L’Era del Cinghiale Bianco, presso gli antichi Celti,
popoli che dominarono l’Europa preromana,
stava a significare la stagione della Conoscenza Assoluta.
Il Cinghiale bianco era il simbolo del sapere spirituale, immagine qui atta a manifestare un senso di rifiuto,
provocatorio e convinto, alle insensatezze del mondo moderno,
perso e riverso nella sua crisi d’identità.
E proprio su queste tematiche, un grande artista qual è Franco Battiato, nel 1979, fino ad allora sperimentatore di sonorità e atmosfere complesse e stranianti, regala al pubblico il suo primo album di musica leggera, incentrato però su tematiche inconsuete:
indica la meta del ritorno all’origine e ad un’Età dell’Oro, scandita dagli antichi valori della tradizione.
“Profumi indescrivibili / nell’aria della sera /
studenti di Damasco / vestiti tutti uguali /
l’ombra della mia identità / mentre sedevo al cinema oppure in un bar /
Ma spero che ritorni presto / l’era del cinghiale bianco”.
Nell’omonima traccia iniziale, il cantautore siciliano, descrive per immagini (e in un turbinio di violini)
le contraddizioni del nostro tempo,
richiamando l’età mitica per estraniarsi dal reale e per contrapporre idealmente, suggestioni di luce al grigiore dilagante.
Proprio nella seconda traccia, la sarcastica (ma con musica intimista ed essenziale)
Magic shop, Battiato esaspera questa consapevolezza facendosi beffe di chi, sull’onda della moda di un’entrante new age, confonde sacro e profano;
per sfuggire la noia, per essere in apparenza non conforme (onde esserlo fin troppo), per cercare
un’idea dell’Assoluto nei luoghi convenzionali del consumo.
L’omologazione che subliminalmente propone un diverso e mimetizzato potere:
“C’è chi parte con un raga della sera / e finisce per cantare ‘la Paloma’ /
E giorni di digiuno e di silenzio / per fare i cori nelle messe tipo Amanda Lear /
vuoi vedere che l’Età dell’Oro / era appena l’ombra di Wall Street? /
La Falce non fa più pensare al grano / il grano invece fa pensare ai soldi /
E più si cresce e più mestieri nuovi / gli artisti pop /
i manifesti ai muri / i Mantra e gli Hare Hare a mille lire /
L’Esoterismo di René Guénon / Una signora vende corpi astrali /
I Budda vanno sopra i comodini / Deduco da una frase del Vangelo /
che è meglio un imbianchino di Le Corbusier”.
Suggestioni d’Oriente anche in
Strade dell’Est, la terza traccia,
tra città incantate e misteriose che parlano d’un mondo lontano, negli echi del Nostro così vicino che nel canto;
evocazione, memoria visiva e letteraria, possono esser quasi percepite come luoghi in cui improvvisamente ci si viene a trovare.
Nell’ascolto:
“Spinto dai Turchi e dagli Iracheni / qui fece campo Mustafa Mullah Barazani /
strade dell’Est d’immensi orizzonti / città nascoste di lingua persiana /
da qui la fine / Dicono storie di Principesse / chiuse in castelli per troppa bellezza /
fiori di Loto giardini stupendi”.
La quinta traccia, summa di
suggestioni mistiche ed esoteriche, ci porta nei territori d’un regno primordiale,
in cui sottili energie e sentori immateriali si dice(va) governassero il divenire del mondo.
Il filosofo e ricercatore della Tradizione, Renè Guénon, accogliendo (solo in minima parte) e riaggiornando i vagheggiamenti di
Ferdinand Ossendowski (Bestie uomini e dei),
suggerì che
questo regno, una terra inviolata, fosse chiamato Agarthi.
Agarthi avrebbe dovuto (dovrebbe?) trovarsi in prossimità del Tibet, essere il fulcro e la linea di trasmissione della Tradizione primordiale, nonché la dimora del Re del Mondo:
“Nei vestiti bianchi a ruota... / Echi delle danze Sufi... /
Nelle metro giapponesi, oggi / macchine di Ossigeno /
Più diventa tutto inutile e più credi che sia vero / e il giorno della Fine non ti servirà l’inglese /
...E sulle biciclette verso casa / la Vita ci sfiorò /
ma il re del Mondo / ci tiene prigioniero il Cuore”.
Sette tracce, quelli del suddetto album, per il primo di una lunga serie di album autenticamente “contro”, con un innovativo, per quei tempi, connubio testi-musica.
Pezzi che fecero da vasta eco a nuove idee e suggestioni in musica.
Questo primo successo commerciale aprì la strada a veri e propri capolavori d’arte, (perché è arte pura la commistione musicale, letteraria e filosofica cui arriva Battiato) di cui la Voce del Padrone rappresenta l’esemplificazione più immediata e conosciuta.
Da allora in poi Battiato diventa anche simbolo, riferimento ideale per chi scelse (e sceglie) di
combattere le controverse logiche della modernità, attraverso vie poco conosciute o considerate a torto desuete ed impalpabili, al contrario emananti una forza altrove inimmaginabile e soprattutto introvabile.
Un disco da avere, da maneggiare ed ascoltare, con estrema cura.
[Modificato da Etrusco 14/09/2006 12.47]
[Modificato da Etrusco 14/09/2006 12.49]
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.