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Paradisi Fiscali sotto attacco

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2016 21:09
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27/02/2009 19:11

I LEADER DEL MONDO ALL’ATTACCO DEI PARADISI FISCALI,
rifugio privilegiato per enormi masse di capitali che hanno contribuito allo sconquasso dELLE BORSE
- SIA Banca Intesa CHE UNICREDIT possiedono filiali alle Bahamas e alle Cayman






1 - Bersaglio off shore...
Vittorio Malagutti per "L'espresso"


E adesso che cosa racconterà Silvio Berlusconi al suo amico Baldwin Spencer,
capo di governo dello staterello di Antigua, paradiso fiscale tra i più esclusivi e rinomati del mondo?
[SM=x44451]


Una promessa è una promessa e il Cavaliere, che su quell'isola caraibica ha grandi interessi e un numero imprecisato di ville (c'è chi dice addirittura sette), tre anni fa si era speso personalmente con il suo collega Spencer.
Il debito estero di Antigua? No problem. "Ci penso io ", disse Berlusconi assicurando un intervento in sede internazionale.

Solo che adesso, nel pieno di una crisi economica globale, mentre traballano i sacri templi del denaro e le superbanche mondiali non sanno come fare per rattoppare i loro bilanci, i leader dei grandi paesi industrializzati hanno lanciato una campagna contro i centri off shore, rifugio privilegiato per enormi masse di capitali che hanno contribuito allo sconquasso di queste settimane.

Angela Merkel, Nicolas Sarkozy, Gordon Brown:

tutti invocano nuove regole per la finanza e puntano il dito contro i paradisi fiscali e societari.
Berlusconi è con loro. Anche lui, domenica 22 febbraio, al termine del vertice tra i capi di governo dell'Unione europea, ha firmato il documento comune che minaccia sanzioni contro quelli che vengono eufemisticamente definiti i 'Paesi non cooperativi' in materia di tasse.

Antigua rischia grosso. Con buona pace delle promesse berlusconiane.
[SM=x44522]
Tanto più che proprio l'isola caraibica ha dato ospitalità alla banca dell'uomo d'affari americano Allen Stanford, il protagonista (da pochi giorni agli arresti) dell'ultima colossale frode scoperchiata a Wall Street. E allora abbasso la finanza off shore.


Angela Merkel
Su altre questioni centrali, come i salvataggi bancari, le valutazioni a bilancio dei titoli cosiddetti tossici, la regolamentazione degli hedge fund, non c'è accordo a livello globale. Tutti gridano al fuoco, ma scarseggiano le idee su come domare le fiamme. E così, i paradisi fiscali, che sembrano un obiettivo concreto e a portata di mano, sono finiti per primi nel mirino.

Il 2 aprile prossimo a Londra, nel meeting delle 20 maggiori economie del pianeta (G 20), verrà elaborato un primo elenco delle piazze finanziarie off shore considerate fuori controllo. E poi si potrà discutere delle misure politiche da attuare. Facile a dirsi. Non è solo questione di evasione fiscale. O di riciclaggio di capitali provenienti da attività illecite come il narcotraffico o il commercio illegale di armi.

Nell'arco degli ultimi vent'anni i paradisi fiscali sono diventati uno snodo fondamentale per il funzionamento della finanza globale. Quella che riesce a muovere capitali miliardari da un capo all'altro del pianeta con il semplice impulso elettronico di un computer.


barack obama
Qualche esempio pratico. I fondi di private equity, che negli anni Duemila hanno fatto incetta di grandi aziende su entrambe le sponde dell'Atlantico, spesso hanno sedi off shore oppure manovrano denaro che transita da veicoli societari esentasse. Di più: i gestori di queste corazzate della finanza, comprese quelle attive in Italia, si spartiscono le commissioni di gestione attraverso società ombra e così evitano di pagare le tasse.

