corso il primo di questi cento anni, esso è presente, ma gli altri novantanove sono futuri, quindi non sono ancora. Se invece è in corso il secondo anno, il primo è ormai passato, il secondo presente, tutti gli altri futuri. Così per qualsiasi anno intermedio nel numero dei cento, che si supponga presente: gli anteriori saranno passati, i posteriori futuri. Perciò cento anni non potranno essere tutti presenti. Considera ora se almeno quell'unico che è in corso sia presente. Se è in corso il primo dei suoi mesi, tutti gli altri sono futuri; se il secondo, il primo è ormai passato, gli altri non sono ancora. Dunque neppure l'anno in corso è presente tutto, e se non è presente tutto, un anno non è presente, perché un anno si compone di dodici mesi, e ciascuno di essi, qualunque sia, è presente quando è in corso, mentre tutti gli altri sono passati o futuri. Ma poi, neppure il mese in corso è presente: è presente un giorno solo, e se il primo, tutti gli altri sono futuri; se l'ultimo, tutti gli altri sono passati; se uno qualunque degli intermedi, sta fra giorni passati e futuri.

15. 20. Ecco cos'è il tempo presente, l'unico che trovavamo possibile chiamare lungo: ridotto stentatamente alla durata di un giorno solo. Ma scrutiamo per bene anche questo giorno, perché neppure un giorno solo è presente tutto. Le ore della notte e del giorno assommano complessivamente a ventiquattro. Per la prima di esse tutte le altre sono future, per l'ultima passate, per qualunque delle intermedie passate le precedenti, future le seguenti. Ma quest'unica ora si svolge essa stessa attraverso fugaci particelle: quanto ne volò via, è passato; quanto le resta, futuro. Solo se si concepisce un periodo di tempo che non sia più possibile suddividere in parti anche minutissime di momenti, lo si può dire presente. Ma esso trapassa così furtivamente dal futuro al passato, che non ha una pur minima durata. Qualunque durata avesse, diventerebbe divisibile in passato e futuro; ma il presente non ha nessuna estensione. Dove trovare allora un tempo che possiamo definire lungo? Il futuro? Non diciamo certamente che è lungo, poiché non è ancora, per poter essere lungo; bensì diciamo che sarà lungo. Quando lo sarà? Se anche allora sarà ancora futuro, non sarà lungo, non essendovi ancora nulla, che possa essere lungo; se sarà lungo allora, quando da futuro ancora inesistente sarà già cominciato ad essere e sarà diventato presente, così da poter essere qualcosa di lungo, con le parole or ora riferite il tempo presente grida di non poter essere lungo.

La misurazione del tempo

16. 21. Eppure, Signore, noi percepiamo gli intervalli del tempo, li confrontiamo tra loro, definiamo questi più lunghi, quelli più brevi, misuriamo addirittura quanto l'uno è più lungo o più breve di un altro, rispondendo che questo è doppio o triplo, quello è semplice, oppure questo è lungo quanto quello. Ma si fa tale misurazione durante il passaggio del tempo; essa è legata a una nostra percezione. I tempi passati invece, ormai inesistenti, o i futuri, non ancora esistenti, chi può misurarli? Forse chi osasse dire di poter misurare l'inesistente. Insomma, il tempo può essere percepito e misurato al suo passare; passato, non può, perché non è.

L'esistenza del passato e del futuro

17. 22. Io cerco, Padre, non affermo. Dio mio, vigilami e guidami 78. Chi vorrà dirmi che non sono tre i tempi, come abbiamo imparato da bambini e insegnato ai bambini, ossia il passato, il presente e il futuro, ma che vi è solo il presente, poiché gli altri due non sono? O forse anche gli altri due sono, però il presente esce da un luogo occulto, allorché da futuro diviene presente, così come si ritrae in un luogo occulto, allorché da presente diviene passato? In verità, chi predisse il futuro, dove lo vide, se il futuro non è ancora? Non si può vedere ciò che non è. Così chi narra il passato, non narrerebbe certamente il vero, se non lo vedesse con l'immaginazione. Ma se il passato non fosse affatto, non potrebbe in nessun modo essere visto. Bisogna concludere che tanto il futuro quanto il passato sono.

