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La figura di Maria Maddalena messa ai raggi x (by Asmodeus)

Ultimo Aggiornamento: 17/10/2007 21:24
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17/10/2007 16:21

intanto riposto un brano di un libro di David Donnini, si parla anche di Maria Maddalena:




IL "GIALLO" DI BETANIA



1. Ancora sulla cena del mistero


a) Maria Maddalena = Maria di Betania?

Di un fatto, fra tanti dubbi, siamo ormai sicuri: le identità dei personaggi principali, così come sono presentate dal racconto evangelico così come tutti lo conosciamo, sono quasi sempre pesantemente contraffatte. Probabilmente l'asse su cui si impernia il lavoro di sofisticazione delle identità è proprio la famiglia di Cristo, anche se a questo proposito dobbiamo fare un'opportuna precisazione. Infatti quando parliamo di famiglia del Cristo possiamo intendere due cose: la famiglia di origine, costituita dai genitori, dai fratelli e dalle sorelle, e la famiglia acquistata per matrimonio, costituita dalla moglie, dai cognati, dai suoceri e magari anche dai figli. Noi chiameremo appunto "famiglia di origine"e "famiglia acquisita" questi due nuclei. I luoghi caratteristici sono probabilmente il villaggio di Gamala, sulla riva orientale del lago Kinneret (il lago di Tiberiade), nel Golan, per la famiglia di origine, e il villaggio di Betania, a brevissima distanza da Gerusalemme, in direzione sudest, per la famiglia acquisita. Poiché il primo non è comunemente noto al pubblico (anche perché la Chiesa si è sempre sforzata, fin dai suoi primissimi giorni, di cancellare dal mondo la memoria del villaggio di Gamala, ho ritenuto opportuno indicare questa parte del lavoro col titolo "giallo di Betania". Questo piccolo centro abitato, veramente un gruppo di poche case, si trovava a circa tre chilometri dalla Porta Dorata del Tempio di Gerusalemme, una distanza che poteva essere tranquillamente coperta in poco più di mezz'ora di cammino a piedi, lungo la strada che fiancheggiava il Monte degli ulivi e passava accanto al giardino del Gethsemani (il frantoio). Il racconto evangelico lascia trasparire chiaramente il fatto che il Cristo avesse una ben precisa relazione con Betania, tant'è che nei momenti che precedettero la passione Gesù si trovava spesso nel villaggio: vi passava le notti, per esempio, e noi potremmo dedurre da questo fatto che lì si trovava la sua residenza abituale, quando sostava presso Gerusalemme. C'era forse qualcuno di cui egli aveva particolare fiducia e che lo ospitava in casa sua? Ed è forse possibile che il villaggio di Betania compaia come luogo importante degli spostamenti di Cristo solo nell'imminenza della passione? La risposta a quest'ultima domanda è negativa: varie testimonianze lasciano intendere che Betania non fu né un luogo occasionale, né una tappa unica nei movimenti di Cristo. Anzi, cercheremo di mostrare che si trattava di un luogo molto importante per lui: la probabile residenza della sua famiglia acquisita. Chi ha un minimo di dimestichezza con i testi evangelici ricorda certamente che Betania era il villaggio di Lazzaro, e delle sue sorelle, Maria e Marta. Prestiamo un attimo di attenzione a questi nomi: Lazzaro è l'italiano per Eleazar, Maria per Myriam e Marta per Thamar (Tamara, dal momento che Mar-ta è derivato da uno scambio sillabico di Ta-mar). Si tratta di tre persone alle quali Gesù voleva molto bene:

"Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro" (Gv 11,5).

