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Oggi la presentazione del libro di Benedetto XVI: "Gesù di Nazaret"

Ultimo Aggiornamento: 28/05/2007 18:49
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14/04/2007 11:06

Basta prediche da Cacciari l'Anticristo

Scritto da: Nikki72 14/04/2007 9.35




E' passato un anno, quindi ti dico quello che ricordo: la puntata era dedicata all'enciclica Deus Caritas Est, Cacciari la commenta molto positivamente dicendo che è un testo che "corregge" la tradizionale impostazione cristiana che vede l'Eros in secondo piano, se non addirittura rifiutato, e apprezza il fatto che il papa neghi la contrapposizione fra Eros e Agape. una contrapposizione che invece Ratzi mette fra la teologia cristiana e le altre filosofie, cosa che invece per Cacciari è sbagliata o comunque non esatta. però la litigata con Socci è nata dalla definizione delle parole "filosofia" e "ideologia": Cacciari dice che sono una la negazione dell'altra, che la filosofia nasce dall'incontro di culture e pensieri diversi e dal confronto e quindi porta all'evoluzione della società, mentre l'ideologia è un pensiero che viene imposto e su cui non si può discutere, quindi decisamente una cosa negativa e che non può portare alcun progresso. Socci lo ha contraddetto più volte ribadendo che i termini "filosofia" e "ideologia" sono invece sinonimi e abbiano lo stesso significato. Cacciari a quel punto si altera e lo prende per matto (o quasi). Socci tenta di ribattere ma vede che è in netta minoranza (anche Vespa sembra non appoggiarlo) e non apre più bocca [SM=x44453]






[SM=x44462] [SM=x44458]

[SM=x44499] Leggiti anche questa intervista a Cacciari (anticipata da una sua biografia):


Intervista con l’Anticristo


Così l’ha definito Antonio Socci. Qui Massimo Cacciari spiega il suo rapporto con il cristianesimo, le sue critiche alla chiesa, il suo interesse per gli angeli, i suoi teologi preferiti, il suo Gesù dell’amore


