LE SCULTURE DI CANOVA SONO “CARNE VIVA”, MOLTO PIU’ VIVA DI TUTTI GLI OSPITI
IL PARTY DELLA SUBLIME MOSTRA FA ACCORRERE DA MILANO ANCHE IL BRAGGIOTTINO
LEVI LA SFINGE SFUGGE ALL’AVIDO LUSETTI - “SCULTURE VIVENTI”: ANGIOLILLO E GNUDI
Reportage di Umberto Pizzi da Zagarolo
1 – RICKY LA SFINGE SFUGGE ALL’AVIDO LUSETTI…
Pierre de Nolac per “Italia Oggi”
Ore 23 di martedì: quando la cena si avvia alla conclusione e gli invitati alla presentazione della mostra dedicata a Canova nella romana galleria Borghese cercano di contendersi dolci e gelati, l'oramai democratico Renzo Lusetti (ma con il cuore sempre nella Margherita), nota che a pochi centimetri da lui c'è Ricardo Franco Levi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio che si occupa di editoria. «Ma allora li diamo un po' di soldi ai giornali di partito?», dice con fare scherzoso Lusetti, cercando di guadagnarsi almeno un sorriso dall'interlocutore.
Gerardo Bragiotti e signora
Niente da fare, Levi non emette nemmeno una sillaba e rimane immobile, tenendo con la mano destra un piattino ricolmo di gelato. «Una sfinge sarebbe più espressiva», mormora un invitato, guardandolo. Ma Lusetti non demorde: «Ma non è meglio darli direttamente a loro, ai giornali, piuttosto che finanziare i partiti?», alzando la voce e cercando di guardare negli occhi Ricky. Il quale gira i tacchi e se ne va, andando a cercare un altro posto per mangiare il gelato.
L’AMORE DI CANOVA PER LA GALLERIA BORGHESE…
Jolanda Bufalini per “l’Unità”
«Gran orrore Maestà!» Antonio Canova così osò rivolgersi a Napoleone Bonaparte quando lo incontrò a Fontainebleu nel 1810, riferendosi ai fatti di due anni prima e nei quali Napoleone I aveva una parte. Nel fatidico 1808, il principe Camillo Borghese aveva, infatti, venduto al cognato Bonaparte i marmi antichi raccolti dai suoi antenati che presero la via del Louvre.
«Quella famiglia sarà disonorata fino a che vi sarà storia - diceva lo scultore celebratissimo all’epoca a Parigi - Vendere capi d’opera di quella sorte. Una famiglia così ricca. Una famiglia che il padre avea speso un tesoro per rimettere a posto la villa più bella del mondo». La villa più bella del mondo è, naturalmente la sede della Galleria Borghese che, da oggi, rende omaggio a Canova con una bella mostra che segue quella, indimenticabile, dedicata a Raffaello Sanzio lo scorso anno, nell’ambito di un programma di mostre monografiche previste sino al 2015.
La sdegnata filippica dello scultore all’imperatore è raccontata da uno dei curatori della mostra, Fernando Mazzocco, mentre Anna Coliva, direttore della Galleria e, anche lei, curatrice della mostra, sottolinea: «Le opere furono vendute, perciò purtroppo, non c’era nulla da fare». Lo specialissimo rapporto che lo scultore ebbe con la Villa, visitata e amata sin dal primo soggiorno a Roma nel 1799. Il dolore profondo che provò di fronte a quella inaudita vendita, fanno da filo conduttore all’esposizione e al lavoro di ricerca che l’ha preparata.
Le opere di Canova provenienti fra l’altro dall’Ermitage (Le tre Grazie, l’amorino alato), dal Metropolitan di New York (Naiade), dal Victoria e Albert di Londra (Ninfa dormiente), da Leeds, (Venere), dal Louvre (Amore e psiche stanti), dal Getty Museum (Apollo che si incorona), insieme alle tempere provenienti da Bassano del Grappa si specchiano nei dipinti di soggetto mitologico della Galleria, si confrontano con le opere di Gianlorenzo Bernini: del resto la Venere vincitrice-Paolina è adagiata su un materasso che richiama quello su cui giace l’Ermafrodito oggi al Louvre.
Rapporto e ispirazione, quello del Canova con la Galleria Borghese, documentato dai “Quaderni di viaggio” di quella prima visita a Roma fra il 1779 e il 1780. E proprio Venere è uno dei soggetti dominanti della mostra, grazie anche ai magnifici disegni a matita, carboncino, sanguigna degli studi preparatori. Mentre nella sala di Apollo e Dafne sta, ed è molto curiosa e interessante, la piccola scultura che Canova presentò all’Accadamia e grazie alla quale fu accolto a Venezia, a dimostrare come il rapporto fra il barocco berniniano e il razionalismo settecentesco sia molto più complesso e mediato della rottura che la tradizione ci consegna.
Ma quel dolore profondo che lo scultore provò per la dispersione del patrimonio dei marmi dei Borghese non fu sterile. Claudio Strinati sottolinea la convergenza rara fra il «creatore per antonomasia dell’arte figurativa» e la «dimensione etica della passione civile per l’arte come fattore determinante di educazione del popolo italiano e europeo», passione che lo portò all’incarico di Ispettore generale delle Belle Arti, «che fu già di Raffaello tre secoli prima». Anna Colliva vede in quell’impegno dello scultore le radici di una tradizione italiana amministrativa particolarissima nella tutela del patrimonio artistico.
Dagospia 18 Ottobre 2007
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