In alcuni testi greci più antichi si legge che "Gesù amava Maria, e la sorella di lei, Marta, e Lazzaro". Per loro nutriva un affetto particolare, sufficiente, comunque, a sollevare le polemiche degli altri apostoli: di Pietro per esempio, com'è testimoniato da alcuni scritti apocrifi. Molti testi dello gnosticismo cristiano più antico sembrano dare una grande importanza al personaggio femminile di Maria Maddalena, considerandolo praticamente depositario di particolari insegnamenti iniziatici quali neanche Pietro e gli altri apostoli avrebbero ricevuto. Si scopre addirittura che molte chiese dedicate al culto di Maria, come la cattedrale francese di Notre Dame, non porterebbero affatto questo nome per la madre di Gesù, ma per Maria Maddalena - interpretazione che successivamente sarebbe stata modificata per assecondare determinate esigenze dottrinarie. Ci si chiederà, a questo punto, per quale motivo io stia citando Maria di Magdala quando la sorella di Lazzaro è Maria di Betania. In realtà non ho assolutamente cambiato né argomento né personaggio, giacché le due Marie sono una Maria solamente, come ben sapeva la tradizione più antica. Si tratta forse del caso più evidente di sdoppiamento di persona, tra i tanti che abbiamo segnalato nel corpo della redazione evangelica neocristiana. Ma come evidenziare questa ennesima operazione di sdoppiamento? A tale scopo occorre portare la nostra attenzione ancora una volta sull'episodio della cosiddetta "unzione di Betania", che i singoli Vangeli collocano in momenti e luoghi diversi, cambiando, oltre al quadro scenografico, anche l'identità dei personaggi. Innanzitutto va detto che tale episodio è collocato temporalmente dai quattro Vangeli in momenti diversi: Luca e Giovanni lo collocano prima dell'ingresso messianico in Gerusalemme, in particolare Luca lo colloca molto prima; Marco e Matteo lo collocano dopo l'ingresso messianico in Gerusalemme, praticamente a ridosso dell'ultima cena. La più diversa fra le quattro versioni è certamente quella di Giovanni, perché fa nomi di persone e di circostanze non presenti nei Vangeli sinottici. I tre sinottici affermano che il padrone di casa si chiamava Simone, mentre Giovanni non lo nomina; i sinottici sono d'accordo nel lasciare anonimi i personaggi di Lazzaro e delle sue sorelle, nonostante che il ruolo di Marta fosse quello di servire a tavola, ma soprattutto di lasciare anonima colei che fu protagonista dell'unzione: si sarebbe trattato semplicemente di "una donna". Tutti e tre i sinottici parlano del vaso di alabastro col profumo, mentre Giovanni ne definisce solo la quantità: una libbra. In realtà l'interpretazione tradizionale vuole che il brano di Luca non sia l'unzione di Betania, ma un'altra unzione completamente indipendente, avvenuta mentre Gesù si trova a casa di un certo Simone, nella circostanza di un banchetto, durante il quale giunge una donna, con un vaso di alabastro, che comincia a ungere Gesù, che viene rimproverata aspramente dai presenti e che viene difesa dal Maestro: le stesse identiche azioni, coincidenti perfino in alcuni dettagli particolari, come il fatto che Luca e Giovanni, a differenza di Marco e Matteo, parlano di unzione dei piedi, non solo della testa, e di asciugamento dei medesimi coi capelli della donna. Perché dunque dovremmo pensare che il brano di Luca si riferisca a un episodio completamente diverso? Le differenze consistono nel fatto che il brano di Luca è collocato in una posizione centrale del racconto evangelico, lontano dagli eventi della passione; ma questo può spiegarsi benissimo immaginando