Presenza del passato e del futuro

18. 23. Lasciami estendere, o Signore, la mia ricerca, tu, speranza mia 79. Fa' che nulla disturbi il mio sforzo. Se il futuro e passato sono, desidero sapere dove sono. Se ancora non riesco, so tuttavia che, ovunque siano, là non sono né futuro né passato, ma presente. Futuro anche là, il futuro là non esisterebbe ancora; passato anche là, il passato là non esisterebbe più. Quindi ovunque sono, comunque sono, non sono se non presenti. Nel narrare fatti veri del passato, non si estrae già dalla memoria la realtà dei fatti, che sono passati, ma le parole generate dalle loro immagini, quasi orme da essi impresse nel nostro animo mediante i sensi al loro passaggio. Così la mia infanzia, che non è più, è in un tempo passato, che non è più; ma quando la rievoco e ne parlo, vedo la sua immagine nel tempo presente, poiché sussiste ancora nella mia memoria. Se sia analogo anche il caso dei fatti futuri che vengono predetti, se cioè si presentano come già esistenti le immagini di cose ancora inesistenti, confesso, Dio mio, di non saperlo. So però questo, che sovente premeditiamo i nostri atti futuri, e che tale meditazione è presente, mentre non lo è ancora l'atto premeditato, poiché futuro. Solo quando l'avremo intrapreso, quando avremo incominciato ad attuare il premeditato, allora esisterà l'atto, poiché allora non sarà futuro, ma presente.

La predizione del futuro

18. 24. Qualunque sia la natura di questo arcano presentimento del futuro, certo non si può vedere se non ciò che è. Ora, ciò che è, non è futuro, ma presente, e così, allorché si dice di vedere il futuro, non si vedono le cose, ancora inesistenti, cioè future, ma forse le loro cause o i segni, già esistenti. Perciò si vedono non cose future, ma cose già presenti al veggente, che fanno predire le future immaginandole con la mente. Queste immaginazioni a loro volta già esistono, e chi predice le vede presenti innanzi a sé. Mi suggerisca qualche esempio l'innumerevole massa dei fatti. Se osservo l'aurora, preannuncio la levata del sole. L'oggetto della mia osservazione è presente; quello della mia predizione, futuro: non futuro il sole, che esiste già, ma la sua levata, che non esiste ancora. Però non potrei predire nemmeno la levata senza immaginarla dentro di me come ora che ne parlo. Eppure né l'aurora che vedo in cielo è la levata del sole, quantunque la preceda, né lo è l'immagine nel mio animo: queste due cose si vedono presenti, per poter definire in anticipo quell'evento futuro. Dunque il futuro non esiste ancora, e se non esiste ancora, non si può per nulla vedere; però si può predire sulla scorta del presente, che già esiste e si può vedere.

Il mistero della profezia

19. 25. Quindi tu, che sei il re del tuo creato, in che modo insegni alle anime il futuro? L'hai pure insegnato ai tuoi profeti. In che modo insegni il futuro, se per te nulla è futuro? O meglio, in che modo insegni le cose presenti che riguardano le future? Ciò che non è, non si può evidentemente insegnare. Il tuo procedimento qui è troppo lontano dalla mia vista, ha superato le mie forze, non vi potrò giungere 80; ma potrò con le tue, quando lo concederai tu, dolce lume dei miei occhi 81 occulti.

Un'inesattezza del linguaggio corrente

20. 26. Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa. Mi si permettano queste espressioni, e allora vedo e ammetto tre tempi, e tre tempi ci sono. Si dica ancora che i tempi sono tre: passato, presente e futuro, secondo l'espressione abusiva entrata nell'uso; si dica pure così: vedete, non vi bado, non contrasto né biasimo nessuno, purché si comprenda ciò che si dice: che il futuro ora non è, né il passato. Di rado noi ci esprimiamo esattamente; per lo più ci esprimiamo inesattamente, ma si riconosce cosa vogliamo dire.