di Giulio Meotti

Sono diversi anni ormai che Massimo Cacciari predica nelle cattedrali.
Parla tedesco e francese, padroneggia greco antico e latino, forse sanscrito ed ebraico. Padre medico e madre figlia di una famiglia di artisti, Massimo Cacciari al ginnasio era il migliore. Di lui Toni Negri dice: “Incredibile vedere un giovane destreggiarsi così con Walter Benjamin quando gli intellettuali dell’epoca non sapevano nemmeno dove stesse di casa”.
Guai a contraddirlo oggi che spiega a Benedetto XVI che c’è bisogno di più amore. A meno che non si conoscano termini come edi kalòn o kalokagathos.
E’ stato attaccato da un altro magnifico superbo, Antonio Socci, per il quale Cacciari è il laico meno adatto a presentare il libro su Gesù di Joseph Ratzinger. E i toni erano un po’ da scomunica. Anticristo.
Sebbene vanitosissimo, Cacciari non è mai effimero. E’ un uomo eminente, studi con il grande filologo Giorgio Pasquali e l’ellenista Carlo Diano. Se è mai stato comunista lo era in modo religioso, messianico, purista.
Il suo pavé più celebre, “Krisis”, negli anni Settanta spezzò la schiena al pensiero negativo. Riconosce le grandi acquisizioni, universalistiche ma non prescrittive, dell’evangelizzazione e dei suoi destini, ma della dimensione religiosa conserva una visione perlata ma rarefatta, suadente ma una punta torva, fintamente umile, fra la complessità del reale, la fin troppo umana umanità di Cristo e il senso del tragico. Cristianità innamorata di se stessa, pedagogia al posto di catechismo, scuola di modestia tranne che per i suoi portavoce ermetici. Privilegia una chiesa aerea e pneumatica,
“mondo tra i mondi” al passo coi tempi.
Cacciari è intimo di monsignor Gianfranco Ravasi, stile eterno e notorio, esegeta trendy da filippiche contro “la roba”. Non è un illuminista dello scarto modernista, conosce il fondale buio del nichilismo, ma l’ha sepolto sotto tremila pagine adelphiane di sublime apologetica nicciana. E quando il nichilismo si incarna davvero nei segni della storia, lui torna a predicare esperienza e amore.
Massimo Cacciari non è del genere criptico alla Emanuele Severino o luddista alla Gianni Vattimo, è un tramonto freddo con cascami angelizzanti, cristianesimo che si considera originario e turoldiano, reso trasparente dagli afflati di un R. M. Rilke. E’ “intenso e affettuoso” come Mario Luzi, come un’omelia da pieve di montagna.
E’ facile immaginarselo nel Duomo di Milano, nascosto nella penombra, i faretti che gli illuminano il volto, mentre parla di vanità, hével, fumo, rùach, soffio, dal Libro di Giobbe. Il motore del cacciarismo è il casuismo possibilista che faceva fremere Pascal. Più che pensiero debole, è metafisica fragile.
Genere un solo Dio, molti nomi per dirlo. I cristiani non devono rinunciare all’annuncio della salvezza, ma comunicare con il proprio tempo senza arroganza, fedeli alla parola di amore, sempre l’amore, che Cristo ha affermato contro l’intolleranza. Norma di comportamento, non dogma; compassione, non verità rivelata. Come ha detto il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, il cristianesimo è “complesso d’amore”.
Come tutti i filosofi prestati alla religione,
Massimo Cacciari sarebbe un grandissimo docente di omiletica. Concorda con il cardinale Giacomo Biffi quando dice che “la verità è dura”. Infatti per capirlo spesso si fatica.
Bisogna guadagnarsele tutte quelle parole intrappolate tra il palato e la gola e divise da trattini, calembour, allografi e neologismi. Non a caso è amico dell’arcivescovo di Chieti Bruno Forte, quello della fondamentale distinzione fra il limite e la soglia. L’orfico Cacciari è uno di quelli che si inalbera perché “è” è stato ridotto a copula. Si è abbeverato delle liriche di Hölderlin, dei frammenti presocratici e delle vette nulliste di Meister Eckart. E di Pascal, Lutero, sant’Agostino, Bultmann e Lukács. Del quale condivide il puritanesimo gesuitico.
Per Cacciari l’annuncio giudeo-cristiano, l’uomo chiamato alla salvezza nell’unità di materia e di spirito, sangue e carne, è unico nella storia delle religioni.
Non è uno spiritualista. Ma è difficile liberarsi dell’impressione che anche lui faccia parte del postmoderno e postconciliare dominio dello spirito, del significato e del simbolo.
Di coloro che vogliono una chiesa deistituzionalizzata.
Se il cuore della Riforma è che il Verbo non è si è fatto carne ma carta e l’akmé è un libro con il suo tipografo, Cacciari è un geniale esegeta protestante, problematico, flagellante, ispirato. E’ tra i pochi laici a riconoscere che il contrario della fede non è la ragione, ma la superstizione.
Quando quest’uomo eruditissimo parla di alienazione, angoscia e deiezione non fa altro che riproporre una sorta di “felix culpa” cristiana. E’ la mentalità tedesca ossessionata dalle tenebre turbolente dell’iniziazione. Cacciari è un metateologo il cui linguaggio altissimo è imbevuto di pietismo,scolastica e dossologia luterana. Il rischio è assimilare il “Dio è morto” di Nietzsche alla Pasqua cristiana.
Sono anni che coltiva legami con la chiesa. Da sindaco di Venezia, “città ortodossa”, ha tenuto convegni sui cristiani in Iraq, “terra di profeti”.
Con il cardinale Carlo Maria Martini ha discusso di sant’Agostino (“l’uomo per il vescovo di Ippona è chiamato da una Voce che egli sa in qualche modo riconoscere e nominare”). Ha definito Karol Wojtyla “l’unico che dà voce a valori forti”. Pensiero e preghiera in lui coincidono, “così è per Filone, per Plotino, per la patristica, la scolastica, per i mistici. Quando Kant parlava di ‘abisso della ragione’, denunciava il limite entro il quale la filosofia non ha più risposte. Questo limite è la scoperta che la percezione dell’esistenza delle cose è essa stessa un limite alla conoscenza”.
Non sorprende che il nicciologo con la barba moscovita e gli occhi di brace sia chiamato a presentare in Vaticano il libro di Ratzinger assieme all’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn. Nel libro “Della cosa ultima”, Cacciari scrive che “la legge del Figlio, dei liberi, diviene quella della Libertà. Per obbedire a chi ce ne ha fatto dono non possiamo fare altro che agire liberamente. Cristo ci ha liberati per la libertà”.