che l'autore, o i revisori, abbiano semplicemente anteposto il brano. Il luogo, inoltre, resta imprecisato, esattamente come nell'episodio lucano dell'incontro fra Gesù e le sorelle Marta e Maria in cui Betania non è nominata; ma questo è dovuto semplicemente al fatto che Luca non vuole identificare le persone di cui sta parlando; coerentemente con gli altri due Vangeli sinottici ha un atteggiamento censorio nei confronti della famiglia di Betania. Infine, le parole che Gesù pronuncia in difesa della donna, contro le accuse mossele dai presenti, sono diverse, anche se in definitiva configurano una circostanza identica. C'è poi un'altra differenza, della quale si può dimostrare facilmente come sia stata creata ad arte. Si tratta del vaso di alabastro che le traduzioni moderne del Vangelo lucano rendono semplicemente col termine "un vasetto", mentre il testo latino è inequivocabile: "attulit alabastrum unguenti (Lc 7,37). Perché questa omissione? Le troppe somiglianze del brano di Luca con quelli degli altri evangelisti danno fastidio? Il fastidio nasce sicuramente dal fatto che la tradizione è abituata a identificare la donna protagonista dell'episodio lucano nella persona di Maria di Magdala, anche se oggi qualcuno vuole precisare che la donna non è né Maria di Magdala, né Maria di Betania, contraddicendo così le affermazioni degli stessi Padri della chiesa. Infatti, come avrebbe potuto uno stesso episodio avere per protagonista due Marie diverse? La chiave di tutta la questione risiede nel fatto che, da un certo punto in poi nello sviluppo della tradizione cristiana, si è presentata l'esigenza di censurare completamente alcuni importanti personaggi che erano soliti accompagnare il Cristo in molti dei suoi movimenti. Erano personaggi famosi o per lo meno ampiamente conosciuti, legati ai più intransigenti gruppi del messianismo ebraico: esponenti e simpatizzanti delle sette essendo-zelotiche che tanto si erano distinte nella lotta per il rovesciamento del potere della famiglia erodiana e per la liberazione dal dominio dei conquistatori romani. Di costoro, nella narrazione evangelica che faceva da supporto alla predicazione di quel cristianesimo che ormai si era definitivamente staccato dalla sua matrice ebraica, non si doveva più sapere assolutamente nulla; se possibile dovevano essere cancellati dalla memoria dell'uomo. (E in pratica così è stato per quasi duemila anni: gli anni decisivi per la formazione del corpo dottrinale e teologico neocristiano. Solo in anni relativamente recenti il "caso" si è cominciato a riaprire). Coerentemente con questo proposito il Vangelo di Marco, il più antico dei sinottici, e quello di Matteo, hanno letteralmente fatto piazza pulita della famiglia di Betania, ovverosia di Lazzaro e delle sue sorelle Marta e Maria. È un fatto su cui non possiamo fare a meno di riflettere. Il miracolo della resurrezione di Lazzaro non esiste nei Vangeli sinottici: si tratta di una dimenticanza o di un'omissione intenzionale? E poi, a rafforzare il dubbio e le perplessità si aggiunge l'anonimato della donna che compie l'unzione a Betania, nonché l'assenza, nel quadro dei personaggi di questo banchetto, di Lazzaro (che "era uno dei commensali") e di Marta (che "serviva" a tavola): cosa aveva di tanto scomodo questa gente da essere dimenticata o lasciata anonima? Il Vangelo di Luca non tradisce l'atteggiamento censorio degli altri due sinottici, se non per il fatto che le due sorelle, Marta e Maria, vengono nominate una volta, ma in modo tale da non lasciare neanche lontanamente capire chi esse siano nella realtà:

"Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,38-42).

Come si può notare il brano è ambientato, temporalmente e spazialmente, in modo tale da far sembrare che Gesù sia capitato per caso in quel villaggio e in quella famiglia, né le suddette persone sono più nominate nel corso della narrazione, svolgendo così il ruolo di occasionali comparse. Non è altamente significativo il fatto che la tradizione sinottica abbia ridotto gli importanti personaggi della famiglia di Betania, quell'unica volta che essi compaiono, alla figura di semplici e anonime comparse? Ma l'operazione censoria più importante e palese, a proposito di questi personaggi, sta nel fatto che il Vangelo di Luca riporta il brano della unzione di Betania con una collocazione temporale diversa rispetto agli altri evangelisti - lasciando ancora una volta anonima la donna, il luogo, i personaggi - ma sta soprattutto nel fatto che la tradizione interpretativa si sia attestata sull'idea che la protagonista di tale unzione lucana, definita nel testo come "una peccatrice di quella città", fosse

"Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni" (Lc 8,2).

Da questo momento in poi l'unzione lucana è condannata a rimanere ben distinta da quella degli altri evangelisti; altrimenti come avrebbe potuto spiegarsi la duplice identità della protagonista? Oggi, per saltare a piè pari il problema, qualcuno, come abbiamo già accennato, distingue la peccatrice sia dalla Maria di Magdala che da quella di Betania. E il vaso di alabastro della unzione lucana, che assomiglia troppo a quello delle unzioni di Betania, si trasforma in un semplice "vasetto di olio profumato". La verità che emerge in modo abbastanza chiaro da tutto ciò è una sola: la tradizione sinottica, pur avendo cercato di cancellare, tutte le volte che era possibile, i personaggi della famiglia di Betania, si è trovata qualche volta nell'impossibilità di tagliare dalla narrazione evangelica alcuni episodi di importanza fondamentale, i cui protagonisti erano proprio quegli scomodi personaggi, e allora li ha presentati o in veste anonima o sotto identità contraffatte. Maria di Magdala è il prodotto della contraffazione sinottica del personaggio di Maria di Betania, sorella di una certa Tamara (Marta) e di Lazzaro, individuo conosciuto a Gerusalemme e introdotto negli ambienti del Tempio. Tutte le volte che i Vangeli sinottici hanno dovuto dare un nome a questa donna, non volendone lasciar intendere l'identità, l'hanno chiamata Maria di Magdala, utilizzando probabilmente il tipico meccanismo di contraffazione che abbiamo individuato in altre occasioni: sfruttare la somiglianza di alcuni termini ebraici con denominazioni geografiche (vedi Nazoreo che diventa di Nazaret, o Qanana che diventa Cananeo, o Galileo che non significa più zelota, ma cittadino della Galilea). Questa volta potrebbe essere il termine megaddela [pettinatrice] che si sarebbe trasformato in "di Magdala", dando così una provenienza e un'identità del tutto innocua alla peccatrice redenta. A sostegno di tale ipotesi va il confronto fra i seguenti due brani, uno dal Vangelo di Giovanni e l'altro, rispettivamente, da uno scritto apocrifo:

"Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi coi suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato..." (Gv 11,2).

"Questa è l'ampolla comprata da Maria peccatrice [quella che Luca definisce "una peccatrice di quella città"] e versata sul capo e sui piedi del Signore nostro Gesù Cristo asciugati poi coi capelli del suo capo..." (Vangelo arabo-siriaco dell'infanzia del Salvatore, 5,1).

Del resto l'antica liturgia latina considerava la Maddalena come la sorella di Lazzaro, ma questa identificazione, successivamente, è stata abbandonata.


b) Chi era Maria di Magdala/Betania?

A questo punto, le domande che sorgono spontanee sono: perché la tradizione sinottica aveva tanto bisogno di cancellare dalla narrazione evangelica ogni traccia della famiglia di Betania, dimenticandola, quando possibile, e ricorrendo all'alterazione delle identità, quando necessario? Chi era questa enigmatica Maria di Magdala/Betania? Secondo certi scritti apocrifi e certe tradizioni, non molto amate dalla dottrina cattolica, la risposta alla seconda domanda è breve e concisa: era la moglie di Cristo. Sul fatto in questione è stato scritto e detto molto; noi riassumeremo qui alcune argomentazioni fondamentali a favore. Innanzitutto il fatto che i Rabbì erano sempre sposati, e noi vediamo che il Cristo è chiamato "Rabbì" numerose volte sia nel Vangelo di Matteo che in quello di Giovanni, nei quali si conserva il termine ebraico anche nelle traduzioni moderne, mentre nei Vangeli di Marco e di Luca il termine compare solo nella versione tradotta: Maestro. Come poteva il Rabbì assumere questo titolo senza essere sposato? Quando mai, inoltre, gli scritti evangelici affermano in modo esplicito che il Cristo era una persona priva di moglie e figli? Ha forse egli predicato in favore del celibato? Se lo avesse fatto, la cosa sarebbe stata così singolare, nel contesto delle concezioni ebraiche, da sollevare lo stesso tipo di scalpore che sollevavano i discorsi sul riposo del Sabato, e i Vangeli vi avrebbero dedicato la stessa attenzione. Al contrario troviamo Gesù che pronuncia frasi di questo tipo:

"Ed egli rispose: "Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina, e disse: "Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?"" (Mt 19,4).