Misurazione di spazi di tempo

21. 27. Dissi poc'anzi 82 che misuriamo il tempo al suo passaggio. Così possiamo dire che questa porzione di tempo è doppia di quella, che è semplice, o lunga quanto quella; oppure, misurandola, indicare qualsiasi altro rapporto fra porzioni di tempo. In tal modo, come dicevo, misuriamo il tempo al suo passaggio. Se mi si chiedesse: "Come lo sai?", risponderei: "Lo so perché misuriamo, e non possiamo misurare ciò che non è, e non è né il passato né il futuro". Il tempo presente, poi, come lo misuriamo, se non ha estensione? Lo si misura mentre passa; passato, non lo si misura, perché non vi sarà nulla da misurare. Ma da dove, per dove, verso dove passa il tempo, quando lo si misura? Non può passare che dal futuro, attraverso il presente, verso il passato, ossia da ciò che non è ancora, attraverso ciò che non ha estensione, verso ciò che non è più. Ma noi non misuriamo il tempo in una certa estensione? Infatti non parliamo di tempi semplici, doppi, tripli, uguali, e di altri rapporti del genere, se non riferendoci a estensioni di tempo. In quale estensione dunque misuriamo il tempo al suo passaggio? Nel futuro, da dove passa? Ma ciò che non è ancora, non si misura. Nel presente, per dove passa? Ma una estensione inesistente non si misura. Nel passato, verso dove passa? Ma ciò che non è più, non si misura.

Supplica a Dio

22. 28. Il mio spirito si è acceso dal desiderio di penetrare questo enigma intricatissimo. Non voler chiudere, Signore Dio mio, padre buono, te ne scongiuro per Cristo, non voler chiudere al mio desiderio la conoscenza di questi problemi familiari e insieme astrusi. Lascia che vi penetri e s'illuminino al lume della tua misericordia, Signore. Chi interpellare su questi argomenti, a chi confessare la mia ignoranza più vantaggiosamente che a te, cui non è sgradito il mio studio ardente, impetuoso delle tue Scritture? Dammi ciò che amo. Perché io amo, e tu mi hai dato di amare. Dammi, o Padre, che davvero sai dare ai tuoi figli doni buoni 83; dammi, poiché mi sono proposto di conoscere e mi attende un lavoro faticoso 84, finché tu mi schiuda la porta 85. Per Cristo ti supplico, in nome di quel santo dei santi nessuno mi disturbi. Anch'io ho creduto, perciò anche parlo 86. Questa è la mia speranza, per questa vivo: di contemplare le delizie del Signore 87. Ecco, tu hai stabilito i miei giorni decrepiti 88, ed essi passano, e non so come. Noi parliamo di tempo e tempo, di tempi e tempi. "Quanto tempo fa lo disse!", "Quanto tempo fa lo fece!", e: "Da quanto tempo non lo vedo!", e: "Questa sillaba ha una durata di tempo doppia di quell'altra, breve": così diciamo e udiamo, così ci facciamo comprendere e comprendiamo. Sono espressioni chiarissime, usatissime; eppure sono estremamente oscure, e astrusa è la loro spiegazione.

Il tempo e il movimento

23. 29. Ho udito dire da una persona istruita che il tempo è, di per sé, il moto del sole, della luna e degli astri ; e non assentii. Perché il tempo non sarebbe piuttosto il moto di tutti i corpi? Qualora si arrestassero gli astri del cielo, e si muovesse la ruota del vasaio, non esisterebbe più il tempo per misurarne i giri e poter dire che hanno durate uguali, oppure, se si svolgono ora più lenti, ora più veloci, che gli uni sono più lunghi, gli altri meno? E ciò dicendo, non parleremmo noi stessi nel tempo? e non vi sarebbero nelle nostre parole sillabe lunghe e brevi per la sola ragione che le prime risuonarono per un tempo più lungo, le seconde più breve? O Dio, concedi agli uomini di scorgere in un fatto modesto i concetti comuni delle piccole come delle grandi realtà. Esistono astri e lumi del cielo quali segni delle stagioni, dei giorni e degli anni 89, esistono, è vero; ma come io non oserei affermare che la rivoluzione di quella rotella di legno sia il giorno, neppure quel saggio oserà dire che perciò non sia un tempo.

