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01/02/2006 17:09 | |
Scritto da: alexosit 01/02/2006 16.27
Allò , premesso che l'argomento mi tocca da vicino avendo scritto una tesi sulle interferenze politiche all'interno del tifo organizzato , vorrei esprimere il mio punto di vista .
Quando ci si avvicina allo studio dei gruppi Ultrà , è facile cadere nella tentazione di ragionare secondo luoghi comuni . Il rischio principale consiste nel ritenere i comportamenti devianti degli Ultras e degli Hooligans come una fattispecie relativa esclusivamente a degli individui avulsi dal sistema sociale di cui fanno parte . Secondo questo modo di pensare si arriva a tracciare un quadro del tifoso Ultrà che lo vuole come un individuo giovane , con una bassa istruzione , violento anche nella vita privata , socialmente emarginato , che appartiene ad una classe sociale relativamente umile . Questo archetipo ideale creato per trovare una semplicistica soluzione ad un problema ben più complesso stride se viene posta a confronto con la realtà dei fatti . Come è stato più volte sottolineato in questa sede , la composizione dei gruppi Ultrà è , al contrario , estremamente variegata . Da ciò ne consegue che è impossibile stilare una classificazione esaustiva e omnicomprensiva del tifoso Ultrà : parimenti ne consegue che un approccio di questo tipo rischierebbe di definire gli Ultras per ciò che non sono . Ma la conseguenza più rilevante che discende da questo tipo di approccio consiste nel salvaguardare le responsabilità della società di cui gli Ultras fanno parte. A questo punto la società civile deve riflettere su sé stessa e comprendere come sia possibile che alcuni suoi individui possano << trasformarsi >> sugli spalti di uno stadio e dare sfogo ad atteggiamenti che contrastano con i valori che una società che vuol dirsi civile , deve possedere . E’ necessario , dunque , che il corpo sociale si interroghi sull’effettivo grado di maturità raggiunto . L’ Inghilterra , da tempo , ha varato una regolamentazione sul tifo violento che ha suscitato molti consensi a livello internazionale . Si è parlato di “ modello inglese “ da imitare , da importare , anche nel nostro paese : ma questo tanto decantato “ modello inglese “ è frutto dello stesso approccio “ riduzionista “ e “ semplicistico “ di cui abbiamo discusso poc’anzi . Questo perché se è vero che in Inghilterra oggigiorno le partite di calcio si svolgono in un clima di apparente tranquillità , è anche vero che gli Hooligans quando si recano all’estero per seguire le partite della propria squadra o della nazionale inglese , continuano imperterriti nei loro comportamenti vandalici . Da ciò si deduce che il “ metodo inglese “ è puramente un metodo repressivo che si limita a sradicare le foglie della violenza , senza preoccuparsi di curare le radici che stanno alla base dei comportamenti violenti ed aggressivi . La “ repressione “ produce solo rancore e odio . Non cura ma sopprime . Così la rabbia e la violenza degli Hooligans non fa altro che attendere nuovi spazi per esplodere , come i recenti disordini in Ungheria e in Turchia hanno testimoniato .
Cosa sta , allora , alla base del tifo violento ? La risposa è essenzialmente nella società , più precisamente nei valori di cui essa si fa portavoce . La mancanza di valori , di ideali , può portare ad un disorientamento esistenziale che colpisce in primo luogo i ragazzi più giovani , le cui coscienze sono facilmente manipolabili ed indirizzabili. Ma non è soltanto la mancanza di ideali e di valori che porta i giovanissimi ad entrare a far parte di un gruppo ultrà ; così la necessità di “ dare un senso “ alla propria esistenza può spingere l’adolescente alla ricerca di valori nelle sedi e nei luoghi meno opportuni . Si badi bene che il valore in sé e per sé riveste per il giovane adolescente un significato del tutto marginale : che il valore sia “ la difesa della maglia “ , “ l’onore di una città “ , “ l’esaltazione di un neocameratismo “ questo non sembra rivestire particolare importanza : se il consacrare la propria esistenza ad un alto ideale presuppone l’interrogativo “ che cosa posso fare per difendere il valore in cui credo “ , nella situazione del giovane ultrà l’interrogativo cambia drasticamente in un “ che cosa il valore in cui credo può fare per me “ . Viene , dunque , meno la posizione critica nella scelta di valori e di ideali , un elemento di assoluta importanza per la scelta razionale di comportamenti sociali di cui si deve essere responsabili . L’originaria assenza della posizione critica porta l’individuo a condividere un valore non perché ritenuto giusto in sé , ma perché arreca un vantaggio personale . Se sventolare le svastiche in curva è condizione per