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Indagato Cesare Geronzi per estorsione...

Ultimo Aggiornamento: 01/08/2008 13:52
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29/03/2008 15:45

Geronzi continua ad accumulare gravi indagini penali... ma rimane al comando del sistema bancario
ALLARME CIRIO
– SU CRAGNOTTI E GERONZI L'IPOTESI DELL'ESTORSIONE
- LA MOSSA APRE SCENARI INEDITI CON TANZI E TONNA CHE DA COMPLICI POTREBBERO DIVENTARE VITTIME
- LUNEDÌ LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI PARMA…



Mara Monti per “Il Sole 24 Ore




Il boss di Capitalia, Cesare Geronzi
© Foto U.Pizzi


Colpo di scena al Tribunale di Parma. L'udienza di ieri che doveva servire per decidere se mandare a processo Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Sergio Cragnotti,Cesare Geronzi e altri 8 imputati nel processo Eurolat – uno dei filoni dell'inchiesta sul crack Parmalat – è stata stravolta dal coup de théatre del Gup, Roberto Spanò. Il quale a sorpresa, ha chiesto alla pm Paola Reggiani di modificare il capo di imputazione da bancarotta fraudolenta in estorsione contestato agli ex manager Cirio (Sergio Cragnotti e Riccardo Bianchini Riccardi) e dell'ex Banca di Roma (Cesare Geronzi).

La decisione ha spiazzato non solo le difese, ma anche la procura che ha chiesto tempo fino a lunedì per valutare se accogliere la richiesta del giudice. Al momento nulla è dato per scontato, ma la mossa apre scenari inediti con Tanzi e Tonna che da complici potrebbero diventare vittime. Una vittoria per le difese dell'ex patron della Parmalat che lunedì intende presentarsi in Tribunale.

Sulla vicenda Eurolat, il Tribunale civile di Roma ha già condannato Cragnotti e l'ex Banca di Roma a un risarcimento di 300 milioni di euro. Ora a pronunciarsi è il Tribunale di Parma che ha chiesto la correzione dell'imputazione, partendo dal presupposto che Parmalat al momento dell'acquisizione di Eurolat dalla Cirio di Cragnotti avrebbe pagato un «ingiustificato sovrapprezzo» dietro la minaccia «di revoca dei finanziamenti .. in caso di mancata accettazione delle condizioni poste da Cirio/ Banca di Roma». All'epoca dei fatti, Cesare Geronzi era al vertice dell'istituto capitolino e in questa veste è stato indagato.


I 'crackman' Tanzi e Cragnotti
© Foto U.Pizzi



La società lattiero-casearia di Cragnotti venne venduta a Tanzi nel 1999 per 829 miliardi di lire, ma secondo gli inquirenti «il prezzo sarebbe stato superiore almeno di 200 miliardi rispetto al prezzo quantificabile in base all'applicazione di una corretta metodologia di calcolo legata alla reddività aziendale», si legge nella richiesta di rinvio a giudizio.



Condizioni svantaggiose per la Parmalat condivise dallo stesso Gup:
il sovrapprezzo, scrive nell'ordinanza, sarebbe servito per «soddisfare l'esposizione della Cirio nei confronti dell'istituto di credito» e «consentire a Cragnotti di lucrare 64 miliardi per un patto di non concorrenza stipulato con la Brombil Cirio International, di fatto privo di contenuti».

Nulla da dire sulla ricostruzione dei fatti, ma è sulla formulazione del reato che potrebbe sorgere un conflitto tra i magistrati. Il Gup ha "bacchettato" la procura spingendosi a dire che «l'imputazione formulata mostra un insanabile vizio strutturale». Non solo. Per il giudice non sussiste il concorso tra il reato di bancarotta e quello di estorsione, un'ipotesi che non troverebbe d'accordo gli inquirenti decisi ad accogliere la richiesta del Gup, pur contestando anche il primo reato.