§ § § § § * * * § § § § §



“Il mio rapporto con il cristianesimo è di necessità” dice a colloquio con il Foglio. “Non ne posso fare a meno per pensare, non penso più la storia senza il cristianesimo, non penso la logica senza passare dal Deus Trinitas, non penso la critica del presente per liberarmi degli idoli creati dal materialismo marxista”.

Un accenno a parlare di “scandalo” e il filosofo interrompe.
“Dobbiamo usare la parola nella dimensione etimologica di problema. Scandalo come problema per il non credente. Un uomo di fede ha una relazione senza mediazione con il rivelatum, la parola di Dio. Per un credente il cristianesimo costituisce un non problema. Per un non credente la parola biblica è ostacolo sul cammino, cristianesimo è scandalo per la sapienza del non credente, la sofia. E’ così per la tradizione occidentale. Il cristianesimo è la dimensione essenziale dello spirito europeo, parlerei come Novalis di ‘Europa o cristianità’”.

Vietato citare l’identità.
“Nessuna radice identitaria. Il cristianesimo è domanda continua sul proprio significato, è energia rispetto alla ragione.
La fede è fondamentale per la ragione perché la interroga, la stimola. L’uomo è un cuore inquieto non sedato”. Non ha avuto un’educazione cristiana. “I miei genitori erano agnostici, non praticanti, non hanno avuto alcun ruolo.
Ho incontrato il cristianesimo al liceo nei primi studi di filosofia grazie a Sören Kierkegaard”.

Non vola mai basso.
“La mia scuola è stata il genio danese. Solo negli ultimi vent’anni ho approfondito la Scolastica. Prima ci sono stati Pascal e Agostino. Il cristianesimo è scandalo per la ragione costretta a venire ai ferri corti con quest’irriducibilità.
Per l’interrogazione filosofica il cristianesimo presenta tratti peculiari, riconosciuti dal giudaismo e poi dall’islam. Cosa costituisce il cuore di questa parola cristiana?
Qual è la paradossalità della religione cristiana? E’ qualcosa che va oltre il senso comune religioso. Questo paradosso è il rapporto fra unità e molteplicità, uno e molti, sommo bene e differenze. La straordinarietà e la paradossalità del cristianesimo è concepire questa relazione come necessaria ed eterna”.

Prova a essere più concreto.
“In san Giovanni è evidente nel rapporto fra il Figlio e il Padre. La riflessione trinitaria è imposta in modo straordinario in quell’uomo in carne e ossa. Supera ogni dimensione messianica.
Il Figlio si rivolge al Padre come ‘io sono tu’”. Da qui la tradizione mistica. “Cristo è quest’uomo che mangia, dorme e vive come noi, non è un uomo sublime né ascetico, vive e soffre, vuole parlare e parla. Questo è lo scandalo che assilla l’Europa”.

Dice di aver accolto con letizia la richiesta di presentare il libro di Ratzinger.
“Ho sempre scritto sul rapporto fra filosofia e teologia e a Gesù ho dedicato molte pagine. In particolare al Gesù di Nietzsche. Un filosofo su cui corrono leggende molto superficiali, anche nella chiesa. In Nietzsche c’è ammirazione feroce per la figura di Gesù. Come si fa a non vedere la divinità della figura di Gesù? Chi può aver detto il Discorso della montagna se non Dio? Mi pare che Ratzinger nel libro non sia molto lontano dal tratteggiare Gesù come ha fatto il cardinal Martini. Forse Ratzinger sottolinea meno il carattere inaudito del cristianesimo.
Ma è un saggio bellissimo di cui non si capisce l’importanza se lo paragoniamo all’ossessione legalistica della chiesa di questo periodo”.

Per Cacciari in Gesù l’elemento decisivo
“il suo mandatum novum è l’amore, la misericordia, l’assoluto antilegalismo che ha fatto dire a molti che solo impropriamente si può parlare di una religione cristiana. Gesù non è cosmopolitismo disincarnato, ma ciò che lo rende straordinario non è neanche l’obbedienza alla legge, ma alla parola. ‘Seguimi’, abbandona tutto, c’è sempre la parola. Il cristianesimo ha rotto con il giudaismo su questo punto, è l’uomo nobile che non cerca l’affemazione in questo mondo.
L’uomo che non si impone secondo le leggi di questo mondo. Non si ama il nemico come se stessi in questo mondo”.

