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Carcere per banchieri e imprenditori come Cesare Geronzi, Roberto Colaninno . . . ? (Gabanelli inside)

Ultimo Aggiornamento: 06/04/2011 12:21
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08/12/2006 18:26

8 dicembre 2006

Crack Italcase, condannati a Brescia banchieri e imprenditori
di Mara Monti


Nessun assolto tra i banchieri imputati nel processo Italcase-Bagaglino.
La sentenza è arrivata ieri poco prima di mezzanotte dopo otto giorni di camera di consiglio della corte del Tribunale di Brescia presieduta dal giudice Enrico Fischetti. []Pene superiori a quelle chieste dal pm Silvia Bonardi che non era andata oltre i due anni per ciascuno dei 63 imputati.
Come nel caso di Roberto Colaninno,
Steno Marcegaglia ed Ettore Lonati
ex consiglieri della Bam, condannati a 4 anni e un mese per il reato di bancarotta preferenziale.

Tutti e tre sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni.
Beneficeranno però dell’indulto, con il condono di tre anni di pena.



I giudici non hanno risparmiato nessuno dei big della finanza:
dal presidente di Capitalia, Cesare Geronzi,


a Divo Gronchi attuale ad di Bpi ai tempi del crack direttore generale di Mps
e Pierluigi Fabrizi ex presidente di Mps,
a Ivano Sacchetti ex vicepresidente di Unipol,
condannati a un anno e otto mesi per bancarotta semplice.
I banchieri sono stati dichiarati inabilitati all’impresa commerciale e agli uffici direttivi per due anni, pena sospensa per la condizionale.


Nell’elenco anche gli ex banchieri della Bam, il presidente Piermaria Pacchioni
e l’ex direttore generale Mario Petroni (5 anni)

e per Bna l’ex presidente Paolo Accorinti,
l'ex vicepresidente Giuseppe Mormile e Massimo Bianconi, già ad.

Per il fondatore del gruppo Mario Bertelli la condanna più pesante, 13 anni, con l'accusa di associazione per delinquere.

Accolta anche la richiesta di risarcimento per 250 milioni di euro avanzata dal curatore fallimentare Carlo Catenaccio di cui 60 milioni di provvisionale.

Una vicenda quella del dissesto del Bagaglino che si trascina dal 2000 quando il Tribunale di Brescia dichiarò il fallimento del gruppo turistico bresciano con un passivo di 600 milioni di euro.
Secondo l’accusa, gli istituti, pur in presenza di un conclamato stato di insolvenza, avrebbero continuato a finanziare il gruppo, provocando l’aggravamento del dissesto.
Un perverso circuito già riscontrato nei casi Cirio e Parmalat con le banche mosse - sostiene l’accusa - dalla duplice finalità di estinguere i debiti pregressi e di dotarsi di adeguate garanzie in caso di fallimento del debitore.
Per il Bagaglino quelle garanzie erano rappresentate dalle ipoteche immobiliari che avevano toccato il 408% delle somme erogate.

Che cosa succederà ora?

Immediata la sospensione di Cesare Geronzi dalle cariche di presidente di Capitalia e di vicepresidente di Mediobanca,
così come quella di Colaninno dal consiglio della banca capitolina:

lunedì è prevista la riunione del cda di Capitalia

chiamato a ratificare le cariche indicate dal patto di sindacato e dall’assemblea. Sarà il consiglio a convocare un’assise probabilmente il prossimo 18 gennaio: solo allora verrà decisa l’eventuale sfiducia al presidente.
Sospeso dall’incarico di ad di Bpi anche Divo Gronchi impegnato in prima persona nella fusione con Bpvn.

Immediata la reazione di Roberto Colaninno:
«Ritengo che il mio comportamento, quale consigliere non esecutivo di Banca Agricola Mantovana, sia sempre stato orientato, in completa buona fede, a una positiva soluzione che garantisse i fornitori e i creditori in generale».