23. 30. Io desidero conoscere il valore e la natura del tempo, lo strumento con cui misuriamo i movimenti del corpo e diciamo che uno di essi è per esempio lungo il doppio di un altro. Questo cerco di sapere: si dà nome di giorno non solo al periodo in cui il sole permane sopra la terra, secondo il quale si distingue il giorno dalla notte, ma anche all'intera rotazione che il sole compie da oriente a oriente, secondo la quale si dice: "Passarono tanti giorni", designando con i giorni anche le notti rispettive, che non si considerano a parte; ebbene, poiché il giorno si completa col movimento rotatorio del sole da oriente a oriente, io cerco di sapere se il giorno è il movimento stesso, oppure il periodo in cui si compie, oppure l'una cosa e l'altra. Se il giorno fosse il movimento del sole, avremmo un giorno anche quando il sole compisse quel suo corso nello spazio di tempo di un'ora; se fosse il periodo in cui si compie, non vi sarebbe giorno quando l'intervallo fra una levata e l'altra del sole fosse breve come quello di un'ora sola, ma il sole dovrebbe effettuare la sua rotazione ventiquattro volte per colmare un giorno intero; se fosse l'uno e l'altro, non si potrebbe parlare di giorno né quando il sole percorresse tutto il suo giro nello spazio di un'ora, né quando passasse tanto tempo col sole fermo, quanto ne impiega abitualmente il sole a compiere l'intero circuito da mattino a mattino. Quindi ora non cercherò più di sapere cosa sia ciò che chiamiamo giorno, ma cosa sia il tempo, con cui misuriamo la rotazione del sole, per il quale diremmo che la compì nella metà dello spazio di tempo abituale, qualora l'avesse compiuta nello spazio di tempo in cui si compiono dodici ore; e diremmo, confrontando queste due durate, che la seconda è semplice, la prima doppia, anche qualora la rotazione del sole da oriente a oriente avesse talvolta quella durata semplice, talvolta questa doppia. Dunque non mi si dica che il tempo è il movimento dei corpi celesti. Quando il sole si fermò all'appello di un uomo per dargli modo di concludere una battaglia vittoriosa, il sole era fermo 90, ma il tempo procedeva, tant'è vero che la battaglia fu condotta e finita nello spazio di tempo ad essa sufficiente. Vedo dunque che il tempo è in qualche modo un'estensione. Ma vedo veramente, o mi vedo vedere? Tu me lo chiarirai, o Luce, o Verità 91.

Il tempo misura del movimento

24. 31. Mi comandi di approvare chi dicesse che il tempo è il movimento di un corpo? No certo. Nessun corpo si muove fuori dal tempo; questo lo intendo: tu lo dici. Ma che il movimento stesso del corpo sia il tempo, questo non lo intendo: tu non lo dici. Di un corpo che si muove, misuro col tempo la durata del movimento, da quando inizia a quando finisce. Se non ho visto quando iniziò, e continua a muoversi di modo che non vedo quando finisce, mi è impossibile misurarlo, a meno di misurarlo da quando inizio a quando finisco di vederlo. Vedendolo a lungo, riferisco soltanto che è un tempo lungo, senza riferire quanto, poiché, per dire anche quanto, facciamo un confronto, ad esempio: "Questo è quanto quello", oppure: "Questo è doppio di quello", e così via. Se invece avremo potuto rilevare nello spazio il punto da cui è partito e il punto in cui arriva un corpo in movimento, oppure le sue parti, qualora si muova come un tornio, possiamo dire in quanto tempo si è effettuato il movimento del corpo o di una sua parte da un punto a un altro. Il movimento del corpo è dunque cosa distinta dalla misura della sua durata. E chi non capisce ormai a quale delle due nozioni conviene dare il nome di tempo? Infatti, se anche un corpo alternamente si muove e sta fermo, noi misuriamo col tempo non soltanto il suo movimento, ma anche la stasi. Diciamo: "Stette fermo tanto, quanto si mosse", oppure: "Stette fermo due, tre volte più di quanto si mosse"; oppure indichiamo altri rapporti, misurati con precisione o a stima, più o meno, come si suol dire. Dunque il tempo non è il movimento dei corpi.