Gli hedge fund, accusati (ma solo con il senno di poi) di aver moltiplicato i rischi di sistema con le loro speculazioni di Borsa e sulle materie prime, hanno spesso sede nei Caraibi, negli Stati no tax.

Nelle sole isole Cayman, il locale bollettino ufficiale a fine 2008 registrava l'esistenza di oltre diecimila hedge fund, circa la metà di quelli attivi nel mondo. E, a ben guardare, anche il gigantesco fiume dei titoli tossici, prima di approdare nei portafogli di milioni di investitori in tutto il mondo, è transitato dai paradisi off shore.

Le cosiddette emissioni strutturate, cocktail micidiali di obbligazioni di ogni tipo, vere bombe a orologeria finanziarie, sono state formalmente collocate attraverso strutture costituite ad hoc dalle grandi banche internazionali. Queste particolari società, in gergo denominate 'special purpose vehicle', sono quasi sempre registrate al sole di qualche isoletta centroamericana.


Nicolas Sarkozy
Venivano dalle Cayman, per esempio, i titoli della famigerata Anthracite, su cui hanno investito anche alcuni fondi pensione italiani. Il marchio di fabbrica, però, era quello della Lehman. I professionisti alle dipendenze della banca americana (fallita a settembre dell'anno scorso) hanno costruito le obbligazioni per poi metterle in vendita con la targa di Anthracite.

Le variazioni su questo stesso tema appaiono pressoché infinite. I prodotti finanziari pensati a Wall Street o alla City di Londra, vengono assemblati nei paradisi fiscali e poi venduti agli investitori di tutto il mondo.

Negli ultimi dieci anni, mentre venivano progressivamente abbattute le barriere al libero movimento dei capitali e il processo di deregulation ampliava a dismisura il raggio d'azione delle grandi istituzioni finanziarie, anche i paradisi fiscali si sono presi la loro fetta di una torta che era lievitata oltre ogni più ottimistica previsione.

Si è così andata affermando una sorta di divisione del lavoro tra le varie piazze off shore. Ciascuna si è via via specializzata in un'attività particolare. A Bermuda vanno per la maggiore i servizi assicurativi. Le Cayman sono un punto di riferimento per gli hedge fund. Alle Bahamas, oltre a offrire società schermo per tutti i gusti, si sono buttati sui fondi d'investimento. Panama e le Isole Vergini britanniche (BVI) sono un approdo sicuro per chi vuole costituire società mantenendo l'anonimato più assoluto.


Gordon Brown
La crescita esponenziale del giro d'affari legato a queste attività, oltre ad assicurare la prosperità a Stati altrimenti poveri di risorse (turismo a parte), ha attratto investimenti da tutto il mondo. Banche, istituzioni finanziarie, compagnie di assicurazioni hanno aperto filiali per offrire i propri servizi direttamente nei paradisi fiscali.

Tutti i colossi del credito americani e britannici finiti in queste settimane sull'orlo del fallimento sono attivi da tempo nei principali centri off shore: quelli tradizionali nei Caraibi, ma anche nel Medio Oriente a Dubai o nel Far East a Singapore. Almeno "40 dei primi 50 istituti di credito mondiali hanno una sede alle Cayman", annuncia con comprensibile orgoglio il sito Internet della banca centrale del Paese caraibico.


Bernard Madoff
Anche gli italiani si sono mossi per tempo. Banca Intesa possiede filiali alle Bahamas e alle Cayman, ha inaugurato rappresentanze a Dubai e a Singapore. Sempre alle Cayman è attivo anche Unicredit che ha messo le proprie insegne al posto di quelle di Bank Austria, finita due anni fa nell'orbita del gruppo guidato da Alessandro Profumo.

