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Il "testamento" di Lorenzo Necci

Ultimo Aggiornamento: 22/02/2008 23:41
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29/05/2006 18:01

travolto Muore ucciso in bici
da un'auto mentre si trovava in bicicletta su una provinciale in Puglia:
Necci, ex capo Fs,
era stato presidente di Enichem,
di Enimont e amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato fino al '96


L'ULTIMA INTERVISTA DI NECCI:
"1991-2001 FINE SOSTANZIALE DELLA DEMOCRAZIA
- DI CHI E' L'ITALIA OGGI? BASTA PRENDERE IL CORRIERE DELLA SERA
- PAESE IN PARTE SVENDUTO E IN PARTE COLONIZZATO
- GUERRE ECONOMICHE TUTTORA APERTE. RICATTI GIGANTESCHI…



Gianluigi Da Rold per il Velino – www.ilvelino.it


Questa intervista e' stata fatta pochi giorni prima delle ultime elezioni politiche del 9 aprile.
Doveva apparire su un grande quotidiano italiano, ma non e' mai stata pubblicata.
E' una sorta di "piccolo testamento" di Lorenzo Necci.
Dopo aver scritto insieme “L'Italia svenduta”, edito da Bietti, avevamo pensato di partire da questa intervista per confezionare un altro libro che cercava di dimostrare che la "colonizzazione" dell'Italia era entrata nella fase conclusiva.
Ecco il testo di quell'intervista:

Avvocato Necci, e' vero che l'Italia e' in controtendenza con la storia del mondo de Il terzo millennio, per citare un suo libro? Anzi e' fuori dalla nuova storia?
"E' vero che l'Italia si mostra, come e' accaduto tante altre volte, in controtendenza con la storia.
Nell'ultimo decennio del Millennio scorso l'Italia e' stata investita da una specie di tsunami.
Il terremoto si e' verificato in Urss ed e' anche conseguenza dell'innovazione tecnologica nell'informazione, che ha creato condizioni di democratizzazione e sviluppo economico mondiale.
Ma da noi la rivoluzione l'hanno fatta quelli che avevano apparentemente perduto la battaglia con la storia: la sinistra e la grande impresa privata".

Lorenzo Necci e' uno studioso, un personaggio, un testimone scomodo dell'ultimo quindicennio italiano.
Ai tempi della cosiddetta "Prima Repubblica" e' stato uno dei manager piu' potenti e prestigiosi, amministratore delegato di Enichem, presidente di Enimont e poi amministratore delegato della Ferrovie dello Stato. Se si parla di Tav, il piu' competente a rispondere e' proprio Necci. Oggi dice:

"Lasciare per strada la Tav vuol dire lasciare per strada la competitivita'.
Rispetto le opinioni di tutti, ma non si puo' dire 'voglio il treno' e poi non ampliare le linee o costruirle a bassa velocita'.
Il progetto di costruire la Tav e' stato anche il primo project financing italiano negli anni Novanta.
Avevamo creato un campione nazionale e europeo. Poi lo hanno distrutto
e mi hanno massacrato perche' dicevano, tra l'altro, che avevo favorito l'industria nazionale!
Il resto lo hanno chiarito i giudici".

La Tav e' solo un problema, certamente non secondario, di uno scenario piu' ampio che Lorenzo Necci affronta con estrema lucidita'.
Che cosa e' accaduto in questi quindici anni?
"Proviamo a seguire un filo logico. Teniamo presente che all'inizio degli anni Novanta l'Italia e' coinvolta in una crisi politica devastante e deve affrontare la mondializzazione dell'economia.
Questi due fatti mettono la parola fine alle rendite di posizione politiche (Dc-Psi-Pci) ed economiche (grande industria privata) della 'guerra fredda'.
I 'poteri forti', privati nella proprieta' e pubblici nel finanziamento.
Di fatto, finisce il monopolio Fiat-Mediobanca e collegati.
I gruppi finanziari e economici sono i piu' rapidi a rendersi conto della situazione e vedono nei monopoli pubblici la grande opportunita'.
In nome del liberismo e delle privatizzazioni puntano direttamente allo Stato e alle sue industrie.
Qui si scatena la battaglia.
C'e' di mezzo la politica, ancora poco cosciente
in quel momento di quanto stia accadendo, e una classe dirigente imprenditoriale pubblica da conquistare e da neutralizzare".

Ma che tipo di battaglia avviene in Italia ?
"La sinistra comunista aveva perso storicamente.
Cosi' come i protagonisti della grande industria privata italiana.
Ma il blocco di sinistra, alleato a poteri trasversali e al mondo degli affari, prende in mano il Paese per 10 anni con un accordo ben tutelato e garantito da giudici, giornali, servizi.
Un vero capolavoro. Un'opa ostile fatta tutta su leverage dei beni delle societa' acquistate con la complicita' del management".