Nel suo cristianesimo non c’è solo Karl Barth, ma anche Carl Schmitt.
“Non penso come molti miei amici laicisti che la tradizione politica della grande chiesa romana sia un tradimento di questo messaggio evangelico originario. E’ un messaggio che batte sull’incarnazione, il logos si incarna in questo mondo. Ne deriva anche la necessità della grande forma politica della chiesa romana, la fondazione che Gesù forma intorno a sé, e che in modo consapevole sa che lo tradirà. La consapevolezza di doversi organizzare in modo immanente è stata fondamentale e la chiesa politica deriva dal dogma dell’incarnazione”.

A Roma presenterà il libro assieme a Schönborn, che oltre a essere cardinale è anche uno dei più grandi pensatori della chiesa.
“Il tema dell’inizio è stato dimenticato dalla cultura filosofica novecentesca, dominata dallo storicismo. L’origine è il tema di ciò che dà origine, la causa. Da un punto di vista logico che la causa sia ente sommo o Big Bang non cambia niente. Si tratta sempre di qualcosa di determinabile. E’ il grande problema della teologia, Flaubert diceva che la stupidità è il voler concludere.
Nessuno sa se arriveremo mai a una conclusione su questo punto. Il problema è un altro: comprendere se è possibile pensare l’inizio come pura apertura, lasciar essere e non come causa definita. L’inizio come possibilità. Esiste una teologia che vuole liberare lo stallo in cui versa oggi la chiesa. Io tradurrei l’inizio di Giovanni così: ‘Nell’inizio sta Dio e il logos’.
Grandi pensatori come Cusano, Eckhart e Schelling tentarono di procedere in questa direzione”.

Veniamo ai nomi che più gli stanno a cuore nella chiesa.
“La figura che venero di più è Martini con cui avviai la cattedra dei non credenti a Milano.
E poi Piero Coda e Bruno Forte, con il quale discuterò il mese prossimo di Franz Rosenzweig. E poi Enzo Bianchi, priore di Bose, che ho chiamato a insegnare al San Raffaele. E Natalino Valentini che ha immesso Pavel Florenskij nel dialogo e ho una venerazione per il mio patriarca emerito Marco Cè. Sono vicino ai credenti che parlano della paradossalità del cristianesimo.
E poi monsignor Ravasi con il quale ho un legame filologico.
E infine Nino Fasullo di Palermo. E’ vent’anni che parlo con loro. La chiesa cattolica è una grande forma politica culturale. Penso sia del tutto ridicola la pretesa dei laici di ridurre la dimensione religiosa cristiana a un fatto del cuore. E’ una completa insensibilità storica propria di un certo illuminismo razionalistico. Il cristianesimo non è, come l’islam, una pura religione del cuore”.

Parliamo di questi due anni di pontificato di Benedetto XVI.
“Sono stati anni difficilissimi, l’eredità profetica di Karol Wojtyla non poteva essere riscattata da nessuno. Dopo l’esplosione del profetismo del Papa polacco la chiesa ha avvertito la necessità di riflettere.
La chiesa si trova di fronte a un processo di secolarizzazione nei suoi aspetti nichilistici, sottovalutati dalla cultura laica. Il secolo che stiamo vivendo è affrontato male dalla chiesa, che invece di battere l’accento sui veri grandi aspetti del nichilismo, si occupa di aspetti indifendibili.
La mia è una critica partecipe. La chiesa privilegia il rapporto con un moderato razionalismo, quando dovrebbe confrontarsi con il radicalismo novecentesco. E’ una chiesa che sembra cercare di combattere il nichilismo della secolarizzazione attraverso il compromesso. L’importanza del libro di Ratzinger è nel tornare a parlare di Gesù. Il cristiano non si caratterizza per l’opposizione ai Dico, ma per la misericordia, il cuore che si spacca dal dolore e per l’inferno in terra, il rapporto con Cristo. E’ il fariseo che parla di obbedienza”.

La chiesa ha una grande responsabilità nella mancata alfabetizzazione della popolazione.
“Siamo completamente all’oscuro della tradizione religiosa.
Io voglio poter aprire una cattedra in teologia. Ma non è possibile in Italia. Le facoltà teologiche possono essere solo vaticane. Che scandalo.
L’alfabetizzazione dell’Europa alla sua tradizione giudaico-cristiana è un dovere”.