Un discorso simile vale anche per le Assicurazioni Generali che comprando la Banca della Svizzera italiana (Bsi) e poi la Banca del Gottardo hanno ereditato le filiali alle Bahamas dei due istituti svizzeri. L'Ifi, la holding della famiglia Agnelli, si è invece assicurata una vasta rete di società off shore rilevando nel 2007 il controllo del gruppo di servizi immobiliari statunitensi Cushman & Wakefield, presente a Singapore, alle Bahamas alle Cayman.

Insomma, a quanto pare, nessun protagonista della finanza globale ha rinunciato a conquistare un posto al sole di qualche staterello caraibico. Tutti ricorrevano al doping degli affari esentasse. Tutti contribuivano allo sviluppo della finanza pirata dei paesi off shore. Era una scelta obbligata. Lo imponevano le regole del turbocapitalismo.
Ora quel sistema è andato in crisi. Resta da vedere se, dopo anni di annunci a vuoto, il mondo sarà davvero capace di fare a meno dei paradisi fiscali.




2 - Caccia grossa al Cayman...
Paolo Pontoniere per "l'Espresso"


Prima Bernard Madoff e adesso Allen Stanford. I congressisti americani non trovano pace. In meno di due mesi si sono dovuti confrontare con due frodi bancarie made in Usa di proporzioni planetarie e che affondano le radici nel sottobosco finanziario dei paradisi fiscali internazionali.



Al centro della loro attenzione ci sono gli Stati caraibici e le piccole nazioni dell'Atlantico settentrionale nelle quali trovano rifugio tutti gli hedge fund e gli operatori economici che cercano di sottrarsi alla sorveglianza della Security and Exchange Commission e al regime fiscale statunitense.

Isole, per intenderci, come Antigua, Aruba, Barbados, Bahamas, Isole Cayman e Virgin Islands, dalle quali operavano le consociate dei due finanzieri statunitensi. Aziende come il Fairfield Greenwich Group e il Tremont Group Holdings, che prese assieme controllavano oltre 10 miliardi di dollari su un totale di 50 miliardi fatti sparire da Madoff.

Il quale usava i paradisi fiscali per trasferire fondi a compagnie di comodo. Stanford, dal canto suo, aveva fatto di Antigua la propria patria (cittadinanza inclusa) e il cuore pulsante di una rete bancaria con interessi in America Latina e in Europa.

Non è la prima volta che i paradisi off shore dei Caraibi finiscono nel mirino dei legislatori statunitensi.
Era successo nel 2001 con il caso Enron, ma con un nulla di fatto. Il gruppo texano aveva usato qualcosa come 900 compagnie off shore per mascherare i suoi imbrogli.



BAHAMAS


Un'altra occasione s'era presentata nel 2005 con il fallimento del Bayou Management, un hedge fund del Connecticut che aveva realizzato uno schema piramidale di centinaia di milioni di dollari utilizzando finanziarie ombra dei Caraibi.

Precedenti che avevano spinto nel 2007 Carl Levin, John Kerry e Norm Coleman, tre dei più influenti membri del Senato americano, a introdurre lo "Stop tax haven abuse act", una legge che mira a ridurre drasticamente la possibilità di evadere le tasse sugli investimenti realizzati nei porti franchi.

La proposta era stata poi firmata anche da Barack Obama, all'epoca senatore, colpito dalla storia di un palazzo di uffici alle Isole Cayman nel quale ufficialmente risiedono oltre 12 mila compagnie americane. "O si tratta di un edifico enorme o d'una truffa enorme", aveva sottolineato stizzito il futuro presidente americano.

E se il caso delle Cayman, che in totale ospitano oltre mezzo milione di aziende offshore, sorprende i legislatori americani, quello delle Isole Vergini britanniche li ammutolisce: secondo il Tax Justice Network, un organismo internazionale che si batte per l'abolizione dei paradisi fiscali, offrono rifugio ad oltre tre milioni di aziende e hedge fund.



CAYMAN



Secondo un rapporto del Senato di Washington, nell'ultimo decennio le grandi corporation e i Paperoni d'America sono così riusciti a sottrarre oltre 1.600 miliardi di dollari al fisco, a una media annuale di quasi 160 miliardi.