E' stata questa, in sintesi, la battaglia di potere degli anni Novanta in nome del liberalismo e delle privatizzazioni in Italia?
"Si', le privatizzazioni avvengono senza liberalizzazione.
Nessuna logica industriale.
Monopoli pubblici resi privati con soldi delle banche e del mercato.
Le 'privatizzazioni' andarono in porto come previsto, anzi meglio.
Oggi vedo che ancora si parla di Telecom.

Strano che non si parli anche di Iri e delle sue banche, sempre per fare un altro esempio.
L'artefice di quelle privatizzazioni e' anzi il candidato premier del centrosinistra, il probabile, secondo i sondaggi, nuovo presidente del Consiglio.
Le banche sono state per anni un argomento ignorato nelle grandi guerre di potere,
non perche' non ne facessero parte, ma evidentemente c'era un accordo bypartisan perche' non se ne parlasse.

Oggi si discute di Antonveneta e di Banca nazionale del lavoro. Ma chi erano costoro quando si cedevano tutte le banche Iri?
Comit, Credit, l'attuale Capitalia in primo luogo ?
A che prezzo furono cedute quelle banche?
Non se ne e' mai parlato.
In mancanza di capitali, di capitalisti, forse le banche hanno giocato un ruolo anomalo rispetto alla loro missione".


In tutto quello che lei dice c'e' gia' una grande tendenza antistorica e anomala.
Necci non lascia neppure finire il commento.
"Siamo ancora solo a un aspetto. Nella visione dell'Italia di quegli anni la costante di fondo e' l'Europa.
Nella visione della sinistra e dei poteri che l'hanno sostenuta sarebbe stata l'Europa il nuovo Stato che si prendeva cura dell'Italia.
E per fare questo si e' anche pagato e giustificato un dazio altissimo per entrare in Europa.
Prima la svalutazione di Giuliano Amato, che frutto' parecchie decine di migliaia di miliardi alla speculazione di quel momento.
Non si riesce a capire bene perche' qualche grande banchiere non si limiti a fare, come suo diritto, speculazioni finanziarie e voglia invece anche fare politica.
Qualche maligno dira' che l'una aiuta l'altra, ma noi non potremmo mai pensare che la svalutazione della lira sia stata in qualche modo contrattata.
E poi c'e' l'ingresso nell'euro. Non sono tra quelli che attribuiscono all'euro tutti i nostri mali, ma certo una buona dose di masochismo l'abbiamo avuta a un certo momento.
Con i tassi decrescenti l'euro ha aiutato molto l'Italia. Ma quando i tassi ricresceranno come faremo?"

Mi scusi avvocato Necci. Lei si riferisce all'ultimo decennio del Millennio scorso. Ma nel 2001 il pendolo della politica italiana si sposta. Il governo di Silvio Berlusconi e' in controtendenza rispetto al piano architettato e realizzato dal blocco della sinistra in alleanza con i 'poteri forti'.
"Pur ottenendo una vittoria sostanziale con una maggioranza fortissima e con una sinistra in crisi,
Belusconi non interviene sui 'poteri forti' che egli considera suoi nemici.
E lo sono in effetti. Perche' non lo fa? Nella sostanza Berlusconi non cambia nulla nei confronti di coloro che hanno portato avanti il Paese negli anni Novanta. Nei cinque anni del suo governo, le forze economico-finanziarie e politiche, genericamente chiamate i 'poteri forti' e 'la sinistra' hanno avuto il tempo e anche l'opportunita' di riorganizzarsi e ora stanno preparando cosi' il secondo atto post-Berlusconi.
In politica estera Berlusconi fa scelte politiche precise e forti:

lascia Francia e Germania, si lega agli Stati Uniti anche in scelte molto difficili oltre che coraggiose.
Ma sembra che in politica interna non gliene venga nulla.
L'Europa franco-tedesca e le alleanze internazionali dei suoi nemici continuano la loro politica di espansione in Italia e la loro guerra al governo come se nulla fosse, come se il 2001 fosse gia' passato.
La sinistra e' tanto sicura della propria posizione che si permette il lusso di aprire un guerra al proprio interno sul problema del potere, delle banche e addirittura sul problema della 'loro' questione morale".

