Perché, dove e come ha senso correggere il ddl intercettazioni. Con senso della misura
Scriveva Cesare Beccarla, che
la giustizia umana, o sia politica, non essendo che una relazione fra l’azione e lo stato vario della società, può variare in misura che diventa necessaria o utile alla società quell’azione, né ben si discerne se non da chi analizzi i complicati e mutabilissimi rapporti delle civili combinazioni.
Una civile combinazione, che risente inevitabilmente dei mutamenti della società, è certamente quella costituita dal binomio libertà/sicurezza, non solo e non tanto perché mutano nel tempo i rapporti di forza tra l’una e l’altra, a seconda di emergenze che via via possono presentarsi, ma anche e soprattutto perché il progresso tecnologico inevitabilmente finisce per erodere ambiti di libertà fino a qualche tempo fa intangibili.Ciò è tipicamente vero in riferimento alla tutela della cosiddetta riservatezza, la quale, per esigenze di sicurezza collettiva, ha dovuto sopportare, nel tempo, ridimensionamenti sempre più estesi, legati, per la massima parte, alla proliferazione di strumenti tecnici di ingerenza e controllo.
Si arriva pertanto ad un punto nel quale è necessario riscrivere le regole della tutela delle libertà fondamentali, in particolare ristabilendo un equilibrio virtuoso, per il quale non si può ritenere giusto sacrificare la libertà alla sicurezza. Tali, ad avviso di chi scrive, devono essere le premesse indispensabili ad una serena disamina della materia delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, che costituiscono un problema politico, proprio a causa della potenziale ed arbitraria invasione della sfera privata dei cittadini, secondo un copione simile a quello de “Le vite degli altri”.
Il disegno di legge di riforma delle intercettazioni è in dirittura di arrivo. Gli aspetti toccati dall’intervento normativo sono plurimi, e vanno dalla limitazione dei tempi delle intercettazioni, alla rideterminazione del perimetro dei reati per i quali è spendibile tale mezzo di ricerca della prova, fino alla previsione di sanzioni per la divulgazione e pubblicazione dei verbali delle intercettazioni. Finalità dichiarata dell’intervento riformatore è la legittima intenzione di porre freni normativi ad usi distorti ed abusi a cui, troppo di frequente, il mezzo investigativo, in primis, e i risultati dell’attività di captazione, poi, finiscono per essere esposti.
Il rischio, invece, è che la compressione dei metodi di invasione della “privatezza” e la punizione di pubblicazione dei dati captati dagli inquirenti possa essere percepita o rappresentata – più o meno demagogicamente – come prova dell’intenzione di ridurre la capacità investigativa degli organi inquirenti e la libertà degli organi di informazione, così ingenerando il sospetto di una scelta opportunistica, di autotutela della classe politica, da ingerenze investigative e mediatiche.
Due premesse, pertanto, si pongono come ineludibili. Le intercettazioni sono una conquista investigativa irrinunciabile: alla politica spetta, però, il compito di evitare che esse possano risultare, come purtroppo a volte accade, principio e conseguenza di una sorta di pigrizia dell’inquirente, che si insinua, per tempo infinito, nella sfera delle conversazioni private dell’indagato, attendendo, per inerzia che – prima o poi – qualcosa accada, senza tuttavia avere chiaro cosa possa accadere e senza avvertire minimamente il senso di disagio che dovrebbe derivare dalla consapevolezza di beneficiare, in via del tutto eccezionale, dello strappo alla regola della inviolabilità della riservatezza, costituzionalmente garantita a tutti i cittadini.
Vanno create le premesse per sradicare questa rilassatezza, individuando norme che ricordino costantemente all’inquirente che l’ingresso nella sfera della privacy non è fatto naturale e scontato, ma è del tutto eccezionale, e come tale è giusto che necessiti di adeguata giustificazione, di costante monitoraggio, di perimetrazione temporale e soggettiva, di sanzione per le ipotesi di ingerenza indebita, non produttiva di risultato o inutilmente pubblicizzata.