[SM=x44453] [SM=x44522] [SM=x44516]





Il Sole 24 Ore



[Modificato da Obispo nigeriano 08/12/2006 18.29]

[Modificato da Obispo nigeriano 08/12/2006 18.30]

[Modificato da Obispo nigeriano 08/12/2006 18.31]

[Modificato da Obispo nigeriano 08/12/2006 18.33]

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08/12/2006 19:05

De mai 1999 à juillet 2001
La révolution de juillet 2001


Roberto Colaninno
n'a pas réussi à se maintenir à la tête de Telecom Italia (TI), un peu plus de deux ans après son OPA victorieuse.
Le 29 juillet Pirelli et la famille Benetton acquéraient, via la holding luxembourgeoise Bell, 23% d'Olivetti qui contrôle TI, le tout pour 7 milliards d'euros alors que la capitalisation de TI se monte à 55 milliards.
[SM=x44466]

www.fritaleco.com/francais/economie/telecomitfr.html


[Modificato da Obispo nigeriano 08/12/2006 19.06]

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08/12/2006 19:14

Va bene, sono stati condannati...
...ma si tratta di pene ridicole! Vorrei tanto subire una pena pari a quella di Geronzi, pur di incassare la stessa cifra che ha incassato lui mediante il suo crimine! Solo che, se rubassi io una mela, mi darebbero 10 anni!

Giorgione

[SM=x44491]

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Chi sa fa. Chi non sa insegna. Chi non sa insegnare, dirige. Chi non sa neanche dirigere è del tutto incompetente; può darsi alla politica.
Giorgione (credo, nonno del forum...)

Vecchietto, sì. Ma le belle fanciulle continuo ad apprezzarle, finchè dura la Grazia Divina...

Io sono un coglione... Continuo ad esserlo anche dopo che il cainano si è ritirato. Spero per sempre.
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08/12/2006 20:52

Re: Va bene, sono stati condannati...

Scritto da: giogio232323 08/12/2006 19.14
...ma si tratta di pene ridicole! Vorrei tanto subire una pena pari a quella di Geronzi, pur di incassare la stessa cifra che ha incassato lui mediante il suo crimine! Solo che, se rubassi io una mela, mi darebbero 10 anni!

Giorgione

[SM=x44491]




e Geronzi poi ha commesso tanti altri danni da oltre 10 anni a questa parte
di cui nessuno ha avuto modo di processarlo, non ancora [SM=x44472]







8/12/2006


Crac Italcase,condanne eccellenti
Colaninno,Marcegaglia, Geronzi nei guai


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08/12/2006 22:21

Nella serata di ieri a Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, è stata notificata dal Tribunale di Parma un’ordinanza che gli impone il divieto temporaneo di esercitare uffici direttivi di persone giuridiche e di imprese. In pratica una momentanea destituzione coatta dai suoi incarichi dirigenziali all’interno della banca.
Il provvedimento - precisa la nota elaborata negli uffici di Capitalia nel cuore della notte - è stato assunto nell'ambito del procedimento legato alle vicende Parmatour e Ciappazzi, l'azienda di bibite e acque minerali che apparteneva a Ciarrapico e che fu rilevata da Tanzi nel 2002.
Per rendere sinteticamente la situazione di Capitalia e del suo sconcertante debito bastino la parole pronunciate pochi mesi fa dal Ministro Giorgio La Malfa: “La Banca di Roma come fa a non fallire?”.
Ora di Parmatour e di Parmalat nelle pagine di questo sito si è già parlato in abbondanza nel recente passato. La cosa straordinaria di oggi è che nonostante (o grazie a) il provvedimento intrapreso nei confronti di Geronzi il titolo di Capitalia sia in ampia crescita, ben dell’1,38% al momento della stesura di questo pezzo.



Chi vi scrive non è un esperto di economia.
E si spiega l’apprezzamento delle azioni Capitalia nel seguente, poco tecnico, modo:


“Ahò a sai l’ultima?”.
“No, dime un po’, che succede?”.
“Hanno inibbito Cesare”.
“No, e che ppalle sempre a rompe li cojoni co sto Previti…”.
“No, ma che hai capito, l’altro, Cesare Geronzi”.
“Oddio, davero? Non me stai a pijà per culo?”.
“Che pijo, tre mesi de prepensione…”.
“Tre mesi Geronzi lontano dai cojoni?”.
“Esatto”.
“Per tre mesi nun po’ fa cojonate?”.
“Esatto”.
“E che stamo ad aspettà! Movite! Coremo a comperà Capitalia no!”.



[SM=x44456]
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26/07/2007 15:19

BORGHESI (IDV): GERONZI SI DIMETTA…

“Ritengo sia inaccettabile che ai vertici di importanti istituzioni finanziarie, quali Capitalia e Mediobanca,
si trovi un personaggio che ha perso i requisiti di onorabilità
per essere stato condannato in primo grado a un anno e otto mesi per bancarotta fraudolenta,
alla luce soprattutto, delle ultime vicende che lo vedono anche
rinviato a giudizio per frode nell’ambito della vicenda del dissesto Parmalat
.