A Ratzinger imputa di aver impostato male il rapporto con l’obbedienza.
“L’obbedienza è positiva se si va alla sua autentica origine, obbedire come decidere di seguire. L’obbedienza del Vangelo è quella dell’uomoche scommette alla maniera di Pascal e che arrischia. Il cristiano non obbedisce come uno schiavo. Per questo il Concilio Vaticano II ha aperto una prospettiva grandiosa e ha richiamato i cristiani all’incarnazione nel mondo. Respirate a pieni polmoni, come miles, come chiesa militans, in questo mondo. In questo messaggio c’è il pericolo di un compromesso con forme di immanentismo e di subordinazione al mondo.
Ma la contraddizione maggiore del Concilio non appartiene al Concilio bensì al mondo che cambia. Oggi il dramma della chiesa è come stabilire un compromesso con il suo tempo.
Max Scheler che divenne cattolico pose il tema in modo decisivo. Così fece Max Weber. La chiesa del Novecento è la chiesa della lotta contro gli anticristi del totalitarismo. Cosa succede alla religione dell’ubi pecunia ibi patria e con l’idea che la religione sia sentimentalismo e poesia?”.

E’ accusato di essere gnosticheggiante.
“Sono l’opposto dello gnosticismo.
Per Marcione il crocifisso è un simulacro, Dio non può morire. Io sono un razionalista, gnostica è la cultura contemporanea per quanto di anticristico porta dentro di sé. Il cristianesimo per la gnosi è pura letteratura.
L’eresia cristiana più grande è la razionalizzazione dello scandalo cristiano. La gnosi è la riduzione della follia cristiana in filosofia”.

Un punto di svolta nelle relazioni fra la chiesa e le altre confessioni fu la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede “Dominus Iesus” del 2000.
“Quel documento non mi piace. Perché Cristo è uno che domanda e ha il cuore lacerato fino alle lacrime. Gesù si rivolge ai discepoli, chiede e non ottiene risposta su quando tornerà il figlio di Dio. Collocare la morte in Dio, ecco la sfida per la ragione moderna del cristianesimo.
Quando san Francesco dice ‘sorella morte’ parla di questo. Nella ‘Dominus Jesus’ c’è l’apodittica figura di Gesù che ha vinto la morte come Signore. Gesù non è il Signore meraviglioso che seduce tutti e che vediamo nelle absidi bizantine. E’ Signore perché sopporta la contraddizione. ‘Togliere i peccati dal mondo’ va tradotto con tenere sulle spalle, non eliminare in modo rassicurante”.

Nel suo libro Ratzinger riconosce a Marx il merito di aver svelato il volto dell’alienazione.
“L’ubriacatura del marxismo è stata deletaria perché ha oscurato il Marx grandissimo pensatore.
Capire che la forma merce, il denaro che rende tutto equivalente, sia ormai dominante su tutto e che questo sia il destino europeo fu una impresa intellettuale straordinaria. Ratzinger non ha più a che fare con le ideologie marxiste totalitarie, ma con il mondo profetizzato da Marx. E dunque lo riconosce”.

A settembre lei criticò il discorso di Ratisbona.
“Il Papa era ben lungi dall’offendere l’islam. Il dialogo è il riconoscimento delle differenze, non l’annullamento. Il dialogo va promosso nella sua autenticità di ciò che sostiene le differenze, tenendole in alto”.

Nei suoi libri ricorre spesso la figura dell’angelo.
“L’angelo è l’immagine di un mondo mediato, come uomini non viviamo tra l’astratta fantasia e la dura realtà. Vi è un mondo del simbolo rigorosamente costruito, pensiamo all’angelologia islamica e cristiana.
La bellezza cristiana è il simbolo, come l’icona e la liturgia, è luce costruita, non imitazione quanto simbolo della divinità. La gnosi è iconoclastica o, come Plotino, ritiene l’immagine un gioco. L’icona è reale, immagine della luce divina coerente con il mistero dell’incarnazione”.

Il Papa ha parlato di un illuminismo da salvare.
“Il Papa ha ragione quando dice questo, è l’illuminismo che va da Herder a Kant fino a Isaiah Berlin, è la filosofia vichiana della storia. L’illuminismo negativo è quello che tollera la dimensione religiosa pensando di risolverla in sé. L’illuminismo positivo in chiave religiosa fa emergere invece l’inconciliabilità delle tradizioni religiose. Auguste Comte è il prototipo di un illuminismo positivistico e progressista, un illuminismo della ragione viziata”. Alla fine si concede una battuta. “Se mi capita uno all’esame che sa tutto di Hegel ma non sa niente del Vangelo, io lo boccio subito”.


Il Foglio, 7 aprile 2007

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