"Quando si parla di ammanchi di tali dimensioni e dei dirigenti degli hedge funds bisogna immediatamente pensare ai paradisi fiscali", afferma Lucy Komisar, esperta di finanza internazionale e animatrice del blog The Komisar Scoop: "è infatti nelle banche di quei paesi che trasferiscono segretamente una buona parte dei loro capitali".

Ma il trasferimento all'estero delle proprie ricchezze non è più una esclusiva degli ultraricchi. La platea dei conti off shore si è allargata nel tempo anche a fasce di risparmiatori della media e piccola borghesia americana che vi arrivano soprattutto attraverso il web.

Persone che in passato mettevano i soldi in un fondo pensione, caso mai esentasse, per poterli usare una volta abbandonato il lavoro e che invece adesso li trasferiscono a Panama, in Belize, alle Bermuda, alle Bahamas, a Sao Tome & Principe o a St. Kitts & Nevis.

Negli Stati Uniti, secondo le regole vigenti, portare capitali all'estero non costituisce una violazione automatica delle leggi federali, ma l'Irs - il fisco statunitense - lo equipara a un tentativo di evadere il fisco, soprattutto quando è in grado di dimostrare che il trasferimento è stato realizzato con l'intento esplicito di non pagare le tasse in America.

Così, mentre il Congresso Usa e il presidente erano impegnati nella formulazione di una nuova politica economica che potesse salvare il paese dal baratro fiscale, in questi mesi è stato proprio l'Irs a dare filo da torcere alle aziende che trasferiscono i capitali all'estero.






Utilizzando alcune clausole del Patriot Act, la legge anti-terrorismo approvata dal Congresso dopo gli attacchi dell'11 Settembre del 2001, l'erario statunitense ha avviato una serie di indagini nelle attività di alcune delle principali banche mondiali.

Nella sua rete sono finite istituzioni come Ubs, Credito Svizzero, Hsbc e Deutsche Bank che, operando indipendentemente l'una dall'altra, avrebbero aiutato migliaia di cittadini e corporation americane a nascondere oltre 50 miliardi di dollari in conti segreti offshore.

Naturalmente con un accorgimento fondamentale da parte del cliente: usare nomi di fantasia come Homer, Son of Boss e Cobra. Anche l'Equity development group, il maggiore gruppo statunitense che offre on line la possibilità di aprire conti offshore, è finito nel mirino dei regolatori.

"Usando Internet è diventato più facile che mai spostare capitali all'estero", dichiara Selva Ozelli, avvocato newyorchese esperta di normativa fiscale internazionale, "e questo ha facilitato la diffusione della pratica a livello di massa".

Oggi, negli Stati Uniti, l'onere di dimostrare che l'investimento individuale o il trasferimento all'estero della sede aziendale è stato effettuato per sfuggire alle tasse ricade sulle spalle del fisco.

"Ma questo potrebbe cambiare molto presto", afferma Andrea M. Ewart, avvocato di Washington esperto di contabilità aziendale, "e se passa la proposta di Levin e Obama, la responsabilità di dimostrare che non lo si è fatto per evadere le tasse ricadrà sul contribuente".

Qualora le spiegazioni non dovessero essere sufficienti, le multe dell'Irs saranno probabilmente molto salate: si dice fino al 50 per cento del valore dei depositi oltre a penali quotidiane che in poche settimane possono superare di gran lunga il valore complessivo del conto bersagliato. Per non parlare poi delle sanzioni nel caso sia comprovata l'evasione fiscale, già oggi molto pesanti negli Usa.

Intanto l'amministrazione Obama, ben decisa a recuperare i capitali evasi, ha stilato una lista di 34 paradisi fiscali da mettere alla berlina. Di questi, ben 15 si trovano nei Caraibi mentre il resto è distribuito tra l'Europa e l'Asia.