Pur tuttavia, concepire la moderna tecnica investigativa senza questo mezzo potente pare pura follia, così come pure è folle, per contro, continuare ad indulgere su prassi deviate, per le quali le intercettazioni si sprecano, non solo e non tanto allargandosi a macchia d’olio, fino a lambire la sfera privata di qualsiasi cittadino, anche non sottoposto ad indagini, ma spesso traducendosi in ore ed ore di ascolto e registrazioni inutili, che non raramente si concludono con la formula “si chiede di sospendere l’ascolto perché non si rinvengono risultati utili alle indagini”. Invero, oltre alla riaffermazione di precisi baluardi costituzionali, si deve tener conto anche degli sprechi di denaro pubblico, indispensabile per sostenere spese a volte elefantiache per intercettazioni che non arrivano a descrivere alcun preciso quadro di responsabilità a carico di chicchessia.
Ben vengano, dunque, interventi correttivi, anche se alcuni aspetti della riforma, attualmente in discussione al Senato, sollevano perplessità tutt’altro che infondate anche in chi condivide l’obiettivo dichiarato di ricondurre la disciplina delle intercettazioni e del loro utilizzo ad un ordine più preciso e razionale.
Non vogliamo qui considerare i punti della riforma che riguardano il divieto di pubblicazione e divulgazione dei risultati delle intercettazioni prima della formale chiusura delle indagini preliminari e della fissazione dell’udienza preliminare, che hanno determinato un’insurrezione della stampa, sentitasi in qualche maniera imbavagliata da tale previsione. Intendiamo invece valutare altri aspetti del testo in discussione al Senato, che riguardano più direttamente le intercettazione come mezzo di indagine.
Pare avviarsi a composizione il conflitto sulla norma relativa alla secretazione delle intercettazioni degli agenti dei servizi di sicurezza e su quella avente ad oggetto l’applicazione retroattiva delle norme in discussione. Il governo ha infatti annunciato di volere, da un lato, non tracciare canali differenziali per i servizi, dall’altro di essere pronto a rinegoziare la normativa transitoria, accogliendo le istanze di chi valuta indispensabile il recupero/mantenimento di piena validità di quanto fatto sotto il vigore della precedente normativa.
Su tale ultimo aspetto, in ossequio al principio processuale “tempus regit actum”, al quale deve improntarsi la successione di leggi processuali, ed in considerazione di un legittimo interesse alla conservazione degli atti, si potrebbe pensare ad una norma transitoria che fissi, in capo agli inquirenti che abbiano già attivato attività di intercettazione e superato, alla data di entrata in vigore della legge, il termine massimo di 75 giorni, di richiedere nuova autorizzazione alla prosecuzione, con lo stesso regime disegnato per richieste di proroga, come modificate dalle norme in discussione.
Il meccanismo di proroga ipotizzato, ad onor del vero, non appare del tutto convincente, in considerazione dello spazio temporale eccessivamente ed inutilmente compresso – 48 ore, rinnovabili di 48 in 48 – di validità della proroga stessa. La ristrettezza di termini di ciascuna proroga comporterà inevitabilmente plurime e reiterate richieste di autorizzazione, con spreco inutile di energie e tempo, sia per il p.m. inquirente che per il giudice chiamato a verificare la sussistenza dei presupposti per la proroga.
La previsione di un termine di 48 ore finirebbe, pertanto, per ridursi ad un inutile formalismo garantista, potendosi, invece, immaginare, in termini più sostanziali, un sistema che preveda, in presenza di una evoluzione della situazione originaria, la possibilità di una proroga di ulteriori 10 giorni, non oltre prorogabili, ammettendosi, per contro, in casi eccezionali, la possibilità di richiedere una riapertura delle intercettazioni, laddove il pubblico ministero fosse in grado di dimostrare, con i risultati di altre attività investigative fino a quel momento compiute, la necessità di una captazione a tempo e specifica, indispensabile a confermare un quadro indiziario già ampiamente delineatosi.
Pure la previsione della necessità di un assenso autorizzativo da parte del Procuratore della Repubblica sulla richiesta di intercettazione avanzata dal sostituto pare pacificamente destinata a tradursi in un inutile formalismo burocratico, che impegnerebbe più le rispettive segreterie, che non i soggetti coinvolti nel passaggio di carte.