Ne va della credibilità internazionale del nostro sistema finanziario e bancario”. Lo afferma Antonio Borghesi, responsabile dell’Economia per l’Italia dei Valori.

“Questa scandalosa vicenda giudiziaria – continua il deputato IdV - ha già superato i confini del nostro paese,
tanto che la notizia è stata riportata dalla CNN.
Ci sarebbe un solo sistema, a questo punto, per salvare la credibilità del sistema finanziario italiano:
che un briciolo di buon senso spingesse Geronzi a dimettersi dalle importanti cariche che ricopre”.





(Cesarone Geronzi - Foto U.Pizzi)

213.215.144.81/public_html/articolo_index_33427.html

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01/08/2007 21:14

1 Agosto 2007
Geronzi: un passo indietro



foto corriere.it

Non può sfuggire a nessuno il differente peso politico e mediatico che è stato dato a due fatti.
Il primo, le intercettazioni di sei parlamentari di cui è stata chiesta l’autorizzazione per l’utilizzo in un procedimento giudiziario da Clementina Forleo, ha avuto prime pagine di giornali e servizi di telegiornali per settimane.
Il secondo, il rinvio a giudizio di Cesare Geronzi per il crack della Parmalat, è stato ignorato dai media nazionali e dai partiti, ma invece ripreso dalle testate finanziarie internazionali.
Cesare Geronzi, va ricordato, è stato anche condannato in primo grado a un anno e otto mesi per bancarotta preferenziale per Italcase. Cesare Geronzi è attualmente presidente di Capitalia e del consiglio di sorveglianza di Mediobanca. Una posizione di grande potere e responsabilità. Un ruolo dal quale dipendono gli equilibri della finanza italiana. Io non credo che la politica possa fare finta di nulla
, e guardare da un’altra parte, e i media minimizzare, come avviene ora per motivi che non conosco, ma che nascondono probabilmente delle contiguità tra il banchiere, alcuni partiti e alcuni editori.
Ce la prendiamo con dei politici la cui eventuale colpevolezza è ancora tutta da dimostrare, per i quali è comunque corretto autorizzare l’uso delle intercettazioni, e ignoriamo un fatto ben più grave.
Cesare Geronzi deve fare un passo indietro in attesa delle sentenze definitive, sia per la reputazione internazionale della finanza italiana, sia per rispetto dell’opinione pubblica.


Postato da Antonio Di Pietro in Economia
www.antoniodipietro.com/2007/08/geronzi_un_passo_indietro.html#...



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06/11/2007 15:49

DOPO TRAVAGLIO,
ANCHE GABANELLI HA PRESO NEL MIRINO IL “BERSAGLIO GROSSO”, CESARE GERONZI
(CON ACCUSE A DRAGHI SUI “REQUISITI DI ONORABILITÀ” DEL PRESIDENTISSIMO)

- EPPURE I GRANDI QUOTIDIANI NON RITENGONO CHE CI SIA NOTIZIA
(BUFERA LEGALE SU “REPORT”)…





S. Fi. Per “Il Sole-24 Ore”


La puntata di Report andata in onda domenica sera su Rai 3 e dedicata al caso-Capitalia ha suscitato reazioni e polemiche.
La trasmissione, condotta da Milena Gabanelli, aveva per titolo “Fin che la banca va”: prendendo spunto dalle inchieste sui “furbetti del quartierino” e sui rapporti tra l’ex banchiere della Banca Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, il numero uno dell’Unipol Giannio Consorte e l’immobiliarista Danilo Coppola, la giornalista ha alzato progressivamente il tiro.
In particolare, Report ha sollevato interrogativi sui requisiti di onorabilità di Cesare Geronzi
, ex presidente di Capitalia ora presidente del consiglio di sorveglianza di Mediobanca,
ma anche sull’operato del governatore di Bankitalia Mario Draghi, che da parte sua non avrebbe “alzato il sopracciglio” davanti alla nomina di Geronzi in Piazzetta Cuccia.