Il nodo non sarà sciolto prima di lunedì quando verranno decisi anche i rinvii a giudizio e i patteggiamenti chiesti da Calisto Tanzi, Giovanni Tanzi e da Domenico Barili. Prevista anche la replica dell'avvocato di Geronzi, Ennio Amodio. La difesa dell'ex presidente della Banca di Roma ha sempre sostenuto che «la vicenda è risalente nel tempo e, nel merito,infondata perché l'acquisizione di Eurolat da parte di Parmalat fu per quest'ultima un'operazione conveniente sia perché, in quella occasione, la Banca di Roma si limitò semplicemente a facilitare la definizione dell'operazione tra Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi».


Fausto Tonna
© Foto La Presse


Di tutt'altro tenore i legali di Tanzi che hanno puntato sulla responsabilità delle banche nella vicenda del collasso della Parmalat, facendosi portavoce della richiesta di unificare dei processi.
«Pur rispettando l'opinione della procura – ha dichiarato l'avvocato di Tanzi, Gianpiero Biancolella – a questo punto nessuno può negare che l'unica strada per fare chiarezza sul dissesto non può che essere un processo unitario di tutti i soggetti che hanno concorso al default ».

Restano da valutare le conseguenze che una modifica del capo d'imputazione potrebbe avere sulla ricostruzione accusatoria dell'inchiesta sul crack di Collecchio. Per l'avvocato penalista Paolo Grasso del Foro di Milano «contestare il reato di estorsione, quando ne sussistono i presupposti, è una decisione innovativa perché introduce un rimedio giuridico in situazioni in cui può essere difficile dimostrare il coinvolgimento di soggetti terzi, quali le banche, in un reato tipico qual è la bancarotta.
Dimostrare chi ha estorto denaro –ha aggiunto – può risultare più semplice rispetto alla ricerca della prova nel caso del concorso dell'extraneus nel delitto di bancarotta.
E quindi per i risparmiatori, quali soggetti danneggiati in via indiretta, può essere più facile dimostrare i pregiudizi subiti ».


28 Marzo 2008
dagospia.excite.it/articolo_index_39199.html

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29/03/2008 17:44



Eurolat, Gup chiede di trasformare accusa Geronzi in estorsione
giovedì

27 marzo 2008 1.08 135



PARMA (Reuters) - Il gup del caso Eurolat ha chiesto oggi al pm titolare dell'indagine di verificare se esistono le condizioni per modificare il capo di imputazione contestato al banchiere Cesare Geronzi, trasformandolo da concorso in bancarotta fraudolenta a estorsione.
...
Tanzi, Geronzi e Cragnotti, al momento sono imputati con l'accusa di bancarotta fraudolenta per aver ipoteticamente ceduto Eurolat, ex centrale del latte di Roma, da Cirio a Parmalat sotto pressioni di Geronzi.


© Reuters 2008.


www.tgfin.mediaset.it/tgfin/ultimissima.shtml?nRC_27.03.2008_11.56_...


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04/04/2008 21:48

PARMALAT-TRAGEDY PER GERONZI:
RINVIATO A GIUDIZIO PER ESTORSIONE (ACCUSA GRAVISSIMA) [SM=x44497]
- INVECE È PROSCIOLTO INSIEME A CRAGNOTTI DALL'IMPUTAZIONE PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA (ACCUSA “TECNICA”)…



[SM=x44512][SM=x44511]
Sua Impunità Cesare Geronzi
© Foto U.Pizzi - Dagospia





(Apcom) - Il Gup di Parma, Roberto Spanò, ha deciso il rinvio a giudizio per estorsione per Cesare Geronzi
coinvolto in uno dei filoni del processo Parmalat che si sta svolgendo a Parma.

L'ex presidente della Banca di Roma è stato invece prosciolto insieme a Sergio Cragnotti e Riccardo Bianchini dall'imputazione per bancarotta fraudolenta.