Confessione e invocazione

25. 32. Ti confesso, Signore 92, d'ignorare tuttora cosa sia il tempo; d'altra parte ti confesso, Signore, di sapere che pronuncio queste parole nel tempo; che da molto ormai sto parlando del tempo, e che proprio questo molto non lo è per altro, che per la durata del tempo. Ma come faccio a saperlo, se ignoro cosa sia il tempo? O chissà, non so esprimere ciò che so? Ahimè, ignoro persino cosa ignoro. Ecco, Dio mio, davanti a te che non mento 93: quale la mia parola, tale il mio cuore. Tu, Signore Dio mio, illuminando la mia lucerna illuminerai le mie tenebre 94.

Il tempo misurato col tempo

26. 33. Non è veritiera la confessione della mia anima, quando ti confessa che misuro il tempo? Dunque, Dio mio, io misuro e non so cosa misuro. Misuro il movimento di un corpo per mezzo del tempo, ma non misuro ugualmente anche il tempo? Potrei misurare il movimento di un corpo, la sua durata, la durata del suo spostamento da un luogo all'altro, se non misurassi il tempo in cui si muove? Ma questo tempo con che lo misuro? Si misura un tempo più lungo con un tempo più breve come con la dimensione di un cubito quella di un trave? Così ci vedono misurare la dimensione di una sillaba lunga con quella di una breve, e dirla doppia; così misuriamo la dimensione dei poemi con la dimensione dei versi, e la dimensione dei versi con la dimensione dei piedi, e la dimensione dei piedi con la dimensione delle sillabe, e la dimensione delle sillabe lunghe con quella delle brevi: non sulle pagine, perché così misuriamo spazi e non tempi, ma al passaggio delle parole, mentre vengono pronunciate. Diciamo: "È un poema lungo, infatti si compone di tanti versi; versi lunghi, infatti constano di tanti piedi; piedi lunghi, infatti si estendono per tante sillabe. E una sillaba lunga, infatti è doppia della breve". Ma neppure così si definisce una misura costante di tempo, poiché un verso più breve può essere fatto risuonare, strascicandolo, per uno spazio di tempo maggiore di uno più lungo, che venga affrettato. La stessa cosa può avvenire di un poema, e di un piede, e di una sillaba. Ne ho tratto l'opinione che il tempo non sia se non un'estensione. Di che? Lo ignoro. Però sarebbe sorprendente, se non fosse un'estensione dello spirito stesso. Perché, cosa misuro, di grazia, Dio mio, quando affermo o imprecisamente: "Questo tempo è più lungo di quello", o anche precisamente: "È doppio di quello"? Misuro il tempo, lo so; ma non misuro il futuro, perché non è ancora; né misuro il presente, perché non ha estensione alcuna; né misuro il passato, perché non è più. Cosa misuro dunque? Forse i tempi al loro passaggio, non passati? È quanto dissi 94a.

