ECO VIENE A ROMA PER DIRE A RUTELLI CHE HA TROVATO L’AMERICA SU INTERNET
NELLA MAREA DI PARIS HILTON “AGÉE” E MORENTI BRILLA LA MADRINA LAURA MORANTE
200 INVITATI A 10 MILA EURO A CRANIO – FURIO COLOMBO E UMBERTONE CONTRO IL PD
Luca Mastrantonio per “Il Riformista”
Foto di Umberto Pizzi da Zagarolo
«Addaveni' Bin Laden! Questa città va distrutta, ha fatto solo danni!».
Quando Umberto Eco racconta l'imprecazione di un tassista napoletano, rivolta a un ragazzo in motorino, scoppia una fragorosa risata che sembra svelare il volto “democrat” della maggior parte degli intervenuti all'American Academy in Rome (l'unica accademia culturale straniera privata, non pubblica).
Un repubblicano, chissà, avrebbe chiesto al professore il nome del tassista, per interrogarlo ed estorcergli informazioni sui legami tra Al Qaeda e la rete “tassinari”.
Alla cena mecenatesca, l'altro ieri, a villa Aurelia, hanno partecipato oltre 200 persone di quelle che (come si dice) “contano”, le quali hanno sganciato ciascuna 10.000 euro che serviranno a finanziare borse di studio di artisti italiani e americani. A loro Eco ha raccontato la sua “personal America”. «Ora, grazie a internet, ho finalmente la mia America domestica. Un tempo, quando tornavo, mi manca tutto, alcune stazioni radio, persino le previsioni del tempo a New York. Ora con il computer posso fare come se fossi lì: ascolto la mia musica, la mia America».
Poi, a riprova che non sono solo gli italiani, come il tassista, a parlare male dell'Italia, Eco legge alcuni brani di vip americani “in Rome”, da Mark Twain a Henry James, che si scagliano, umoristicamente, contro alcuni malcostumi italiani. Critiche, a dire il vero, bilanciate da divertenti intemerate contro il «perverso interesse degli americani per le antichità latine».
Una signora, garbata, mi chiede. «Ma lei capisci tutto quello che disci?» No, Eco usa un miscuglio di lingue volgari, come quel frate del “Nome della rosa”. Ah, fa lei, bello. È l'unico libro di Eco che ha letto, però aggiunge che ha pure visto il film. «Plìììs, plìììs, rìd òders biùtiful bùcs of Umberto Ico», le dico, in un impeto d'italico orgoglio beneculturalista, ispirato dal ministro Francesco Rutelli che poco prima ha fatto un agile discorso introduttivo.
Lei sorride, simpatica, si chiama Susan Dryfoos, produce documentari, e racconta che quando era al liceo e lesse dell'affaire Dreyfuss voleva scrivere un romanzo d'amore, autobiografico, dal titolo “The love affaire Dryfoos”. Lector in fabula, opere aperte... una degna lettrice di Eco. Parlando di politica, confessa con ardore di essere “democrat”. «Left is better», dice (sembra la traduzione del chavista «izquierda es mejor») e vorrebbe che vincesse Obama, un afroamericano, anche se non sono chiare le sue reali concezioni politiche. La signora Dryfoos apprezza anche Hillary Clinton, ma preferirebbe una donna con un cognome nuovo.
Allo stesso tavolo c'è anche una coppia di artisti americani, lui pittore lei garden-designer. Si sono conosciuti qualche anno fa, come borsisti all'AAR. Poi si sono sposati. «Lovli».
Prima della cena c’è stato un cocktail party così affollato che Laura Morante, madrina della serata, bellissima - soprattutto rispetto alla marea di Paris Hilton “agée” scollacciate o rivestite scenograficamente - è stata tutta la serata seduta vicino a una finestra. «Mi manca l’aria». Parlando di Cannes, commentava amaramente l’uscita di Quentin Tarantino, che ha sparato sul cinema italiano degli ultimi anni, salvando il solo Moretti.
«A me veramente pare che abbia buttato via anche Moretti. Quando uno dice che “fa le sue cose”, è come se stesse dicendo che è fuori dal mondo. Poi, per carità, sono d’accordo che il cinema italiano degli anni ’70 era fantastico e ora lo è meno, ma vorrei capire che film italiani recenti ha visto Tarantino ». Si alza solo per andare a salutare Rutelli, che le francobolla un caloroso bacio sulla guancia, per poi tornare a confabulare con Ronald Spogli, ambasciatore americano a Roma (hanno parlato del Guggenheim?) e con Boris Bianchieri (dello sciopero dell’Ansa?). Fitta anche la chiacchierata con Umberto Eco e Furio Colombo.
Il ministro racconta dei ballottaggi a Piacenza e Parma, ma tace della sconfitta ad Alessandria, città natale di Eco, il quale alle domande in proposito risponde che «qui non siamo in campagna elettorale». Si dànno pacche sulle spalle e si scambiano abbracci, ma in realtà, come racconta Furio Colombo, «non si può proprio parlare di idillio tra Partito democratico e intellettuali. Il problema è che neppure io so come si entra, tecnicamente, nel Partito democratico. Dateci un libretto di istruzioni: l’ho detto anche a Rutelli e Fassino in una riunione del comitato». Durante la serata, dice Colombo, ne ha parlato anche con Eco: «Lui mi ha chiesto se avessi letto la lettera di Omar Calabrese e se anche io la condividessi come lui. La sottoscrivo, ha detto. E anch’io».
Anche se, ufficialmente, Eco non vuole più parlare di Partito democratico e conclude, anti-morettiamente: «Non facciamoci del male, ci sono tante buone persone... però certo quello di Calabrese è stato proprio uno sfogo...».
Durante l’aperitivo, il professore, con un bicchiere di vino in mano, ha salutato, con l’altra mano, tutti gli intervenuti, tra cui John Guare, che ha scritto il “play” di “Sei gradi di separazione” e che è il marito del direttore dell’Accademia, Adele Chatfield-Taylor. «Hai ancora i tuoi tre cani?» gli ha chiesto, forse nel dubbio che i cani dimezzino i gradi di separazione. All’Accademy, comunque, era tutti azzerati.
A Rutelli, arrivato in ritardo ma accolto calorosamente, è toccato chiudere l’aperitivo con un’arringa italo-americana, applaudita dall’alta società transatlantica. La prima metà dello “speech” era in un italiano arricchito da qualche anglismo. Verteva sul «tributo» che Umberto Eco, ricevendo il premio, «bììng auorded», offre all’Accademia; la seconda parte, in inglese, impreziosita dall’accento italiano - «so sweet», commenta una signora vestita a macchie dalmata - proponeva all’Accademia di fare da capofila a una serie di incontri tra ministero e istituzioni culturali straniere in Italia. Di cui c’è un vero «revival», specie a Roma, ha gongolato Rutelli. Applausi scroscianti. Umberto Eco gli ha urlato, goliardico, «conflitto d’interessi!» e Rutelli, sorridente, ha ribattuto: «Non più, il sindaco è un altro, io faccio il ministro».
Dagospia 30 Maggio 2007
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.