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08/04/2008 17:15

07-04-2008 - 15:57
PERCHE' CARLO DE BENEDETTI "LICENZIA" CESARE GERONZI (PER LA SECONDA VOLTA)?
PRIMA ZINGALES SULL''ESPRESSO',
OGGI EDITORIALE DI PANARA SU 'AFFARI & FINANZA'.
'FORSE E' IL CASO DI RIDARE PESO A QUEL VALORE ANTICO CHE E' LA REPUTAZIONE�.

Marco Panara per "Affari & Finanza" per "la Repubblica"



Cesare Geronzi è da molti anni un protagonista di prima grandezza nel sistema bancario italiano.
Banca di Roma
, poi diventata Capitalia, era il più piccolo tra i grandi istituti, ma il peso di Geronzi non è mai stato quello di un comprimario.

Ci sono banchieri la cui influenza è espressione dell'istituto affidato alla loro guida, e banchieri che danno potere alla banca che presiedono. Geronzi appartiene a questa categoria. Ora da sei mesi è presidente di Mediobanca, la più importante banca d'affari e di investimenti del paese. [SM=x44497]

La�giustizia italiana � quello che sappiamo tutti, con i suoi tempi e le sue inefficienze e, a volte, anche i suoi personalismi e i suoi teoremi. Gli incroci tra Geronzi e la giustizia sono stati molteplici, e si sono concretizzati in una condanna in primo grado nel caso Bagaglino-Italcase, in un primo rinvio a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta nel caso Cirio, un secondo rinvio a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta e usura nel caso Ciappazzi-Parmalat, un terzo rinvio a giudizio, la settimana scorsa, per estorsione nel caso Eurolat.

Le regole sulla rispettabilità richiesta a chi guida una banca prevedono l�interdizione dai vertici per coloro che sono stati condannati in via definitiva.
La legge prevede l�interdizione temporanea, applicata a Cesare Geronzi nel febbraio del 2006 per il caso Ciappazzi e la sospensione, anch�essa applicata a Geronzi nel dicembre del 2006 per il caso Bagaglino-Italcase. In tutti e due i casi il banchiere � stato reintegrato dal consiglio di amministrazione nella carica di presidente dell�istituto.

Essendo le regole ispirate al principio sacrosanto della garanzia per l�imputato, � il campo delle valutazioni personali e di sistema quello che si apre in casi come questo. In un�epoca in cui le teste dei banchieri cadono come birilli per le perdite miliardarie subite dagli istituti sotto la loro gestione, le vicende nelle quali � incorso Cesare Geronzi possono sembrare poca cosa. E in effetti, forse per questo e forse perch� dopo due anni che se ne parla ci si � un po� assuefatti, la questione viene trattata come marginale.

Forse però non lo è.
Forse dovremmo domandarci se in altri paesi con i quali quotidianamente le nostre imprese si confrontano sarebbe possibile per un banchiere con una condanna in primo grado e tre rinvii a giudizio rimanere al suo posto.
E forse dovremmo domandarci se non sia il caso di ridare peso a quel valore antico che è la reputazione.
In Italia da troppo tempo non ce lo domandiamo.
Forse c'è un problema.

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18/04/2008 17:02

IL MARAMEO DI GERONZI AI SUOI NEMICI PIÙ INTIMI DRAGHI E NAGEL
Avviso ai naviganti:
“Si avvisano i signori naviganti che Mario Draghi e Alberto Nagel attendono con una certa ansia (e godimento) le direttive europee che dovranno obbligare Cesare Geronzi a dimettersi dalla presidenza di Mediobanca, causa i rinvii a giudizio.
Da parte sua, il Sor Cesare ha in testa un’idea che bolle grazie al suo amico Vincent Bollorè.
E cioè: fare maramao a Draghi e Nagel diventando presidente di un colosso da paura che nascerà con la fusione Axa-Generali.
E qui, i rinvii a giudizio (ad orologeria) non funzionano”.