Ci sono poi testi gnostici, che la Chiesa ha rigettato, nei quali si fanno affermazioni di questo genere:

"Erano tre, che andavano sempre con il Signore: sua madre Maria, sua sorella, e la Maddalena, che è detta sua consorte. Infatti era Maria sua sorella, sua madre, e la sua consorte".

"...la consorte di Cristo è Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciava spesso sulla bocca..." (Vangelo di Filippo, versi 32 e 55).

Un altro argomento a sostegno della ipotesi che Maria di Magdala/Betania fosse la moglie del Messia lo troviamo nell'esistenza di tradizioni, energicamente represse dalla Chiesa, in base alle quali questa consorte di Cristo, dopo la crocifissione del marito, sarebbe fuggita dalla Palestina e si sarebbe rifugiata in una consistente comunità ebraica, nel sud della Francia, portando con sé un figlio. La discendenza di Cristo, il "figlio di Davide", come assai spesso è definito nelle narrazioni evangeliche, sarebbe dunque stata la stirpe del sangue reale della casa di Davide: la dinastia legittima alla quale, e soltanto alla quale, spettava per diritto di regnare su Israele. Il sangue reale della casa di Davide, attraverso Maria Maddalena, sarebbe così giunto nella Francia meridionale dove, alcuni secoli dopo, sarebbe stato definito Sang Raal, con un termine proprio delle lingue provenzali: un termine che a noi è più noto nella forma Santo Graal. In realtà, la ricerca affannosa del Santo Graal, che la versione popolare della tradizione rappresenta come la coppa in cui Giuseppe di Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo colante dalla croce, sarebbe la ricerca dell'autentica dinastia Davidica: di quel discendente di Cristo che avrebbe dovuto regnare sul Sacro romano impero, spodestando i falsi imperatori eletti dalla falsa Chiesa di Cristo. Se la storia che noi studiamo sui banchi di scuola non fosse stata riscritta e opportunamente ritoccata dagli scribi della Chiesa, molto di più sapremmo sul fatto che i re franchi affermavano - più o meno fondatamente - d'essere imparentati col sangue di Davide, e che i Merovingi rivendicavano, per l'appunto, il diritto dinastico sulla casa di Israele. Senonché la dinastia merovingia, con un'operazione politica voluta dalla Chiesa di Roma, fu spodestata e sostituita dalla dinastia dei rozzi e analfabeti Carolingi. Da allora tutta la questione del diritto dinastico fu messa a tacere, con violenza quando occorreva; il culto di Maria Maddalena fu visto con ostilità, se non ferocemente represso, come nella tragica occasione della sanguinosa crociata contro gli Albigesi (una setta neognostica della Francia meridionale); le chiese dedicate alla Maria che tanto fastidio poteva creare - Notre Dame - furono dedicate invece alla più rassicurante Maria vergine. Il celebre brano delle nozze di Cana, riportato dal Vangelo di Giovanni, ha aspetti a dir poco inconsueti, che lasciano pensare al fatto che le nozze siano, in realtà, le stesse nozze di Cristo:

"Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino". E Gesù rispose: "Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora". La madre dice ai servi: "Fate quello che vi dirà". Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: "Riempite d'acqua le giare"; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: "Ora attingete e portatene al maestro di tavola". Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: "Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino a ora il vino buono"" (Gv 2,1-10).

