Intevista esclusiva
Si chiama Abzir Rahmal Djorgyt, e vive a Kabul da quando era bambina. La guerra ha travolto la sua esistenza, ma Abzir ha saputo trovare in sè la forza per andare avanti. Raccogliamo qui la sua testimonianza, in un'intervista esclusiva del nostro inviato Beppe Muggine.
"Buongiorno signora Abzir..."
"Buongiorno a voi."
"Fa freddo qui a Kabul..."
"Sì, e anche nei nostri cuori..."
"La guerra, in questa regione tormentata, sembra non voglia finire mai..."
"Vede, noi qui non facciamo più caso alla guerra. La guerra è una componente della vita di tutti i giorni. Esattamente come il sole e l'aria che respiriamo. C’è stato un tempo in cui Kabul era una città dove volavano gli aquiloni. Ora le uniche cose che volano in cielo sono gli aerei da combattimento."
"Ci parli un po' di lei, della sua infanzia..."
"Sono diventata la persona che sono all’età di nove anni, in un gelido inverno del 1955. Ricordo il momento preciso: ero accovacciata dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. E’ stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono cinquant'anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto."
"Come si fa a vivere in paese martoriato da secoli di guerre?"
"Si sopravvive. E basta. Quella che una volta era una casa e una patria, è ora una landa desolata, una terra di relitti umani e di donne invisibili la cui bellezza non esiste più. Qui, avere un padre o un fratello, dopo gli stermini talebani, è una vera rarità. Qui, incrociare il loro sguardo, il più delle volte, significa tortura e morte. Qui regnano sgomento e terrore. Ma si riesce a sopravvivere anche a questo."
"Non v'è davvero nulla in cui sperare, signora?"
"No, qualcosa c'è, in effetti... vede, la civiltà occidentale ha portato qui la luce, l'elettricità, la televisione. La domenica, a volte, ci riuniamo in un villaggio a pochi kilometri da Kabul. C'è una specie di campo di accoglienza dove hanno installato una tv satellitare. Vediamo quello che succede nel mondo. Aldilà delle nostre montagne piene di neve, e di sangue."
"Riuscite a vedere anche canali italiani per caso..?"
"Sì... pensi che un nostro tecnico è riuscito, non so come, a catturare una frequenza attraverso la quale possiamo vedere in diretta le partite del Cagliari..."
"Del Cagliari...?"
"Sì... non c'è una squadra che si chiama così nel vostro paese..?"
"Certo che c'è... continui, la prego..."
"Beh, dicevo... ci riuniamo tutti insieme. Chi porta un pollo, chi una gallina, chi un po' di mais... insomma, è come se fosse una festa, capisce..?"
"Non proprio..."
"Quando gioca il Cagliari, è un po' come se la guerra si fermasse. Noi guardiamo la partita, pregando Allah che il Cagliari esca vincitore. E' una cosa difficile da capire, lo so, ma per 90 minuti ci aiuta a sperare in qualcosa..."
"Lo sa che ieri al Cagliari hanno restituito i 3 punti tolti un mese fa?"
"Davvero? Sono felice di questo..."
"Vuole dirmi qualcosa per concludere la nostra intervista?"
"Sì... vorrei dirle che io... io ci credo..."
"Crede che un giorno la guerra finirà..?"
"No... credo che il Cagliari si salverà..."
"Buona fortuna signora Abzir..."
"Che Allah sia con voi..."