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Quando il paradiso è in periferia

Ultimo Aggiornamento: 13/05/2010 15:43
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04/06/2009 19:56

Re: Parliamo in immigrazione, di quartieri difficili in modo meno allarmistico del solito.
Arjuna, 04/06/2009 18.10:


... Ma questa è una bella zona, non ci sono tanti delinquenti, e a me piace stare qua»: a parlare è il moldavo Nicolaj, tredici anni, maglietta bianca e sguardo furbo, da otto anni in Italia.

Io invece sono andata a casa e ho ripreso mia madre che faceva il cous-cous. ... Lei ha 14 anni e da due è nel nostro Paese. «Vivevo in corso Emilia ed era una brutta zona, così abbiamo cambiato quartiere e qui mi trovo meglio», spiega Lilia, 14 anni, nata in Bulgaria. ...

Colpisce la voglia e l’entusiasmo con cui i «nuovi torinesi» hanno colto l’occasione di raccontare la loro esperienza di vita. Un’urgenza che i ragazzi italiani non sembrano sentire nella stessa misura: se gli stranieri hanno sentito la necessità di esprimersi, aggredendo e rielaborando, con i mezzi messi a loro disposizione, la realtà che li circonda e le loro «radici», gli italiani non hanno mostrato le stesso entusiasmo e la stessa voglia di esprimersi. «I ragazzi immigrati - conferma Emanuele Catellani, che ha curato la mostra - sono stati più reattivi, ma è comprensibile: vivono a metà tra due culture, quella del Paese d’origine e quella della città che li ha accolti. Sentono più forti le radici e hanno quindi più voglia di raccontare quella che sentono come un’esperienza unica».

Per non disperdere queste testimonianze in mille rivoli, quelli di Barriera hanno pensato di farle ruotare intorno ad alcuni cardini. «Filo conduttore del lavoro - spiega Edoardo Cinalli, anima del rapporto con gli studenti e compositore delle musiche che danno il ritmo alle immagini - sono stati alcuni temi, molto ampi: l’amicizia, l’origine, il paradiso». I ragazzi hanno scelto angoli lungo il fiume, dove tra la spazzatura e i rifiuti ci si esercita con lo skate, ma anche l’oratorio salesiano Michele Rua, dove magari si sta sulle scale a scambiarsi una birra. C’è chi si è fermato davanti a un semaforo e ha ripreso i vecchi della zona, chi invece si è messo a ballare la tectonic, che è la danza del momento tra gli adolescenti. Ci sono macchine parcheggiate e giardinetti dedicati a Peppino Impastato (la politicizzazione è un retaggio di quando il quartiere era una delle roccaforti «rosse» della città: qui il Pci negli anni d’oro aveva percentuali bulgare), dove magari, come diceva Nicolaj, «è bello stare con gli amici». Qualcuno ha ripreso i muri delle fabbriche, qualcun altro le insegne dei negozi, c’è chi ha inseguito i piccioni sulla strada e chi semplicemente l’asfalto lucido dopo la pioggia. Ne esce un ritratto dove anche il degrado è in qualche modo metabolizzato: c’è più affetto che paura nei loro sguardi. «Ma la paura è un sentimento che provano più i genitori che non i ragazzi - spiega Carola Garosci, preside della Scuola Bobbio. Davanti a figli in un età difficile, molti cercano di dissuaderli a stare in strada ed enfatizzano il problema della sicurezza».

«Il paradiso per me sono le montagne e vorrei vivere in un mondo bianco come la neve» ha scritto una ragazzina bulgara. «Se ci mettiamo d’impegno, possiamo fare il paradiso ogni momento» scrive un altro. «Io mi immagino un paradiso free-style», scrive un altro ancora. E le definizioni del Paese d’origine, per molti una sorta di paradiso perduto, campeggiano su un muro della mostra: «felice», «diverso», «mio», «verde». Una lunga catena di lampadine luminose su una grande pianta del quartiere segna i percorsi che si fanno per andare da una all’altra delle quattro scuole coinvolte nel progetto: scopri che occorre un serpente sinuoso per dribblare ora le torri della Falchera (il quartiere modello Ina-Casa degli Anni 50) ora lo stabilimento dove la Fiat costruiva camion e trattori, ora il Tossik Park.

Con le foto di decine di facce (c’è ovviamente chi ha gli occhi a mandorla e chi la pelle nera) hanno montato quattro volti alla Frankestein, in cui la bocca è di uno e lo zigomo di un altro. E il risultato finale è un mix di dolcezza e inquietudine, forse metafora del vivere nel loro quartiere ma anche della loro adolescenza. Sembra quasi arte africana invece la microgalleria dei volti dipinti in un altro video assemblato dall’artista torinese Chiara Pirito. L’originale è nell’atrio della scuola Bobbio. «Il venti per cento dei nostri allievi - dice ancora la preside - è di origine straniera. Sono molto intelligenti e non c’è bisogno di insegnanti di sostegno: hanno imparato velocemente l’italiano anche se in casa quasi tutti parlano ancora la lingua d’origine». Il grande filosofo può essere contento di aver lasciato il nome a questa scuola.

Fonte la stampa




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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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