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Ultimo Aggiornamento: 04/04/2007 21:53
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15/03/2007 17:47

«Il Giornale», quando il veleno viene chiamato scoop

Eduardo Di Blasi
l' Unità
15-03-2007

SI STUPIVA, ieri, Silvio Berlusconi, che «proprio le vittime che hanno subito dei ricatti vengono messe alla berlina e diventano oggetto di aggressioni mediatiche di vario tipo». Diceva: questo «non è ammissibile». Motivava: «Tanto più se si tratta di fango non supportato da alcuna prova». E lo diceva nel giorno in cui «Il Giornale» di famiglia apriva con un titolo a tutta pagina «Ricatto al portavoce di Prodi», e un’intercettazione telefonica dal titolo inequivoco: «A Fabri’, ho un politico che va a transessuali» (impreziosita da una foto del portavoce del governo Silvio Sircana e un’intervista di spalla). Quell’intercettazione nell’ordinanza era coperta da «omissis». Ma, affermano dalla redazione del quotidiano, l’omissis non esisteva «nella richiesta di arresto presentata dal Pm Woodcock e a disposizione dei difensori». Fatto sta che Il Giornale di Berlusconi ha pubblicato intercettazione, nome e foto di Sircana, con il solo risultato di esporlo sulla pubblica piazza. Nel primo pomeriggio, mentre la bufera su Maurizio Belpietro non è che una lieve pioggerella, il direttore del quotidiano risponde tranquillo: «Siamo sicuri che Berlusconi si riferisca a Sircana e non al fatto che tutte queste notizie escano regolarmente sui giornali? Perché il problema non è Sircana, il problema è che Sircana, insieme a tante altre vittime, è finito sui giornali, e nessuno naturalmente si è indignato molto». Se si pubblicano notizie su vallette prezzolate, calciatori e imprenditori ricattati, si possono pubblicare anche quelle di un fotografo che pedina un esponente politico per provare a ricattarlo. Il problema delle fughe di notizie, spiega «non riguarda il giornale che pubblica le notizie, ma le Procure. Se ho delle notizie, le pubblico. Io faccio il giornalista. Così come ho pubblicato il bacio in fronte di Fiorani a Fazio, così come ho pubblicato le conversazioni tra Consorte e Fassino», rivendica. Un modo di procedere, insomma. Che ha effettivamente una sua storia. Nella primavera del 2003 Il Giornale, dopo la grande campagna sulla Commissione Mitrokhin, inaugurò l’epopea di Telekom Serbia. Si andava dalle accuse di un ammiraglio, al dossier dei «consumatori serbi», alla mediazione «affidata a una società di mangimi di Skopje». Non era ancora arrivato sulla scena Igor Marini, il «supertestimone». Il «Pico della Mirandola» che accusava Prodi, Dini (simpaticamente chiamati nei titoli con i loro «nomi in codice» di «mortadella» e di «ranocchio») Fassino, Veltroni, Mastella, Rutelli, Bordon e altri di essersi spartiti una mega-mazzetta di 400 miliardi. Nell’agosto 2003 fu un fuoco di fila: «Marini accusa», «Marini non si ferma e accusa tutto l’Ulivo». C’era: «Un fascicolo segreto fa paura alla sinistra». E anche «due morti sospette». La campagna finì con il superteste Marini in carcere per truffa e calunnia e a processo per aver infangato con false accuse i politici coinvolti. Lo stesso amore per la notizia portò il giornale di Belpietro a pubblicare, il 2 gennaio del 2006, un’intercettazione tra Consorte e Fassino. Il documento non veniva da una Procura «colabrodo», non essendo mai stato trascritto (non essendoci nessuna notizia di reato). Il segretario dei Ds commentò ferocemente: «Il Giornale persegue la strategia di Goebbels: calunnia, calunnia qualcosa resterà». Il quotidiano di Belpietro oggi ha due problemi, tra loro connessi. Il primo si chiama «Libero». Il giornale aggressivo confezionato da Vittorio Feltri attrae anche i lettori «delusi» dal centrodestra. Anche per questo le penne vanno sempre tenute affilate. Il senatore Paolo Guzzanti, prestigioso collaboratore della testata di Belpietro, da mesi tiene desta l’anima del popolo berlusconiano invocando discese in piazza e politiche da assalto alla diligenza. L’altro problema che ha «Il Giornale» è però il «partito Mediaset» che, in questo momento, con il ddl Gentiloni e la legge sul conflitto di interessi ancora in pista, non sarebbe intenzionato a fare la guerra a Prodi e al suo governo. Ecco perché, in perfetto stile british, il Tg5 dell’una ha glissato sulla faccenda di Sircana. Mentre quello delle venti ha iniziato con la dura reprimenda di Berlusconi al giornale di famiglia. Mentre sia Enrico Mentana che Carlo Rossella hanno pubblicamente deplorato la scelta del quotidiano. Sul tema Belpietro è tranquillo: «Ribadisco: Berlusconi non cita né “Il Giornale” né il caso Sircana. Punto primo. E poi, francamente se qualcuno mi deve chiedere le dimissioni, quello è il mio editore che si chiama Paolo Berlusconi». A difenderlo c’è anche Feltri, che «non condanna» il collega ma chiarisce: «Sircana è una persona per bene».

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