Perché lo sposo resta anonimo? In altre occasioni (banchetti, miracoli ecc.) si fa il nome del padrone di casa o del miracolato. Per quale ragione Maria può dare ordini ai servi, comportandosi come una padrona di casa? E ancora, per quale motivo i Vangeli sinottici hanno trovato opportuno far piazza pulita di questo episodio, così come di tutto ciò che, nel quarto Vangelo, ha riferimenti espliciti con la famiglia di Betania? Ecco dunque farsi avanti un'ipotesi assai plausibile, da prendere con tutti i benefici del dubbio, ma per certi versi anche affascinante: la famiglia di Betania era la famiglia acquisita di Cristo, in seguito al suo matrimonio con Maria; Lazzaro e Marta erano i suoi cognati. Nel villaggio di Betania il Cristo avrebbe trovato non solo degli amici che lo ospitavano, ma coloro che lo accoglievano in casa come un parente stretto: un importante parente. Con tutta probabilità, infatti, non stiamo parlando di Jeshu bar Abbà, quello chiamato "Figlio di Dio", l'uomo che aspirava, forse, al titolo di sommo sacerdote (Messia di Aronne) nel ricostruito regno di Davide, e che in occasione del processo dinanzi a Pilato fu rilasciato; stiamo parlando di quell'altro, quello chiamato Mashiah, il Cristo, l'uomo che aspirava al titolo di re (Messia di Israele) e che Pilato fece condannare e crocifiggere proprio per la sua ambizione regale. Maria era la moglie dell'aspirante re di Israele, e sarebbe stato proprio per questo motivo che ella s'era permessa, in occasione del banchetto offerto nella casa del fariseo Simone, di tirar fuori quel ricchissimo vaso d'alabastro, pieno di prezioso unguento di nardo purissimo, e di eseguire una cerimonia pubblica di unzione messianica, alla vigilia del tentativo di restaurazione del regno di Davide.



2. Colui che ami è ammalato


a) Il miracolo di Betania o che cos'altro?

L'undicesimo capitolo del Vangelo di Giovanni è senza ombra di dubbio una delle pagine più importanti e problematiche del Nuovo Testamento. Amato dai cattolici per l'episodio della resurrezione di Lazzaro; guardato con attenzione dagli esegeti moderni e da alcuni Padri della chiesa, per i legami pericolosi con lo gnosticismo; fatto oggetto di grande interesse dagli appassionati delle discipline esoteriche; generalmente incompreso dai più che non sanno, o non vogliono, cogliervi quei significati che il capitolo nasconde. Nel lungo racconto di Gv 11,1-57, Gesù sarebbe stato richiamato a Betania perché Lazzaro era malato. È da notare il fatto che l'ambasciata delle sorelle di Lazzaro non porta neanche il nome dell'infermo: colui che ami è ammalato, tutto qui. Evidentemente queste parole erano sufficienti per identificare inequivocabilmente la persona di cui si parlava. A questo proposito sarà bene notare che la maggioranza delle traduzioni moderne del Vangelo di Giovanni, come la versione ufficiale della Conferenza episcopale italiana (Cei), non portano l'espressione

"Signore, ecco, colui che ami è malato",

ma le parole

"Signore, ecco, il tuo amico è malato" (Gv 11,3).

Questa traduzione non è corretta. Sia nel testo greco che in quello latino ("Domine, ecce quem amas infirmatur") è presente il verbo "amare", non il sostantivo "amico". Per quale motivo la traduzione dovrebbe subire questo leggero ritocco? Ancora una volta, come nel caso del "vasetto" di Luca, che era invece un prezioso vaso di alabastro, siamo di fronte a un tentativo di sviare certe interpretazioni che la dottrina cattolica trova molto indesiderate. Si ricorderà infatti che tutto il quarto Vangelo è pervaso dalla presenza di un personaggio lasciato sistematicamente anonimo. Il fatto appare molto strano e apparentemente privo di una spiegazione logica; ne abbiamo già parlato nella parte dedicata al processo:

"Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme con un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote e perciò entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote; Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare anche Pietro" (Gv 18,15-16).

Costui non è mai chiamato per nome e la tradizione vuole che si tratti dello stesso autore del Vangelo, che avrebbe scritto a novanta anni compiuti, identificato nella persona dell'apostolo Giovanni:

"Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera" (Gv 21,24).