"Consiglierei ai paesi che ne fanno parte di cercare di uscire dal gruppo", dichiara Ewart: "l'amministrazione Obama ha infatti affermato che non esiterà a ricorrere alle sanzioni economiche pur di impedire agli americani di trasferire capitali all'estero".

Sarà un caso, ma a metà di febbraio il colosso svizzero Ubs, rompendo con una tradizione ferrea di segreti bancari e dopo aver pagato una multa di 780 milioni di dollari all'Irs, ha deciso di rivelare alle autorità bancarie Usa l'identità di circa 250 americani che possiedono conti segreti nella sua sede elvetica.

In realtà la partita non è chiusa. Da Washington arriva infatti la richiesta esplicita di ottenere l'intera lista dei 52 mila correntisti a stelle e strisce. Gli svizzeri, punti nel loro orgoglio, hanno per ora detto no. Nessuna deroga al protettissimo segreto bancario. Ma l'onda lunga contro i privilegi fiscali va ormai dall'America all'Europa, con poche eccezioni. Per Zurigo è una sfida vitale. Resisterà l'ostracismo elvetico?


[27-02-2009]
[Modificato da Etrusco 27/02/2009 19:12]

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Caccia a 5.600 miliardi euro di euro.
Nascosto, secondo l’Ocse, nei forzieri delle banche dei paradisi fiscali
- LO STATO FISCALMENTE IMPENETRABILE?
IL Vaticano:
Bilancio e investimenti dellO IOR noti solo al Papa (MAI CONCESSE ROGATORIE)..
.


Nicola Borzi per il Sole 24 Ore



Stato del Vaticano


Caccia a 5.600 miliardi euro di euro (al cambio attuale). Nascosto, secondo le ultime stime dell'Ocse, nei forzieri delle banche dei paradisi fiscali. È questa l'enorme dimensione della posta in palio nel rimpiattino tra le autorità internazionali che cercano di arginare i flussi di capitali "sommersi".

L'obiettivo della Ue e del G-20 è quello di far emergere flussi di denaro anonimi. Un'offensiva che ha messo in allarme paesi come Svizzera, Austria e gli altri tradizionali "rifugi". Secondo l'Organizzazione per lo sviluppo economico, che dal 1998 si occupa del dumping fiscale tra Paesi e aggiorna la "lista nera" degli Stati che non recepiscono le norme internazionali antiriciclaggio, il segreto bancario va regolato e non può evitare l'obbligo di rispondere a rogatorie internazionali, specie quando si sospetta che i capitali protetti dalla riservatezza siano frutto di attività criminali, illeciti o evasione fiscale.

La situazione in Europa
In Europa lo stato del segreto bancario, quanto alla regolamentazione e alla sua opponibilità alla magistratura, è quello indicato nella tabella. Dal 2000 sono sono stati 35 i Paesi che hanno adeguato la loro legislazione alle "norme di comportamento" internazionali. Restano però almeno tre casi (Andorra, Liechtenstein e Principato di Monaco) di Stati individuati come "paradisi fiscali che non cooperano" a far cadere le barriere all'informativa.

Anche se l'acqua nella quale nuotano gli evasori fiscali si va progressivamente asciugando, il rimpiattino tra guardie e ladri però non ha fine. Dal 1989 il riciclaggio di denaro è nel mirino della Task force internazionale sui problemi finanziari (Fatf-Gafi), istituita dal G7. Ma quando finalmente un Paese cede alle pressioni internazionali (come accaduto di recente per le Bermuda su pressione degli Usa e, in parte, per il Liechtenstein da parte della Germania e per la Svizzera sempre da parte di Washington) i capitali sono già emigrati in un altro paradiso fiscale.