(Cesare Geronzi - Foto U.Pizzi)

Una nomina a cui, a giudizio di Report, non si sarebbe dovuto procedere in considerazione dei “precedenti” di Geronzi:
la condanna in primo grado a 1 anno e 9 mesi per concorso in bancarotta nel crack Italcase-Bagaglino,
il rinvio a giudizio,
un’interdizione,
una sospensione per i crack Parmalat e Cirio.

Per entrambi gli ultimi due provvedimenti, Geronzi ha ottenuto il reintegro da parte del CDA e dell’assemblea della banca.
E, accusa la Gabanelli, con il silenzio di Draghi.

La Banca d’Italia, come è consuetudine dell’istituzione, non ha commentato la trasmissione e le accuse, né lo farà:
il Governatore parla soltanto nelle sedi istituzionali.
Non è comunque difficile pensare che per Via Nazionale i rilievi della Gabanelli siano del tutto fuori luogo:
sui requisiti di onorabilità, non è il Governatore, ma un decreto del ministero del Tesoro a fissare i criteri necessari per ricoprire cariche nelle banche e questi vengono meno solo in caso di condanna definitiva passata in giudicato, cosa che nel caso di Geronzi non è avvenuta.

Sul tema, comunque, il ministro del Tesoro ha allo studio una modifica.

Il banchiere romano ha invece risposto all’attacco di Report:
i suoi legali sono stati incaricati di presentare querela e richiesta di risarcimento danni nei confronti di Milena Gabanelli e della Rai.

[SM=x44466] [SM=x44465] [SM=x44467]

La trasmissione, secondo i legali di Geronzi, ha rappresentato “episodi marcatamente deformati e offensivi”.
Durante la trasmissione è stato fatto riferimento a un’indagine interna promossa a inizio anno dall’ex ad Matteo Arpe suoi costi, pari a circa 30 milioni, della divisione comunicazione della banca.


Dagospia 06 Novembre 2007
213.215.144.81/public_html/articolo_index_35648.html

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15/11/2007 18:45


ARPE DIEM - “DIETRO A “REPORT”, UN GIORNALISMO DI ALTISSIMA QUALITÀ, CHE ESCLUDE CHE DIETRO CI SIA QUALCUNO. SPESSO CHIEDERSI CHI C’È DIETRO SERVE A SVIARE L’ATTENZIONE DAL CONTENUTO”…


Paola Pilati per l’Espresso, in edicola domani




Non ho voluto firmare un “confidentiality agreement” perché non ce n’era bisogno:
vengo da un mondo in cui la riservatezza, non l’omertà, è un valore essenziale... Matteo Arpe rompe con “L’espresso” un silenzio di quasi sei mesi.

Da quando, la sera del 31 maggio, uscì dal portone di Capitalia, la banca romana di cui era stato l’amministratore delegato, con i soldi della sua buonuscita e un buon numero di stock options, ma anche con un bel groppo in gola.
Dopo cinque anni, l’avventura alla guida della banca romana si era conclusa con la vendita del gruppo Capitalia a Unicredito. Vendita che non è stato Arpe a condurre in porto, ma da cui anzi è stato tagliato fuori dal presidente della banca, Cesare Geronzi. Con il seguito di inevitabili dimissioni. Ultimo atto di un rapporto di vertice sempre più ruvido e conflittuale.


Ora Arpe torna con un suo gruppo finanziario, Sator.
Il duello a distanza
, anche se ovviamente da tutti smentito, resta. È tuttora pendente una vicenda giudiziaria, il rinvio a giudizio di Geronzi per il caso Ciappazzi-Parmalat, che ha coinvolto anche Arpe. Ed è troppo piccolo il circuito bancario italiano, troppo ambizioso l’orizzonte dei due protagonisti. L’anziano banchiere proiettato al centro del sistema di potere che fa capo a Mediobanca, di cui è diventato presidente del consiglio di sorveglianza, il giovane che, dopo essere stato corteggiato per incarichi di prestigio all’estero (anche il ruolo di ceo per un grande gruppo bancario europeo), sceglie di restare e di costruirsi un’attività finanziaria su misura.

Una holding in cui mette tutto il suo denaro, la sua reputazione, e il suo team di collaboratori, in maggioranza provenienti da Capitalia. Quasi a ribadire che la scommessa professionale si fa con la stessa moneta umana, e che il successo di Capitalia resta un suo asset personale, da reinvestire altrove.

Cosa pensa della fusione tra Unicredito e Capitalia? È vero che non le è piaciuta?
«Non ho mai detto questo: nella mia lettera di commiato ai dipendenti l’ho definita un progetto di grande valenza industriale, e ne ero convinto».