Dagospia 18 Aprile 2008
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Briscola IperCafonica 2012
06/06/2008 10:25

MI PORTI UN GERONZI A FIRENZE (INTERVISTATO DA GIULIO ANSELMI)

Il cartoncino di invito parlava di cena di gala, invece ai 100 ospiti eccellenti dell’incontro di ieri sera a Firenze con Cesarone Geronzi, è stato servito un menù di ravioloni e filetto.
La sala del Grand Hotel in piazza Ognissanti era molto affollata e l’organizzatore Andrea Ceccherini che guida l’Osservatorio Permanente Giovani-Editori, ha fatto del suo meglio per il successo della serata.

Ad ascoltare il Presidente di Mediobanca erano soprattutto 250 giovani, ma non mancavano il notaio dalla cravatta rossa, Piergaetano Marchetti, Sergio Balbinot di Generali e Paolo Ligresti, figlio di Totuccio.
Dopo la cena dal menù monacale è toccato a Giulio Anselmi menare le danze per 40 minuti con una raffica di domande alle quali Cesarone non si è sottratto. Ha difeso la gestione di Telecom by Tronchetti Provera, ha apprezzato la ristrutturazione di Bernabè e ha dato ragione a Giulietto Tremonti sulla Robin Hood Tax verso i petrolieri perché non si capisce – ha detto – come il prezzo della benzina rimanga alto quando il valore del dollaro diminuisce.

Con delicatezza studiata e forse concordata, il direttore de “La Stampa” che in passato ha menato botte da orbi sulla Gea di Chiara Geronzi e sulle vicende giudiziarie del papà-banchiere, ha evitato qualsiasi domanda sulla governance, il tema delicato che tocca i principi di onorabilità dei banchieri inquisiti.
D’altra parte Anselmi non ha fatto che girare alla larga
dall’argomento come aveva fatto Draghi sabato scorso. E sul Governatore di via Nazionale il presidente di Mediobanca ha dichiarato che le Considerazioni Finali non erano Banali, ma prudenti.

Dopo Anselmi è toccato ai ragazzi di Firenze che leggono i giornali (rari esemplari di una specie in estinzione) che con innocenza hanno chiesto a Cesarone il motivo per cui gli stipendi dei banchieri sono così alti. L’uomo di Marino non è sfuggito alla domanda e dopo aver spiegato che il favoloso compenso dell’anno scorso era legato alla sua liquidazione da Capitalia, ha ammesso con grande magnanimità che le banche devono creare valore non solo per chi le guida, ma anche per i soci e il popolo bue degli azionisti.
Poi nella sala del Grand Hotel si sono spente le luci e tutti sono andati a dormire con la pancia un po’ vuota e la coscienza tranquilla.


05 Giugno 2008
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26/07/2008 13:58

E IL DUALE SI TRASFORMÒ IN DUELLO TRA GERONZI E NAGEL-PAGLIARO
- CON UN SOLO CONSIGLIO IL BANCHIERE DI MARINO ARRIVEREBBE ALLA VICEPRESIDENZA DELLE GENERALI
– SARÀ CONTENTO DRAGHI…

Francesco Manacorda per “La Stampa”



Arriva velocissima la grande virata sul modello di governance di Mediobanca voluta dal presidente Cesare Geronzi,
ma nell’istituto scoppia un duro confronto con i manager.

Già la settimana prossima si terrà il patto di sindacato di piazzetta Cuccia che dovrà mettere il suo sigillo al ritorno - dopo un anno appena - dal sistema dualistico a quello con un solo consiglio.
Poi si esprimeranno gli organi della banca e infine l’assemblea straordinaria, in concomitanza con quella di bilancio del 28 ottobre.
Nel nuovo assetto l’attuale presidente del consiglio di sorveglianza, Geronzi, diverrà presidente del Cda e l’amministratore delegato Alberto Nagel resterà nella stessa posizione mentre Renato Pagliaro, oggi presidente del consiglio di gestione, dovrebbe tornare direttore generale.
Positiva la Borsa: +3,08% il titolo.