Difficoltà nella misurazione del tempo

27. 34. Insisti, spirito mio, e fissa intensamente il tuo sguardo. Dio è il nostro aiuto 95, egli ci fece, e non noi 96. Fissa il tuo sguardo dove albeggia la verità. Ecco, immagina che una voce, corporea, cominci a risuonare, risuona, risuona ancora, ed ecco cessa, è già tornato il silenzio, la voce è passata, non c'è più voce ormai. Era futura, prima di risuonare, e non si poteva misurarla, perché non era ancora, come non si può ora, perché non è più. Si poteva misurarla quando risuonava, perché allora era, in modo che si poteva misurare. Ma anche allora non era ferma, perché andava, passava. O proprio per questo invece si poteva? Passando, infatti, si estendeva per un certo spazio di tempo, durante il quale si poteva misurarla, poiché il presente non ha nessuna estensione. Ammesso dunque che in quel frangente poteva essere misurata, eccoti ora una seconda voce, che cominciò a risuonare e risuona tuttavia con tono uniforme, senza alcuna variazione. Misuriamola finché risuona, poiché, appena avrà cessato di risuonare, sarà ormai passata e non sarà più, in modo che si possa misurare! Misuriamola, presto, e indichiamone la durata. Ma sta risuonando ancora: non si può misurarla, se non partendo dall'inizio della sua esistenza, ossia dal momento in cui cominciò a risuonare, e giungendo alla fine, ossia al momento in cui cessa. Gli intervalli si misurano appunto da un certo inizio e a un certo fine; quindi una voce non ancora finita non può essere misurata, non si può dire quanto sia lunga o breve, né dire se sia uguale a un'altra, o semplice o doppia o comunque diversa rispetto a un'altra. Ma una volta finita non sarà più. Come si potrà misurarla allora? Eppure misuriamo il tempo: non quello che non è ancora, né quello che non è più, né quello che non si estende in durata, né quello che non ha limiti; cioè non lo misuriamo né futuro, né passato, né presente, né passante; eppure lo misuriamo, il tempo.

27. 35. Deus creator omnium 97: in questo verso si alternano otto sillabe brevi e lunghe: le quattro brevi, cioè la prima, terza, quinta e settima, semplici rispetto alle quattro lunghe, cioè la seconda, quarta, sesta e ottava. Di queste ultime ognuna dura un tempo doppio rispetto a ognuna delle prime, come annuncio mentre le pronuncio, e come è, secondo che ci fanno intendere manifestamente i sensi. Come manifestano i sensi, io misuro la sillaba lunga mediante la breve, sentendo che la lunga ha una durata doppia della breve. Ma una sillaba risuona dopo un'altra; se prima è la breve, la lunga dopo, come trattenere la breve? e come applicarla sulla lunga per misurarla e trovare così che ha una durata doppia, se la lunga comincia a risuonare soltanto quando la breve cessò di risuonare? e la stessa sillaba lunga la misuro quando è presente, mentre non la misuro che finita? Ma quando è finita è passata. Cosa misuro dunque? Dov'è la breve, che uso per misurare? dov'è la lunga, che devo misurare? Entrambe risuonarono, svanirono, passarono, non sono più. Eppure io misuro e rispondo, con tutta la fiducia che si ha in un senso esercitato, che una è semplice, l'altra doppia, in estensione temporale, s'intende: cosa che posso fare solo in quanto sono passate e finite. Dunque non misuro già le sillabe in sé, che non sono più, ma qualcosa nella mia memoria, che resta infisso.

Nello spirito la misura del tempo

27. 36. È in te, spirito mio, che misuro il tempo. Non strepitare contro di me: è così; non strepitare contro di te per colpa delle tue impressioni, che ti turbano. È in te, lo ripeto, che misuro il tempo. L'impressione che le cose producono in te al loro passaggio e che perdura dopo il loro passaggio, è quanto io misuro, presente, e non già le cose che passano, per produrla; è quanto misuro, allorché misuro il tempo. E questo è dunque il tempo, o non è il tempo che misuro. Ma quando misuriamo i silenzi e diciamo che tale silenzio durò tanto tempo, quanto durò tale voce, non concentriamo il pensiero a misurare la voce, come se risuonasse affinché noi possiamo riferire qualcosa sugli intervalli di silenzio in termine di estensione temporale? Anche senza impiego della voce e delle labbra noi percorriamo col pensiero poemi e versi e discorsi, riferiamo tutte le dimensioni del loro sviluppo e le proporzioni tra i vari spazi di tempo, esattamente come se li recitassimo parlando. Chi, volendo emettere un suono piuttosto esteso, ne ha prima determinato l'estensione col pensiero, ha certamente riprodotto in silenzio questo spazio di tempo, e affidandolo alla memoria comincia a emettere il suono, che si produce finché sia condotto al termine prestabilito: o meglio, si produsse e si produrrà, poiché la parte già compiuta evidentemente si è prodotta, quella che rimane si produrrà. Così si compie. La tensione presente fa passare il futuro in passato, il passato cresce con la diminuzione del futuro, finché con la consumazione del futuro tutto non è che passato.