Rischia, invece, di avere un deleterio impatto paralizzante la previsione dell’affidamento del potere di controllo ed autorizzazione in capo al tribunale collegiale del distretto, anziché al giudice per le indagini preliminari. Coinvolgere tre giudici nell’autorizzazione delle intercettazioni, anziché uno soltanto come è attualmente, se da un lato si tradurrebbe, indubbiamente, in una maggiore garanzia per l’indagato, dall’altro – se fosse lasciata numericamente inalterato l’organico a disposizione – finirebbe per rendere incompatibile al giudizio un numero spropositato di giudici (almeno triplo rispetto ad oggi) con conseguente paralisi dell’ accertamento processuale. Senza considerare la distonia che si verrebbe a creare nel sistema, ammettendosi che un solo giudice possa decidere nel merito di un omicidio, ma non sia sufficiente per autorizzare intercettazioni.
Giudizio critico si ritiene di dover riservare anche alla modifica tesa alla attualizzazione della perimetrazione dei reati per i quali possono ritenersi ammesse le intercettazioni, che porta alla esclusione dei c.d. “reati satellite”.
Orbene, se la garanzia della libertà delle comunicazioni è cosa sacra, che ha senso comprimere solo in casi ritenuti dal giudice garante assolutamente necessari alla prosecuzione delle indagini, va pure detto che parrebbe schizofrenico e miope il sostanziale disinteresse dello Stato rispetto alla emersione, da un’attività di ascolto specificamente prevista per una determinata ipotesi di reato, di altre fattispecie criminose, commesse da o verso soggetti diversi.
Va, certamente, posto un argine sacro ed invalicabile alla proliferazione voyeuristica delle intercettazioni a catena, ma non si può non ritenere intangibile l’obbligo del p.m., che indirettamente è venuto a conoscenza di una notizia di reato, di iscrivere la notizia e di intraprendere autonoma attività di indagine anche rispetto alle nuove condotte indagabili, emerse dall’ascolto di un determinato soggetto. Sarebbe opportuno, tuttavia, evitare l’autoreferenzialità delle intercettazioni, pur senza rinunciare alla legittima pretesa dello stato di perseguire chi commette illeciti, qualunque sia il canale di veicolazione della notizia di reato, ivi incluso quello delle intercettazioni a carico di altri, o per altri fatti.
Per contemperare le opposte esigenze di libertà e sicurezza, sarebbe sufficiente prevedere, ai fini della richiesta e dell’ammissibilità dell’intercettazione verso altro soggetto o per altro fatto, la non sufficienza dell’emersione dall’ascolto di indizi di reato a carico del neo intercettando, dovendosi, per contro, pretendere da parte dell’inquirente che intendesse richiedere l’ampliamento dell’ascolto ad altre utenze, il supporto di ulteriori elementi investigativi, ottenuti aliunde, da differenti canali di ricerca dei mezzi di prova, sebbene attivati su impulso degli indizi emersi dall’ascolto delle conversazioni del primigenio indagato.
Attraverso la previsione di un obbligo di allegazione di un bagaglio investigativo a sostegno della richiesta di estensione delle intercettazioni ad altri soggetti da un lato si onererebbe la Procura a riscoprire metodi classici di investigazione, forse più complessi delle intercettazioni, ma certamente meno invasivi della privacy di quanto non lo sia il suddetto mezzo di ricerca, ed al tempo stesso si consentirebbe al tribunale di rendere un giudizio maggiormente consapevole ed improntato a canoni di accresciuta garanzia.
Sarebbe, in sostanza, necessario, operare una rivoluzione copernicana dell’ottica inquirente, educando l’investigatore al principio che l’invasione nella spera privata dei soggetti è consentita solo a condizione che sia assolutamente indispensabile e che l’ascolto delle conversazioni dei cittadini, non possa ritenersi un fatto normale, cui accedere ogni qual volta se ne profili più o meno l’opportunità ai fini dell’indagine.
FonteDisapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.
(Voltaire)
ma difendiamo anche la grammatica Italiana
Sai cosa scrivere? Allora posta!
Non sai cosa scrivere? Allora spamma!
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I videogiochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se Pac Man avesse influenzato la nostra generazione ora staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva."
(Kristian Wilson, Nintendo Inc., 1989)
Pochi anni dopo nacquero le feste rave, la musica techno e l'ecstasy...