Ma se la strada tra i grandi soci dell’istituto è spianata,
all’interno della banca c’è appunto un confronto ad alta tensione tra Geronzi e i manager.
I membri del patto di sindacato che controlla il 44,5% del capitale appaiono infatti tutti favorevoli al cambiamento di governance sul quale, del resto, Geronzi aveva cominciato a sondarli già da mesi.
Solo il presidente di Unicredit Dieter Rampl, in una riunione del comitato governance di Mediobanca il 15 luglio, ha espresso con nettezza il suo dissenso.
Ma l’opposizione del presidente è rientrata dopo un confronto diretto con l’ad di Unicredit Alessandro Profumo.
Profumo appoggia infatti la virata perché non ha mai visto di buon occhio il sistema dualistico e ritiene inoltre che questa modifica vada incontro ai desiderata del Governatore di Bankitalia Mario Draghi.

Molto meno idilliaco il clima in piazzetta Cuccia. I cinque manager del consiglio di gestione, guidati da Nagel e Pagliaro, si riservano di valutare la proposta che verrà loro fatta, visto che non hanno ancora saputo con esattezza quali ruoli e quale distribuzione delle deleghe preveda il nuovo modello. Ci sono ancora approfondimenti in corso, ad esempio sul ritorno a un comitato esecutivo che non prevede manager senza la qualifica di consiglieri.
Ma di fatto l’evoluzione preoccupa i manager anche perché infrange la barriera posta finora dal dualistico tra la gestione della banca e il livello superiore, quello dei soci.
E se Nagel resterebbe nello stesso ruolo, rimane la questione di Pagliaro e degli altri manager.
Il presidente del consiglio di gestione sarebe disposto ad essere «declassato» a direttore generale e i manager accetterebbero di buon grado di lasciare il posto in consiglio ricoperto finora?


Ranato Pagliaro
Foto da La Stampa

Questioni che Geronzi si appresta a risolvere con il suo metodo caratteristico, che unisce mediazioni avvolgenti a una rigorosa applicazione dei rapporti di potere.
Del resto il ritorno al cda singolo rappresenta anche e soprattutto il successo personale del banchiere a un anno dall’insediamento in piazzetta Cuccia come risultato della fusione Unicredit-Capitalia.
Se un’interpretazione degli avvenimenti è infatti che con questo passaggio Mediobanca ritroverà la velocità decisionale necessaria e supererà le contraddizioni del dualistico, circola infatti anche un’altra interpretazione più focalizzata sugli assetti di potere.

Secondo questa visione, il nuovo modello - allestito dallo stesso notaio Piergaetano Marchetti che finora aveva messo la sua competenza al servizio del dualistico - consentirà a Geronzi di avere un ruolo davvero centrale nella gestione dell’istituto, permettendogli inoltre di dribblare i paletti che la Banca d’Italia ha posto sul sistema dualistico. Un percorso che alla fine dovrebbe consentire al banchiere di arrivare anche alla vicepresidenza delle Generali, visto che proprio le norme di via Nazionale sul dualistico lo avevano bloccato sulla strada per Trieste


24 Luglio 2008

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01/08/2008 13:52

POTERE ASSOLUTO A GIULIO CESARE GERONZI (INTERVISTA SENZA PELI SULLA LINGUA)
NAGEL & PAGLIARO DA LICENZIARE
– “IL DUALE È PER PERSONE DI QUALITÀ ED EDUCATE”
NON VADO A GENERALI(BUGIA), TREMONTI FORZA DEL GOVERNO, PROFUMO SVAPORATO

Cesare Geronzi

Ferruccio de Bortoli per “Il Sole 24 Ore”


Nell'ufficio del presidente di Mediobanca l'ora è sempre segnata da un rispettoso orologio del Settecento anche se il ticchettio è sovrastato dal sonoro di un televisore a cristalli liquidi, sempre acceso su SkyTg24. Cingano, che occupò a lungo quello studio, l'avrebbe guardato con orrore. Geronzi, più avvezzo ai rumori di fondo (e a quelli di strada), ne è persino compiaciuto. Nulla sembra turbare la sua sicurezza e il suo umore.