Ma la cosa è assolutamente impossibile, non foss'altro perché l'apostolo Giovanni, un ame-ha-aretz, figlio di un povero pescatore della Galilea, non poteva essere un frequentatore abituale del Tempio di Gerusalemme, noto al sommo sacerdote al punto da potersi permettere di convincere la portinaia a lasciar entrare uno sconosciuto come Simone nel cortile della casa di Caifa; non conosceva la lingua greca, nella quale sarebbe stato redatto il quarto Vangelo; non era iniziato alla filosofia gnostico-ellenistica del logos e, come sostengono alcuni studiosi e alcune antiche testimonianze, sarebbe morto di morte violenta assai prima di raggiungere la vecchiaia. Si rifletta sul fatto che l'ultima citazione che abbiamo letto si trova nel ventunesimo capitolo del quarto Vangelo, un capitolo aggiunto posteriormente, come gli stessi esegeti cattolici ammettono, e che si trova dopo quella che era la conclusione naturale del Vangelo stesso nella sua stesura originaria. Molte volte il personaggio in questione è definito "il discepolo che Gesù amava" (Gv 13,21-23; Gv 19,25-27; Gv 20,1-8; Gv 21,6-7; Gv 21,20-23).

La definizione "che Gesù amava" ricorre, come abbiamo visto, ben cinque volte e sembra sufficiente, nelle intenzioni del redattore, a caratterizzare il personaggio. Ora, chi è che Gesù amava, secondo quanto possiamo dedurre dalla lettura del Vangelo, se non colui per riconoscere il quale basta dire "ecco, colui che ami è ammalato", senza neanche ricorrere al nome proprio, cioè Lazzaro di Betania? Ci sono altre occasioni in cui vengono date precise indicazioni sulla predilezione di Gesù per Lazzaro:

"Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro" (Gv 11,5); "Così parlò e poi soggiunse loro: "Lazzaro, il mio diletto, s'è addormentato..." (11,11); "Dissero allora i Giudei: "Vedi come lo amava!"" (11,36).