Capitalia è stata valutata poco?
«È un tema mal posto. C’è una differenza sostanziale tra la cessione di un’azienda, dove chi vende cerca di massimizzare il valore, e una fusione tra due realtà, dove gli azionisti scommettono sul successo dell’aggregato e partecipano al risultato complessivo nell’ambito di una governance comune. In quest’ultimo caso la bontà dell’operazione si può valutare solo ex post».

Per ora le cose al titolo Unicredit dopo la fusione non sono andate molto bene. Ma forse è stata anche colpa della crisi dei mercati che ha coinvolto le banche: dai subprime ai derivati...
«La crisi dei subprime ha investito l’intero settore finanziario a livello mondiale. Ed è comunque seguita ad anni in cui c’è stata in tutti i mercati un’eccezionale abbondanza di liquidità ed una ridotta percezione del rischio».

Capitalia aveva i subprime?
«Al momento della mia uscita Capitalia non aveva alcuna esposizione diretta o indiretta ai subprime».


Come ne siete rimasti fuori?
«Avevamo scelto di non investire in questi prodotti, anche se davano ottimi rendimenti. Il perché lo abbiamo dichiarato all’epoca. In primo luogo, se il rendimento di questi prodotti è altissimo, è evidente che c’è un rischio elevato. Secondo, se la banca è disponibile a prendersi un alto rischio, meglio che lo faccia direttamente, e non comprando attività di altri. Del resto, anche per quanto riguarda i nostri mutui immobiliari in Italia, la nostra politica è sempre stata molto conservativa: quelli al 100 per cento del valore dell’immobile noi non li abbiamo mai trattati e anche quando tutto il mercato li offriva, abbiamo fatto un accordo con General Electric per vendere un loro prodotto. Lo stesso vale per la rata del mutuo: se è il 70 per cento del reddito, è evidente che il cliente si sta prendendo un bel rischio, perché il primo rialzo dei tassi lo metterà in difficoltà, compromettendo il suo tenore di vita. Per redditi medi a Capitalia non andavamo oltre il 40 per cento del rapporto rata-reddito. Forse avremo perso qualche operazione, ma penso che i clienti oggi ce ne siano grati».

E dei derivati che ne pensa?
«Di per sé sono solo uno strumento finanziario, e non sono né buoni, né cattivi. Quello che importa è l’utilizzo che se ne fa. In tutto il mondo c’è una forte dicotomia tra la specializzazione di chi opera nel mondo finanziario e bancario e la capacità del cliente di percepire la sofisticazione degli strumenti offerti. Ma questo vale per qualsiasi prodotto. Non si può vendere una polizza a capitalizzazione ventennale a un ottantenne. In generale è importante che la banca sia investita della responsabilità di valutare il cliente, le sue effettive necessità e il suo profilo di rischio. Nel nostro caso avevamo investito importanti risorse in un sistema informatico che aiutava i colleghi a meglio individuare le esigenze finanziarie del cliente, impedendo addirittura la vendita di prodotti inadatti a quel determinato cliente».

Non ritiene necessario quindi che si stabiliscano nuove e più stringenti regole al comportamento degli intermediari finanziari?
«Francamente no. L’aspetto essenziale è l’autodisciplina degli operatori, perché è impossibile che il legislatore inibisca tutte le fattispecie di comportamenti “inadeguati”. La legge definisce il perimetro delle cose lecite rispetto a quelle illecite. Le regole della “compliance” stabiliscono, all’interno di quel perimetro, limiti di correttezza ben più severi: anche se è legale vendere prodotti con un elevato profilo di rischio, non sempre questo risponde a un comportamento corretto».

Torniamo a lei. Il “Financial Times”, ha scritto che nella vicenda Capitalia lei è stato una vittima, e anche che nel mettere in piedi la sua nuova attività qualcuno le ha dato filo da torcere. È vero? E chi è stato?
«Nell’economia non ci sono né vittime né carnefici. L’unica legge che conta è il giudizio dei clienti e dei colleghi. Considero la storia di Capitalia un grande successo e rimango profondamente legato alla banca e alle tante persone che ne hanno reso possibile un rilancio, che molti giudicavano impossibile. Quanto a Sator, è arrivato qualche attacco. Ma non ha rilevanza. L’iniziativa è stata lanciata come volevamo noi».