Il caso del Vaticano
Un caso a parte è quello della Città del Vaticano
dove l'unica banca attiva è l'Istituto Opere di Religione.
Lo Ior, che non ha altre filiali, tra i clienti conta dipendenti e membri della Santa Sede, ordini religiosi e benefattori. Rapporti selezionati e non "a rischio" identificati solo attraverso un codice: alle operazioni non si rilasciano ricevute, non esistono assegni intestati allo Ior, depositi e movimenti avvengono tramite bonifici. Bilancio e investimenti dell'Istituto sono noti solo al Papa, al collegio dei Cardinali, al Prelato, al Consiglio di sovrintendenza, alla direzione e ai revisori dei conti dell'istituto.

Poiché ha sede in uno Stato sovrano, ogni richiesta di rogatoria allo Ior deve partire dal ministero degli Esteri del Paese richiedente. Finora nessuna rogatoria è stata concessa dal Vaticano, che non risulta aderire a organismi internazionali di controllo antriciclaggio ma partecipa - indirettamente - ai sistemi di pagamento dell'eurozona tramite banche tedesche e italiane. Che il Vaticano non si sia dotato di norme non significa però che la Santa Sede sia "meno virtuosa" di Paesi che le hanno: Stati con norme antiriciclaggio sono di certo meno attenti della Santa Sede nel combattere il fenomeno.



2 - Il segreto bancario? Proteggerà meno
Paolo Zucca per il Sole 24 Ore


Matura la voglia di regolamentazioni forti sulle attività di finanza.
E anche parte del segreto bancario
(non la doverosa riservatezza di banca quanto la disponibilità alla collaborazione fra amministrazioni di Paesi diversi sui conti di non residenti) viene messo in discussione. Soprattutto quando l'anonimato copre cifre rilevanti e il sospetto di evasione fiscale è forte. Il velo bancario è stato invece tolto, con il via libera di tutti i Paesi evoluti, in caso di illeciti penali. L'ostruzionismo rimane quando bisogna definire esattamente cosa è reato.

Per chi non ha grandi patrimoni il problema non esiste. E probabilmente c'è simpatia per la caduta delle barriere protettive. Sarà uno dei temi toccati dal G-20 il 2 aprile a Londra. Ne possono derivare riflessi sui flussi di denaro, immobiliari, valutari che toccano il risparmiatore-investitore. Molti Paesi vivono di finanza. Alcuni sono al nostro confine come il Principato di Monaco, la Svizzera, l'Austria. O la piccolissima Repubblica di San Marino che è parte dello Stivale. Altri sono facilmente raggiungibili in poche ore.

Mai come in questo momento i conti dei non residenti sono oggetto di attenzione. Quei soldi depositati e legittimamente posseduti dai proprietari fanno gola per recuperare flussi, perchè possano essere investiti nelle imprese o perchè rientrino come oggetto di imposizione fiscale. Non ci sarà da stupirsi se emergeranno proposte di nuovi "scudi fiscali".

«C'è un po' di confusione - spiega Guglielmo Maisto, professore di diritto tributario presso l'Università Cattolica, socio fondatore di Maisto e Associati - fra paradisi fiscali, dove i regimi tributari favorevoli puntano ad attirare imprese, e i paradisi finanziari, che per richiamare le imprese puntano su norme che non garantiscono la trasparenza societaria, su minori controlli, e su un più marcato anonimato. Nel prossimo G-20 è prevedibile una più accentuata pressione verso Paesi che utilizzano normative e prassi ritenute non collaborative.

Forse prima di affrontare il caso svizzero in sede di G-20, l'Unione Europea dovrà ripensare alla posizione dei tre Stati comunitari (Belgio, Lussemburgo e Austria) che hanno ottenuto di derogare al principio dello scambio di informazioni affermato come regola generale dalla Direttiva sul risparmio del 2003. Anche in sede Gafi (lotta al riciclaggio) l'asticella dovrà essere alzata se è vero che tanti Paesi sono riusciti a rientrare fra quelli virtuosi». Il duro contenzioso fra gli Usa e Ubs (vedi in pagina) segnala che l'aria è cambiata.