Anche dopo dure battaglie come quella che si è appena conclusa sulla governance con il management e una parte (UniCredit) dei suoi azionisti. Gli orologi Hour Lavigne e La Vallée in piazzetta Cuccia continuano il loro onorato servizio ma, con questo colloquio, Cesare Geronzi, 73 anni, sembra dire, piaccia o no, che i tempi dell'istituto li scandisce lui. Punto.

Un osservatore disattento potrebbe subito rivolgergli questa domanda.
Il sistema duale (o dualistico), oggi rinnegato, fu adottato, con tanto di illustri pareri giuridici, un anno fa, all'epoca del passaggio delle consegne fra Galateri e lei. Possibile che nessuno si fosse accorto che non avrebbe funzionato?
«Vede, talune fusioni, come quella che ci riguardò, e diverse operazioni, si sono trovate a sperimentare il sistema dualistico di una riforma, la Vietti, appena varata. Quel sistema è adatto a una cogestione, non a caso ha origine nella tradizione sindacale tedesca. Non a una banca. E là dove funziona, penso a Intesa Sanpaolo, è perché vi sono persone di qualità ed educate ».

Geronzi lamenta equivoci e fraintendimenti fra i rappresentanti degli azionisti, ridotti nel consiglio di sorveglianza al mero ruolo di sindaci, senza averne peraltro i poteri, ma con le responsabilità di amministratori; la scarsa chiarezza su chi dovesse proporre l'iniziativa di una delibera; la curiosa posizione dei membri del consiglio di sorveglianza chiamati ad approvare ex post un piano strategico varato dal management con il rischio di aprire, in caso di una bocciatura, una crisi societaria. E via di seguito.

Diciamo, presidente, che quel duale affrettato fu il prezzo, a mio avviso troppo salato, pagato da Mediobanca alla fusione fra due suoi azionisti, UniCredit e Capitalia.
«Diciamo così».


Ma Profumo e Rampl non erano d'accordo, in un primo momento, per rivederlo? Come mai hanno poi cambiato idea?
Il presidente dà uno sguardo all'agenda. «Quattordici luglio, colazione con il dottor... »(Profumo, ndD).

Il giorno della Consob.
«Esatto».

Geronzi ricorda molte riunioni, tanti sì, condivisioni fra gli azionisti, compresi i rappresentanti di UniCredit.
«E poi stranamente una domenica appaiono idee diverse, così d'un tratto».

Su iniziativa anche di Draghi, ci era sembrato di capire, preoccupato dalle conseguenze di una clamorosa frattura interna e dal giudizio degli investitori.
«Mah, il mio rapporto con il governatore, anche in questa vicenda, è stato eccellente. Sa, direttore, io sono in banca dal 1960 e ho sempre seguito una regola aurea: freddezza, distacco e trasparenza. Io, quando ci sono momenti difficili, mi confronto, dialogo, magari litigo, ma ragiono. Non dico, come nei casi Rcs e Telecom, "non mi interessa nulla di questioni di mero potere" (parole di Profumo, ndD), e poi salto fuori d'incanto in una domenica di luglio perché ho cambiato idea...».

Mi sembra di capire che qualche problema, e serio, con l'UniCredit ci sia?
«La dialettica tra persone intelligenti è assolutamente normale. L'importante è che restino la stima e l'apprezzamento reciproco. Sono in Mediobanca da sedici anni. Quando vi entrai, i giovani di oggi erano funzionari o dirigenti alle prime armi. Ho passato otto anni con Cuccia e poi con Maranghi. Mi sono trovato in contrasto con Maranghi, con il quale conservai una amichevole consuetudine fino alla morte, una sola volta, sa quando? Quando l'autoreferenzialità del manager, pur bravo, ma che non era Cuccia, arrivò a calpestare i diritti degli azionisti».