Molti pensano che ci sia stato lei dietro alle denunce di “Report” di un paio di settimane fa su come venivano gestiti disinvoltamente alcuni finanziamenti della banca. Come risponde?
«Molti? Forse qualcuno, che non mi conosce. Penso che dietro a “Report” ci sia solo un giornalismo di altissima qualità, e una deontologia professionale che ammiro. Giudizio largamente condiviso, che esclude che dietro ci sia qualcuno. Spesso chiedersi chi c’è dietro serve a sviare l’attenzione dal contenuto».

Perché ha scelto di restare in Italia?
«Credo che in Italia, a dispetto della grande litigiosità e della mancanza di spirito di sistema che ci caratterizza, ci sia un enorme potenziale di talenti e di opportunità. Ci sono molte aziende ben gestite, che magari non stanno tutti i giorni sotto i riflettori, ma che fanno la gran parte del loro fatturato fuori dall’Italia. Oggi per un’azienda di successo è vitale aprirsi al mondo, capire che il nostro mercato domestico ormai è l’Europa. Per questo abbiamo voluto caratterizzare Sator come un gruppo europeo con sede in Italia».

Con sede a Roma, anche se avrete uffici a Milano e Londra. Controcorrente. Come mai?
«Ho ritenuto importante restituire un centro finanziario alla città. E a Roma ci sono le persone che rendono possibile fare banca nel modo migliore. Le dirò di più: uno dei moventi fondamentali, nell’intraprendere questa nuova attività, è rappresentato dalla volontà di riunire professionisti che hanno un idem sentire nel modo di fare business. Si trattava di mettere assieme non soltanto professionisti, ma soprattutto persone che stimo».

Che ne pensa dell’incrocio di poteri che domina la finanza italiana, dove due “grandi vecchi” come Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli governano non solo le rispettive banche, ma anche, grazie a un incastro di partecipazioni e patti di sindacato, una serie di aziende, dalla Rcs alla Telecom, alle Generali?
«Non ne farei una questione generazionale: in Mediobanca Enrico Cuccia, quando mi ha nominato direttore del servizio finanziario, aveva oltre 80 anni, mentre io ne avevo 33. Quanto al nostro capitalismo, oggi le sfide che si trova di fronte sono la competizione europea, il fenomeno delle aggregazioni, della crescita dimensionale. Tanto più un’azienda cresce, tanto più ha bisogno di entrare nei mercati internazionali e di attrarre capitali internazionali. Le grandi aziende quotate in Italia hanno una sostanziale e crescente presenza di azionisti esteri che affianca gli azionisti stabili italiani, frequentemente raccolti nei patti di sindacato».

Prevede la fine dei patti di sindacato così tipici nella galassia del nostro capitalismo?
«Chi compra e vende ogni giorno i titoli quotati, chi insomma fa crescere il valore del titolo, che rimane l’unica vera difesa in un mercato non più domestico, sono gli investitori istituzionali, non gli azionisti stabili. I patti di sindacato hanno il compito di garantire la stabilità. Se il patto è in grado di accompagnare la crescita, fa il suo mestiere, se agisce come limite, se si difende dal mercato, no».

Dica una parola definitiva sulla sua liquidazione da Capitalia.
«Qualcuno ha voluto enfatizzare l’attenzione sul momento della mia uscita dalla banca forse per distogliere l’attenzione sui sei anni dentro la banca. Comunque sia, è pubblico: 30 milioni lordi più le stock options che non ho ancora esercitato; ai prezzi attuali, molto inferiori a quelli prima della mia uscita dalla banca, la plusvalenza netta ha un valore virtuale di 4 milioni circa. Non le ho esercitate perché non ne avevo necessità».

E le altre azioni Capitalia che aveva comprato sul mercato come suo investimento personale, le ha ancora?
«Nel corso degli anni ho comprato più volte azioni Capitalia, nei momenti di difficoltà del titolo, per dare il segnale che il management stesso era il primo a credere negli obiettivi di crescita che si era dato. Ora ho esercitato il diritto di recesso. Il corrispettivo che mi sarà liquidato si aggirerà sui 14 milioni di euro. Sostanzialmente tutto il mio patrimonio l’ho reinvestito per creare Sator. Ci credo».


Dagospia 15 Novembre 2007

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Pochi minuti fa sembra che Cesare Geronzi si sia dimesso dai vertici di Generali.... [SM=x44466]
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