C'è una proposta della Commissione Ue per combattere l'evasione fiscale: in sostanza, uno Stato non potrebbe più rifiutare informazioni sui non residenti se queste sono a disposizione di una banca o di un'altra istituzione finanziaria. Ora dovranno dire la loro Consiglio e Parlamento europeo. L'argomento è delicato, con rischi di scelte controproducenti. «Per i paradisi fiscali - aggiunge Maisto -, nell'immediato futuro prevedo che si possa sviluppare una competizione fra gli Stati per attrarre aziende che abbiano una reale operatività.

L'Italia, al pari di tutti gli Stati aventi economie avanzate, dispone da tempo di norme volte a contrastare l'utilizzo indebito dei paradisi fiscali. Però, in linea con la tendenza dell'Ocse, non demonizza i paradisi fiscali. Una demonizzazione indiscriminata renderebbe meno competitive le imprese italiane rispetto a quelle di altri Stati industrializzati che adottano un approccio meno repressivo».

I Paesi sotto pressione stanno reagendo e si faranno vivi in tutti gli appuntamenti internazionali, cercando una difesa comune ed evitando che un concorrente vicino o lontano ne tragga vantaggio. Per Lussemburgo, Austria e tanti altri il segreto bancario regge parte delle economie.


[09-03-2009]


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Lettera 1

Abbiamo letto tutti che al G 20 sono state compilate liste nere e grigie di cosiddetti "paradisi fiscali".
Ma
leggendo le liste pubblicate dai giornali non sono riuscito a trovare nelle liste lo Stato della Città del Vaticano.
Forse è stata una "dimenticanza" degli
esperti o forse l'Istituto per le Opere di Religione (lo IOR diventato famoso suo malgrado per Marcinkus, il caso Calvi ed i legami con la banda della Magliana) è nel frattempo diventato un istituto trasparente?
Qualcuno conosce la risposta (e la può scrivere)?

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sembra che il più grande paradiso fiscale non sia tra quelli sopra menzionati da etrusco ma;

www.repubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2016/01/09/news/grecia_germania-130832176/?re...

e quindi si chiedeva perchè la nuova FCA di Marchionne avesse sede proprio in quel paese ora si farà un'idea più precisa.

www.repubblica.it/economia/finanza/2014/01/29/news/il_lingotto_cambia_nome_nasce_fiat-chrysler_automobiles-7...
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Re:
riccardo60, 09/01/2016 20:53:

sembra che il più grande paradiso fiscale non sia tra quelli sopra menzionati da etrusco ma;

www.repubblica.it/economia/rubriche/eurobarometro/2016/01/09/news/grecia_germania-130832176/?re...

e quindi si chiedeva perchè la nuova FCA di Marchionne avesse sede proprio in quel paese ora si farà un'idea più precisa.

www.repubblica.it/economia/finanza/2014/01/29/news/il_lingotto_cambia_nome_nasce_fiat-chrysler_automobiles-7...




A pensar male si fa peccato, però... [SM=x44499]

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Ha ha ha.
Chiariamo una cosa.
I tax deals sono legali. Anzi legalissimi. E dipendono dagli importi fatti circolare.

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Se è cosi? Almeno abbiamo una componente del forum in paradiso [SM=x44462]

Che poi paradisi fiscali? Per chi ne ha Tanti,tanti,tanti,tanti,tanti,tanti,tanti. [SM=x44458]
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pliskiss, 1/12/2016 8:03 PM:

Se è cosi? Almeno abbiamo una componente del forum in paradiso [SM=x44462]

Che poi paradisi fiscali? Per chi ne ha Tanti,tanti,tanti,tanti,tanti,tanti,tanti. [SM=x44458]


Che poi, la cosa vale per le royalties, perlopiù [SM=g1700002]
Niente "furbetti". [SM=g1700002]
[Modificato da Quak150 12/01/2016 21:31]

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riccardo60, 1/12/2016 9:25 PM:



Carta straccia [SM=x44464]
Non si apre se non paghi l'abbonamento [SM=g1700002]

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Re:
Quak150, 12/01/2016 21:32:


Carta straccia [SM=x44464]
Non si apre se non paghi l'abbonamento [SM=g1700002]



io non sono abbonato, eppure mi si apre, deve esserci un errore.