Occorre proprio esplorare attentamente quel decennio infernale per comprendere la situazione italiana ?
"In conclusione: 1991-2001 fine sostanziale della democrazia.
Se poi parliamo di economia, guardiamo di chi e' l'Italia oggi e di chi era quindici anni fa.
Basta prendere il Corriere della Sera.
Italia in parte svenduta e in parte colonizzata. Guerre economiche tuttora aperte.
Ricatti giganteschi tuttora in corso.
Quello che avrebbe dovuto essere l'elemento vero di cambiamento istituzionale e di modernizzazione, per il quale pagare i prezzi delle privatizzazioni, dell'abbattimento della classe politica e manageriale 'corrotta', dello Stato libero della politica di parte, cioe' l'Europa, dove e'?
Non c'e' questa Europa, non c'e' piu', non si vede!
Pochi l'avevano detto prima, oggi lo dicono in troppi.
Ma prima si poteva fare qualche cosa, oggi purtroppo si puo' fare ben poco.
Le quattro emergenze dell'ultimo decennio del secolo scorso sono rimaste emergenze anche oggi: morale, istituzionale, infrastrutturale, del debito pubblico e della competitivita'.
Gli scenari possibili per i quali si poteva lavorare sono purtroppo finiti nel peggiore dei modi.
Ne cito due: liberalismo e Europa integrata; valori sociali e Europa integrata. Ne' liberalismo, ne' Europa".


Che cosa la preoccupa di piu' per il futuro ?
"Per quindici anni l'economia mondiale ha vissuto in larga parte della crescita economica americana, che ha consentito la crescita dell'economia cinese e bilanciato l'arresto sostanziale dell'economia giapponese e di quella europea.
Per quindici anni i fattori preponderanti dello sviluppo sono stati l'energia a buon mercato e il bassissimo costo del denaro.
Oggi questi due fattori cambiano segno in modo deciso.
Chi affrontera' problemi cosi' drammatici?
E l'Europa che continua a non esserci?
E la nuova Russia?

Io penso veramente che la battaglia politica in corso oggi in Italia e' tutta rivolta al passato.
Sembra di leggere il romanzo di Jonathan Swift, quando Gulliver capita nel Paese in cui tutti corrono in avanti ma hanno la testa girata all'indietro.
Quindici anni di errori strategici
mostrano, al di la' delle opinioni personali, che coloro che si battono per il potere sono superati dai problemi e dagli eventi.
Occorre fare uno sforzo straordinario e tornare a parlare dell'Italia che vogliamo nel mondo che cambia.
Mi chiedo ancora: possiamo pensare a ricostruire i 'campioni nazionali' ceduti a prezzi di saldo?
E' possibile che non ci siano degli interessi generali, che non sono ne' di destra ne' di sinistra, ma sono semplicemente italiani?
E i ricatti?

Chi, oggi, in Italia e' privo di ricatti? In altri termini chi e' libero di parlare veramente, dicendo cio' che e' giusto e cio' che pensa, senza essere condizionato dall'inestricabile ginepraio dei ricatti che emergono solo quando qualche giudice o alcuni giornali decidono di farli uscire.
Credo di poter dire: pochissime persone che in genere hanno gia' pagato tanto.
Io penso di essere tra questi. Non perche' sia immune da altri, rovinosi, attacchi. Ma solo perche' dopo dieci anni di violenze gratuite non mi importa piu' di affrontarne altre in nome della dignita' e della verita'".


Dagospia 29 Maggio 2006

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22/02/2008 23:41


Lorenzo Necci con Lillio Sforza Ruspoli
© Foto U.Pizzi

Lello Naso per “Il Sole 24 Ore”



«La politica nel cuore. Segreti e bugie della Seconda Repubblica »,
presentato ieri a Milano da Maurizio Belpietro, Enrico Cisnetto, Ferruccio de Bortoli, Vittorio Feltri e Massimo Mucchetti ripercorre la parabola che ha condotto l'Italia dalla Prima alla Seconda Repubblica.


Cirino Pomicino pesca nell'album dei ricordi. «Un pomeriggio», racconta, «al Cafè de Paris di Roma l'ex amministratore delegato delle Ferrovie Lorenzo Necci mi disse di essere in possesso di un dossier che gli era stato consegnato da membri di un servizio segreto straniero. Gli chiesi di raccontarmi di più – continua Pomicino – ma Necci rimandò a una successiva conversazione. Disse che avrebbe voluto parlamene con più tempo, al ritorno di una breve vacanza, perché era inquieto e si sentiva spiato e pedinato».

Pochi giorni dopo, in Puglia, Necci fu investito da una macchina che viaggiava in direzione contraria e ucciso.
«La sua borsa – dice Pomicino –venne prelevata in albergo da un uomo e rimessa in camera 48 ore dopo, vuota.

Di recente – conclude – ho ricevuto una telefonata da un uomo che parlava con accento dell'Est Europa e con tono concitato e che mi diceva di sapere qualcosa sulla vicenda di Necci. La linea si è interrotta all'improvviso. Consegno questa storia ai giornali –dice Pomicino rivolto ai direttori – perché comunque mi fido più di voi che della magistratura».
Geronimo o Pomicino?


22 Febbraio 2008

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