Attesa, attenzione, memoria

28. 37. Ma come diminuirebbe e si consumerebbe il futuro, che ancora non è, e come crescerebbe il passato, che non è più, se non per l'esistenza nello spirito, autore di questa operazione, dei tre momenti dell'attesa, dell'attenzione e della memoria? Così l'oggetto dell'attesa fatto oggetto dell'attenzione passa nella memoria. Chi nega che il futuro non esiste ancora? Tuttavia esiste già nello spirito l'attesa del futuro. E chi nega che il passato non esiste più? Tuttavia esiste ancora nello spirito la memoria del passato. E chi nega che il tempo presente manca di estensione, essendo un punto che passa? Tuttavia perdura l'attenzione, davanti alla quale corre verso la sua scomparsa ciò che vi appare. Dunque il futuro, inesistente, non è lungo, ma un lungo futuro è l'attesa lunga di un futuro; così non è lungo il passato, inesistente, ma un lungo passato è la memoria lunga di un passato.

28. 38. Accingendomi a cantare una canzone che mi è nota, prima dell'inizio la mia attesa si protende verso l'intera canzone; dopo l'inizio, con i brani che vado consegnando al passato si tende anche la mia memoria. L'energia vitale dell'azione è distesa verso la memoria, per ciò che dissi, e verso l'attesa, per ciò che dirò: presente è però la mia attenzione, per la quale il futuro si traduce in passato. Via via che si compie questa azione, di tanto si abbrevia l'attesa e si prolunga la memoria, finché tutta l'attesa si esaurisce, quando l'azione è finita e passata interamente nella memoria. Ciò che avviene per la canzone intera, avviene anche per ciascuna delle sue particelle, per ciascuna delle sue sillabe, come pure per un'azione più lunga, di cui la canzone non fosse che una particella; per l'intera vita dell'uomo, di cui sono parti tutte le azioni dell'uomo; e infine per l'intera storia dei figli degli uomini 98, di cui sono parti tutte le vite degli uomini.
Conclusione
Dispersione nel tempo e confluenza nell'eterno

29. 39. Ma poiché la tua misericordia è superiore a tutte le vite 99, ecco che la mia vita non è che distrazione, mentre la tua destra mi raccolse 100 nel mio Signore, il figlio dell'uomo, mediatore fra te, uno, e noi, molti 101, in molte cose e con molte forme, affinché per mezzo suo io raggiunga Chi mi ha raggiunto e mi ricomponga dopo i giorni antichi seguendo l'Uno. Dimentico delle cose passate, né verso le future, che passeranno, ma verso quelle che stanno innanzi non disteso, ma proteso, non con distensione, ma con tensione inseguo la palma della chiamata celeste 102. Allora udrò la voce della tua lode 103 e contemplerò le tue delizie 104, che non vengono né passano. Ora i miei anni trascorrono fra gemiti 105, e il mio conforto sei tu, Signore, padre mio eterno. Io mi sono schiantato sui tempi, di cui ignoro l'ordine, e i miei pensieri, queste intime viscere della mia anima, sono dilaniati da molteplicità tumultuose. Fino al giorno in cui, purificato e liquefatto dal fuoco del tuo amore, confluirò in te.
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