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Re: Re:
riccardo60, 1/12/2016 10:11 PM:

Quak150, 12/01/2016 21:32:


Carta straccia [SM=x44464]
Non si apre se non paghi l'abbonamento [SM=g1700002]



io non sono abbonato, eppure mi si apre, deve esserci un errore.



A me no [SM=x44464] Sei già abbonato?
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Re: Re: Re:
Quak150, 12/01/2016 22:24:


A me no [SM=x44464] Sei già abbonato?
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ho scoperto l'inghippo, non puoi entrare da tablet e da cellulare,
ma i fessi del corriere non honno bloccato l'entrata da pc,
comunque la notizia era anche sul sole24ore.
[Modificato da riccardo60 12/01/2016 22:43]
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12/01/2016 22:44

in ogni caso, ecco un altro furbetto,
metodo diverso ma il fine è sempre lo stesso, eludere la tasse.
punto-informatico.it/4292100/PI/News/italia-apple-paga-conto-al-fi...
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Re:
riccardo60, 1/12/2016 10:44 PM:

in ogni caso, ecco un altro furbetto,
metodo diverso ma il fine è sempre lo stesso, eludere la tasse.
punto-informatico.it/4292100/PI/News/italia-apple-paga-conto-al-fi...




Apple [SM=x44457]
La cosa e' molto piu' intricata di questa semplicistica spiegazione, comunque.
E, da notare la frase "l'accordo che Apple ha negoziato con l'Agenzia delle Entrate" buttata li'...

Deduci tu stesso.

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Re: Re:
Quak150, 13/01/2016 11:38:




Apple [SM=x44457]
La cosa e' molto piu' intricata di questa semplicistica spiegazione, comunque.
E, da notare la frase "l'accordo che Apple ha negoziato con l'Agenzia delle Entrate" buttata li'...

Deduci tu stesso.




so benissimo che le cosa è molto più intricata,, basta guardare qui per avere il mal di testa:
www.repubblica.it/economia/2015/03/24/news/apple_fisco-11...


per quanto il contenzioso con l'agenzia delle entrate italiana, a differenza di quanto dice l'articolo sopracitato, a me risulta che non ci sia stato alcun pattegiameto, e la Apple abbia dovuto pagare tutto, però non ne sono sicuro al 100%.
l'articolo l'avevo messo solo come esempio per mostare le pratiche elusive delle grandi corporazioni.
[Modificato da riccardo60 13/01/2016 12:48]
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Re:
riccardo60, 2/13/2016 3:08 PM:




E' tutto perfettamente legale, e corrisponde alla struttura legale e fiscale della ditta.
Anche se questo termine "furbetti" (italianata unica...) sembra piacerti molto, io direi piuttosto "ottimi fiscalisti".

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Re: Re:
Quak150, 15/02/2016 13:59:



E' tutto perfettamente legale, e corrisponde alla struttura legale e fiscale della ditta.
Anche se questo termine "furbetti" (italianata unica...) sembra piacerti molto, io direi piuttosto "ottimi fiscalisti".



Si ma qui in Italia siamo maestri per far scappare grosse Aziende che danno lavoro, n.b l'accusa è partita dai Verdi siccome che con le piante si ricava legno per mobili, poi magari vai a casa sua e hanno tutto l'arredamento Ikea? Cmq per Ric è concorrenza è giusto che attacca. [SM=x44458]
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