I giovani “leoni”, inutile ricordarlo, sono i manager di Mediobanca, in particolare Alberto Nagel e Renato Pagliaro, con i quali è stato già avviato un dialogo sul percorso che porterà, da qui all'assemblea di ottobre, a rivedere la governance di piazzetta Cuccia definendo alcuni ruoli per i membri dell'attuale consiglio di gestione. Si direbbe che lei, presidente, con i giovani manager (vedi Arpe in Capitalia) non sia mai andato troppo d'accordo. Forse, non le viene il dubbio che qualche volta la responsabilità sia sua?
«Guardi, io ho piena fiducia in loro, e l'ho riconfermata. Pensi che alla vecchia governance io non avevo messo mano, loro sì. Certo non potevo accettare che avessero una sorta di diritto di veto esercitabile contro gli azionisti. O che volessero la maggioranza nel comitato esecutivo. O che dicessero: se fate così ce ne andiamo. Ma scherziamo! In altri Paesi sarebbe successo il finimondo. E anche qualcosa di più. Il management non può parlare con gli azionisti e in qualche caso fuorviarlo con informazioni non corrette. Il referente degli azionisti è solo il presidente del patto di sindacato sempre a disposizione, se richiesto, per qualsiasi informazione. E poi, se qualcuno pensa che la propria importanza in azienda, ma parlo in generale, sia proporzionale alle stock options e al livello, non certo risibile, dello stipendio, beh, si sbaglia, ovunque si trovi».

Sa che cosa si dice sul mercato, presidente? Si dice che lei ha forzato la mano per avere più potere, per gestire con più libertà le partecipate, in particolare Rcs e Generali.
«Al contrario, io sono per l'autonomia e lo sviluppo delle partecipazioni di Mediobanca».


E la lettera di Draghi sull'inopportunità che i membri dei consigli di sorveglianza siedano nei board esecutivi delle società partecipate, divenuta poi regolamento vincolante?
«La ispirò un amico banchiere (Bazoli, ndD) nel timore, del tutto infondato, che io volessi fare il presidente o il vice presidente delle Generali. Io non ho queste bramosie, né ho la vocazione ad agire per conto terzi in Rcs come alcuni, chissà per conto di chi, continuano ad insinuare».

Dunque, lei non andrà mai a Trieste?
«No, Bernheim si troverà lui un successore. Resto convinto che un presidente delle Generali debba avere più poteri e che due amministratori delegati siano troppi».

Geronzi ribadisce di non avere mire personali, di essere a fine carriera e di coltivare solo l'ambizione a svolgere il ruolo di un banchiere attento anche alle complessità e alle esigenze del proprio Paese. Conferma di tenere in modo particolare al rapporto privilegiato con il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, felice del sistema duale, Giovanni Bazoli, anche lui favorevole a una banca di sistema, a un istituto di credito che persegua oltre al valore per gli azionisti, l'interesse generale.
«Mediobanca è sempre stata al centro del sistema, non può emarginarsi».



Dunque, se c'è da salvare Alitalia deve esserci?
«Può decidere di non esserci, e non escludo che possa essere coinvolta, ma deve guardare le carte e poi eventualmente dire di no. Intesa comunque sta facendo un buon lavoro. Era più vicina, per tanti motivi, a molti dei possibili investitori. Ma l'operazione va fatta se è solida, non perché si è costretti a farla. Vede, io credo che l'indipendenza di Mediobanca si difenda meglio giocando appieno il nostro ruolo non restando, per principio, fuori dalle partite più importanti. Prenda Telecom. Mediobanca ha fatto in pieno la sua parte e sostiene il management. Spiace poi leggere, e chissà chi l'abbia detto all'esterno, che se l'amministratore delegato Bernabé viene da noi è per ricevere un inesistente ultimatum. Purtroppo, Telecom paga ancora il prezzo di una privatizzazione affrettata, come lo furono del resto quelle del Credito Italiano, venduto per un pezzo di pane, e della stessa Comit. Il mercato non ha sempre ragione e i mercatisti non mi sono molto simpatici».