essere accettati e riconosciuti parte di un gruppo , essa verrà sventolata : e poco importa il significato che essa riveste in modo oggettivamente indiscutibile . Ciò che conta è il valore che essa ha per il gruppo , conta , quindi , solo la percezione soggettiva . Paolo di Canio , un giocatore della Lazio , accusato di << apologia >> del fascismo , ha recentemente dichiarato che il saluto romano , con cui era solito rivolgersi agli ultrà laziali al termine delle partite , non aveva alcun risvolto politico ma era solo un << segno di riconoscimento >> tra individui di uno stesso gruppo . Il giocatore ha più volte ricordato la sua lunga militanza tra gli << Irriducibili >> , uno storico gruppo di tifosi della S.S. Lazio , prima di intraprendere la carriera di calciatore . Risulta evidente , quindi , la necessità per l’individuo di trovare un valore , un ideale , << qualche cosa in cui credere >> per sfuggire alla sempre più incalzante omologazione della società moderna . E’ un grido di disagio che si palesa in forme e comportamenti del tutto sbagliati e devianti . La scelta di simboli , di valori , di ideologie estremamente violenti , feroci , contrari ai principi di una società libera e democratica non vanno valutati per il significato oggettivo che essi rivestono . Vanno interpretati , invece , alla luce di un messaggio che gli stessi Ultras lanciano alla società : esso consiste nel desiderio di sfuggire all’omologazione della società attraverso rituali e pratiche non convenzionali per rispondere alla necessità di esistere di apparire , di << sentirsi parte di qualche cosa >> . Gli Ultras quindi , vogliono << agire >> sulla società . L’indignazione dell’opinione pubblica per i comportamenti violenti , aggressivi , xenofobi alimentano il senso di << comunione fraterna >> tra gli Ultras ; essa contribuisce a ritagliare << quello spazio >> di visibilità sociale che gli Ultras vanno cercando . Ecco perché non reputo la repressione uno strumento utile per risolvere i comportamenti devianti dei tifosi . Essa cementifica il << senso di appartenenza gruppuale >> , e , soprattutto , come abbiamo visto il relazione al “ modello inglese “ , non risolve il problema alla radice . Seguendo tale approccio è possibile comprendere anche i comportamenti violenti e gli atteggiamenti aggressivi su cose e persone . Partendo dal postulato che l’aggressività è una reazione alla paura , l’atteggiamento violento degli Ultras risponde alla paura di sfuggire all’anonimato esistenziale , ad un senso di profondo smarrimento che soprattutto le società moderne stanno contribuendo a creare . E’ giusto condannare gli atti di vandalismo e i comportamenti aggressivi verso cose e persone . Ma non basta la semplice condanna . E’ parimenti necessario che la società civile , l’opinione pubblica recepisca il messaggio di disagio , e non si limitino a classificare questi individui come << emarginate bestie furiose >> . In questo senso si muove la già citata critica alla società . Essa dovrebbe essere in grado di offrire opportunità di espressione della personalità , ambiti in cui l’uomo realizza se stesso , in quanto essere umano , non macchina produttiva . La responsabilità degli incidenti che avvengono durante le partite di calcio , ricadono su tutta la società , la quale , quindi , ha il dovere “ morale “ di non considerarli come dei << corpi estranei >> . Non basta delegare la questione alle forze di polizia , le quali possono solo agire in un ambito di “ repressione “ ; in questo modo si rinvierebbe nuovamente la soluzione del problema , che invece necessita già ora di decise misure di intervento . Lo sport , nella sua accezione più ampia , non può che essere il riflesso delle nostre società . Resta , quindi , da raccogliere una bella sfida : quella di costruire una società europea più giusta , più pacifica , in cui la giustizia ed i rapporti amichevoli intrecciati potranno trovare la loro strada ed affermarsi……..sportivamente .
Accattivante il tuo discorso, e condivisibile, specie nella parte in grassetto. Il verbo reprimere non ha mai fatto parte del mio vocabolario, ma educare e persuadere si. Mi rendo conto che in un mondo in cui se non appari sei considerato un signor-nessuno, queste persone cercano anzitutto la visibilità, poi c'è la rabbia repressa ecc. ecc...Ma tutto questo non deve e non può giustificare ogni azione, non può ad esempio ferire la sensibilità di chi proprio in questa città, anni fà si è vista trucidare una persona cara. Io non pretendevo la carica della polizia, ma semplicemente che fossero invitati a rimuovere quei simboli ignobili. Il messaggio doveva essere "QUESTO NON TI E' PERMESSO". IO NON L'HO VOTATO !
58TINO
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