Perché, dunque, le traduzioni moderne preferiscono l'espressione "il tuo amico", al più corretto "colui che ami"? Per un motivo che ormai ci è chiaro: per impedire la corretta identificazione del personaggio anonimo, quel Lazzaro che, insieme ai suoi familiari, nasconde indesiderabili aspetti dell'identità e dell'attività di suo cognato, il Cristo. Lazzaro, pertanto, era il discepolo prediletto, il discepolo che il Maestro amava in modo particolare insieme alle sue sorelle Maria e Tamara/Marta. Cos'è successo allora, in realtà, nella misteriosa occasione nota come il miracolo della resurrezione di Lazzaro? Per la dottrina cattolica la domanda non si pone nemmeno: Gesù ha semplicemente fatto ricorso alla sua facoltà di compiere miracoli. Mosso a compassione dal dolore dei familiari di Lazzaro, che era appena deceduto in circostanze non chiarite, ha esibito in pubblico il suo infinito potere richiamando in vita il morto. Così infatti appaiono gli eventi da una lettura superficiale del brano. Non tutti, però, sono disposti a interpretare in tal senso quelle righe cariche di mistero, specialmente quei pochi che non ignorano l'esistenza di certe pratiche, comuni presso le confraternite religiose e i circoli iniziatici dell'antico Egitto, della Grecia, della Palestina dei tempi di Gesù, della Siria, della Mesopotamia, della Persia e, addirittura, dell'India moderna, dove l'antica sapienza mistica trova ancora qualche seppur raro rappresentante. Costoro, infatti, conoscono i riti iniziatici che la Chiesa romana, nemica a oltranza di ogni forma di gnosticismo e di misticismo non-ortodosso, ha sempre combattuto. Ai tempi in cui è ambientato il racconto evangelico, e anche molto prima, erano diffusi in tutta l'area mediterranea, e nel vicino Oriente, movimenti e circoli religiosi in cui veniva praticata la forma più alta di iniziazione mistica: la discesa temporanea nella morte. Parlare di ciò, oggi, in piena era tecnologica e scientifica, può facilmente far credere che si stia sconfinando nella magia, col rischio d'esser presi per visionari o d'essere inclusi nella folta schiera degli amanti dell'occultismo. In realtà stiamo solo affrontando un argomento che potremmo considerare oggetto d'interesse per l'antropologia religiosa o la storia dei riti e delle credenze mistiche: questioni che studiosi come Mircea Eliade o James G. Frazer hanno affrontato spesso nei loro lavori, contribuendo a fornirci gli strumenti per una migliore conoscenza di queste forme di spiritualità, comuni nel mondo antico, che la Chiesa cattolica ha invece rimosso nella sua sistematica repressione di ogni cultura religiosa eterodossa. Un tipico rito egiziano consisteva nel porre l'adepto in una sorta di sarcofago sotterraneo, quel genere di luogo in cui venivano solitamente tumulati i defunti, per poi farlo cadere, tramite un procedimento simile all'ipnosi, in uno stato di trance profonda. L'adepto restava così sepolto per la durata di tre giorni, periodo nel quale si credeva che la sua anima compisse un viaggio agli inferi, il regno dei morti, da cui avrebbe fatto ritorno totalmente rinnovata. Infatti allo scadere del tempo stabilito, il corpo dell'aspirante veniva estratto, riscaldato ai raggi del sole e rianimato: non era più un comune mortale come gli altri, adesso era un iniziato. Nell'area greca qualcosa di molto simile era comune ai praticanti dei riti eleusini, nonché delle iniziazioni orfiche e dionisiache. In tutt'altra area, invece, cioè nell'India brahmanica, gli adepti dello Yoga indù e di quello buddista hanno sempre praticato un rito davvero sorprendente che non finisce di stupire, ancora oggi, medici e scienziati: il Kechari Mudra. Il mistico è in grado di ridurre le funzioni metaboliche al minimo indispensabile per garantire la pura sopravvivenza cellulare; così, sprofondato in un vero e proprio stato di catalessi volontaria, si lascia seppellire per periodi che possono variare dai pochi giorni alle numerose settimane, per poi ritornare alla coscienza e alla vita normale, quasi come un autentico "risuscitato". Una eco di concezioni religiose di tal genere la troviamo nella letteratura omerica, laddove Ulisse, che ha superato le prove iniziatiche e non si è rivelato un "suino", come i suoi compagni, viene istruito dalla maga Circe sul modo di scendere agli inferi e di poter, in seguito, fare ritorno nel mondo dei vivi. Ma la troviamo anche in quel tipo di letteratura cristiana che, come la Divina Commedia di Dante, è pregna di un complesso simbolismo mistico per la cui comprensione non abbiamo in genere la preparazione necessaria: il poeta dei poeti, infatti, come gli iniziati del mondo antico, varca da vivo la soglia dell'inferno, nonostante le vibrate proteste del guardiano, per poi tornare, alla fine del suo viaggio, fra i viventi. È quindi solo l'ignoranza di questa tradizione di spiritualità e misticismo, presente invece in tutta la storia passata della nostra cultura, che ci impedisce di aprire gli occhi sul brano evangelico della resurrezione di Lazzaro, per leggervi ciò che in esso è descritto: un rito iniziatico comune presso alcune confraternite dell'area mediorientale - in questo caso di ebrei dissidenti rispetto alla casta dei sacerdoti del Tempio di Gerusalemme - che, come gli esseni del deserto di Giuda o i terapeuti d'Egitto, ricorrevano a pratiche mistiche e conoscevano il potere spirituale della "discesa nella morte". Lazzaro, il discepolo prediletto, potrebbe essere stato il beneficiario di questa alta forma di iniziazione. Le modalità del "miracolo" e altri indizi ci spingono a ricercare in tale direzione. Di più non ci è possibile aggiungere.




David Donnini, "Cristo. Una vicenda storica da riscoprire".




[Modificato da Nikki72 17/10/2007 16:24]
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