La pensa come Tremonti, dunque?
«Sì, trovo che sia molto maturato, meno professore più uomo politico e di Stato».

Sa cosa si dice anche, dottor Geronzi?
«Avanti, dica...».

Che i maggiori poteri le servirebbero per ripararsi meglio da una eventuale condanna nei processi che la vedono coinvolto.
«Una autentica falsità, io mi difendo bene da solo, non ho fatto nulla, non vi è alcuna prova contro di me, lo scrive anche il giudice dell'udienza preliminare».

Il presidente di Mediobanca non ritiene esaurita la crisi finanziaria ma è meno pessimista di un anno fa.
«Una valutazione attendibile stima in 300 miliardi le perdite non ancora emerse, finora ne abbiamo contate fino a 500. Il nostro Paese appare piuttosto protetto e non credo vi saranno molti effetti sulla liquidità disponibile».

A proposito, voi ne avete tanta, di liquidità, e state meglio di altre banche d'affari. Molti target, Ubs, Merrill Lynch, sarebbero teoricamente alla vostra portata.
«Io credo che si debba avere un po' di coraggio, non aver paura di aprire una pagina bianca, guardare all'estero con più decisione. Non possiamo accontentarci di aprire qualche filiale o di avere successo nel retail».


Che Banca, con l'esclamativo, ha avuto successo o no?
«Sì, la raccolta prima la facevano le banche socie, oggi dobbiamo farla noi direttamente».

Presidente, non le sembra il caso di dire a chiare lettere che il modello di banca universale è fallito?
«Io credo che si debba affrontare una revisione incisiva della legge bancaria del '93. Abbiamo risposto con troppa superficialità, per esempio, alla crisi del risparmio gestito, che è profonda. Le banche hanno sbagliato a trasformarsi in semplici catene distributive di prodotti, a volte pessimi, concepiti da altri, ma oggi una ritirata frettolosa dalle società di gestione appare la mesta rinuncia a svolgere un ruolo statutario e caratteristico del credito».

Le piacciono le nuove regole che consentono di superare la soglia del 15 per cento del capitale di una banca da parte di un investitore industriale?
«È una normativa europea, per noi non priva di rischi, purtroppo».

E il regolamento Consob in discussione sulle operazioni con parti correlate?
«Un passaggio legislativo pericoloso. Noi abbiamo circa 1200 parti correlate. E tutte le operazioni che le riguarderebbero dovrebbero essere alla fine decise da amministratori indipendenti? Andiamo! Noi spesso scimmiottiamo gli altri. In peggio. Si ricorda quando introducemmo le Sim? Arrivarono da noi quando gli inglesi le stavano già smantellando».

Mediobanca è vicina al Monte dei Paschi dopo la complessa operazione Antonveneta.
«Il nostro rapporto con il Monte è molto intenso e il nostro intento è accompagnare una banca amica nella sua attività organizzativa e di sviluppo aziendale».

Un interesse di Santander?
«Conosco bene Emilio Botin, dubito abbia ambizioni molto forti in Italia, dopo aver avuto un utile tra i nove e i dieci miliardi di euro dalla vendita di Antonveneta. Botin è uno spagnolo tutto d'un pezzo, lavora anche alla domenica, non si fida del nostro Paese. Del resto al San Paolo l'hanno trattato come un banchiere di terz'ordine».

E lei, a differenza di Botin, è ottimista sul nostro Paese?
«Come potrei non esserlo? Il Governo ha fatto buone cose, mi preoccupa di più la debolezza dell'opposizione che si aggira priva di idee, facile preda di suggestioni movimentiste».

E Berlusconi?
«Non lo sento da prima delle elezioni, finora si è mosso bene, con autorevolezza, ma il vero punto di forza di questo Governo è Giulio Tremonti».

Possiamo dire almeno al netto del suo carattere?
«È migliorato anche quello».


Ferruccio de Bortoli per “Il Sole 24 Ore” 01 Agosto 2008

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