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Dell'Utri apre il sacco dei veleni su Forza Italia

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2009 12:05
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27/03/2009 12:05

"Solo servitori ubbidienti, come Frattini"
VENDETTA DELL’UTRI
- ACCANTONATO DAL CAV., L’UOMO CHE S’INVENTò BERLUSCONI E DA PUBLITALIA UN PARTITO,
APRE IL SACCO DEI VELENI SUI TANTI ’DISPERSI’ DI FORZA ITALIA
E SU SILVIO SPARA a zero:
AMA SOLO i servitori ubbidienti, come frattini...


Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"


Marcello Dell'Utri


Se li ricorda tutti, uno per uno, quelli che «fecero l'impresa ».
Quelli che «nei sottoscala di Publitalia », come cospiratori perché «se lo avessero saputo, i magistrati ci avrebbero fatto a pezzi, come poi si è visto...»,
misero su in sei mesi un partito che a settembre del '93 non aveva ancora un nome e che il 27 marzo del '94 vinceva le elezioni e cambiava per sempre la storia italiana.

Quindici anni dopo, ancora un 27 marzo, quell'avventura visionaria diventa il Pdl, e con molti ricordi, processi, condanne, soddisfazioni e delusioni alle spalle,
Marcello Dell'Utri racconta quegli inizi col tono di chi «da questa storia ha ricevuto, nonostante tutto, molto: perché ci ho perso in salute e tranquillità famigliare, ma ho contribuito a creare qualcosa dal valore inestimabile».

Cominciò quando Martinazzoli e Segni dissero no alla richiesta del Cavaliere di fare fronte moderato contro la sinistra:
«"Marcello - mi disse - non c'è altra soluzione: dobbiamo fare un partito noi".
"Come un partito?" "Lo fanno tutti, lo faremo anche noi..."».

Era determinato, il Cavaliere, a Dell'Utri che guidava Publitalia «e a 27 ragazzi del gruppo, tra loro Miccichè, Ghigo, Galan, Tortoli»
affidò il compito di selezionare i candidati e «non li voleva politici di professione, tutte facce nuove dovevano essere», facce che interpellate cadevano dalle nuvole: «"Ma candidarsi a cosa?", perché noi non sapevamo ancora come si sarebbe chiamato il partito, e perché Berlusconi in pubblico negava tutto"».

«Avevamo tanti contro: in azienda erano terrorizzati, imprenditori che contattavamo ci scongiuravano:
"Fallirete voi e pagheremo un prezzo pure noi"».
Poi Berlusconi disse che tra Fini e Rutelli a Roma avrebbe votato Fini:
«Macché uscita studiata, glielo chiesero e fu sincero:
Rutelli neanche gli dispiaceva, scelse quello che gli sembrava il male minore».

Oggi la scelta è definitiva, partito unico, potenza sul territorio, strutture pesanti:
«A pensarci allora, Berlusconi sarebbe impazzito: lui voleva una specie di comitato elettorale che provvedeva alla campagna elettorale e poi spariva.
Al massimo, i 27 di Publitalia avrebbero dovuto gestire la "Cosa" come un'azienda.
Finì che siccome non riuscivamo a completare le liste, anche loro furono buttati dentro, un minuto prima di chiudere le candidature:
la loro carriera politica iniziò così».

E degli altri, quelli che fecero FI e oggi sono scomparsi, o scoloriti, che pensa Dell'Utri?
«Faccia i nomi ».
Scognamiglio?
«Oddio, me l'ero scordato. Il nulla, il nulla assoluto diventato seconda carica dello Stato».
Urbani?
«Lui non si dimentica, ha dato tanto al partito».
Il generale Caligaris?
«Sorvoliamo, grazie».
Vittorio Dotti?
«Velo pietoso. Il prossimo? ».
Tiziana Maiolo:
«Gran donna, battagliera. È finita nelle retrovie per colpa di contrasti locali, merita di più».

Tiziana Parenti?
«In quel momento fu importante per noi, dimostrò che non tutta la magistratura era asservita. Coraggiosa».
Alessandro Meluzzi?
«Ottimo psicologo, mestiere che giustamente è tornato a fare».
Codignoni?
«Straordinario professionista, mise assieme i Club, quando capì che il suo lavoro era compiuto, se ne andò. Oggi è amministratore delegato per la tv francese».
Del Debbio?
«Un intellettuale vero, di grande livello. Poteva essere ministro, ha scelto la cultura, ciò che davvero gli interessa».


Gianni Pilo?
«Fantastico... Una vignetta disegnò Silvio affranto che si rivolgeva a lui: "Gianni, fammi una Diakron!", il nome del suo istituto di sondaggi. Quei numeri per Silvio erano davvero come una flebo». Erano veri? «Mai saputo, ma funzionavano... ».
E poi Raffaele Della Valle:
«Un signor avvocato, come fu un signore in Parlamento».

E Antonio Martino:
«Un siculo-romano, troppo evoluto per stare con la massa. Ha un senso di superiorità anche giustificato, non si mischia col pollaio».
E Alfredo Biondi?
«Non ci sarà per la sua veneranda età, ma grande persona, brillante, generoso.
Venne con slancio in FI con la bandiera dei Liberali: dietro c'era solo lui, ma fu una mossa che ci servì allora».

Delusioni? «Non quelli su cui ho puntato io». Sorprese? «Sinceramente, mi avessero detto dove sarebbero arrivati Schifani e Tajani, non ci avrei creduto. [SM=x44452]
Ma è vero che la carica fa l'uomo, se l'uomo non è fesso».
Come Frattini:
«Piace molto a Berlusconi, dice sempre: "Gli chiedo la mattina di fare una cosa e la sera l'ha fatta". Ama quelli così».

E per il futuro? «Gelmini, Alfano sono già una realtà. Ma dai trentenni arriveranno sorprese».


E lui, Dell'Utri, che di quella squadra del '93 si definisce «l'allenatore-preparatore atletico, Silvio era il presidente, gli altri tutti attaccanti perché così al Capo piacciono le squadre»,
lui che si candidò solo nel '96 «e solo per legittima difesa. Mi chiedevano: "Lei è deputato?", rispondevo "Veramente sono imputato" », [SM=x44452]
lui adesso vorrebbe tornare a occuparsi «di cultura, nel nuovo partito ».

E alla Fiera di Roma ci sarà e si «commuoverà» ma mai quanto Berlusconi:
«Lui sì che ci ha messo il cuore.
E dire che qui non saremmo arrivati se la sinistra avesse sfruttato le occasioni che ha avuto».
Quante?
«Tante.
Nel '95 sembrava tutto finito, nessuno di noi ci credeva più, nessuno. Solo Berlusconi. Forse».

E l'ultima chance? «L'hanno avuta nel 2006, potevano fare il governo di salvezza nazionale che gli proponeva Berlusconi. Prodi avrebbe accettato, anche D'Alema credo. Ma quegli altri lo hanno impedito. ...


Paola Di Caro per il "Corriere della Sera" 26-03-2009

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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