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Benjamin Netanyahu risponde a Obama

Ultimo Aggiornamento: 27/09/2010 12:33
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16/06/2009 10:47

Israele e Palestina: riconoscimento dei 2 stati, stop a nuove colonie.
L’ASTUTO NETANYAHU S’INVENTA L'IMPOSSIBILE:
LO STATO PALESTINESE “SMILITARIZZATO”
- E COSTRINGE OBAMA AL MURO:
STACCARSI DA ISRAELE AVREBBE COSTI IMPENSABILI PER LA POPOLARITÀ DI BARACK D'ARABIA, GIÀ TROPPO ESPOSTO COL MONDO ARABO…



Netanyahu

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu
si è seduto all'eterno tavolo di poker del conflitto medio-orientale e ha fatto il suo rilancio pesante.
Ok ad uno stato palestinese, purché sia smilitarizzato.
Non poteva essere ignorato l'appello fatto da Obama nel suo discorso al Cairo:

accettare la tesi dei due stati che convivono in pace, cardine della «road map» disegnata da Bush e condivisa dalla nuova Casa Bianca.
Ma il presidente Obama aveva parlato anche degli insediamenti israeliani, il nervo scoperto di tutte le trattative, e aveva chiesto a Gerusalemme un passo indietro: no a nuove colonie, e smantellamento di quelli esistenti.

Netanyahu, il leader della coalizione di destra vincitrice delle recenti elezioni, non aveva mai sposato l'ipotesi dei due Stati, e non ne aveva fatto menzione nemmeno durante il recente incontro con Obama alla Casa Bianca. Del resto, le componenti più radicali della sua formazione, non avevano mai accettato questa possibilità, e la tenuta dello stesso governo israeliano sarebbe stata a rischio. La mossa di ieri arriva dopo che il leader di Gerusalemme si è assicurato l'appoggio anche degli alleati più intransigenti.

La fermezza del messaggio di Obama aveva di fatto posizionato l'America, pur nella conferma piena dell'alleanza con Israele, in una luce di migliore visibilità agli occhi dei palestinesi, persino della fazione più estremista di Hamas.
Netanyahu non ha risposto con l'irrigidimento, ma ha deciso anzi di uscire dallo stallo
e di fare un passo che costringerà gli Stati Uniti a uscire a loro volta allo scoperto.


Abu Mazen

Il governo Obama ne prenderà atto con favore, aumentando la pressione sull'altro campo?

Oppure sceglierà di sminuirne l'importanza, accentuando un distacco da Israele che avrebbe però costi impensabili per la sua popolarità in patria?

La proposta di Netanyhau non viene gratis,
e le due condizioni che si porta appresso sono destinate a portare il dibattito sul tema che è più caro a Gerusalemme:
la sicurezza.



pianta di Israele e palestina


La prima richiesta è quella della smilitarizzazione dello stato palestinese nascituro,
con un controllo internazionale in cui gli Stati Uniti dovranno avere un peso decisivo.
I «cuscinetti» di tutela alla libanese, creati sotto l'egida dell'Onu, nella memoria politica israeliana non suonano evidentemente rassicuranti.


La seconda condizione è politica, e nella sua banalità è rivoluzionaria: il riconoscimento palestinese dello stato di Israele come casa nazionale del popolo ebraico. Finora neppure il moderato presidente palestinese Abu Mazen ha mai compiuto questo passo con nettezza. Per Obama, questa seconda condizione è facile da sostenere: nell'ipotesi di lavoro dei due stati la premessa è proprio il riconoscimento reciproco.

La prima condizione, invece, per la Casa Bianca è una novità che dovrà essere valutata con attenzione:
Obama dovrà capitalizzare il credito mediatico conquistato nel mondo arabo e musulmano con il discorso in Egitto, cercando di trasformare la buona volontà dell'ex falco Netanyhau in un reale passo avanti nelle trattative.
Glauco Maggi per "La Stampa" 15-06-2009

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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27/09/2010 12:33

Il Premier: negoziati «sinceri e positivi». L'ANP: senza proroga, trattative inutili

Scade la moratoria nei Territori
Ma subito c'è un rivio di una settimana

Termina dopo 10 mesi la sospensione dei lavori negli insediamenti ebraici.

Abu Mazen: «Temo nuovi scontri»

Supporter dei nuovi insediamenti durante una manifestazione contro la moratoria (Reuters)
Supporter dei nuovi insediamenti durante una manifestazione contro la moratoria (Reuters)
GERUSALEMME - La moratoria temporanea sulle nuove costruzioni negli insediamenti in Cisgiordania, concessa dieci mesi fa dal governo israeliano, è scaduta alla mezzanotte di ieri, ma Israele e le Autorità Palestinesi hanno deciso di darsi un’altra settimana di tempo per tentare di giungere a un compromesso sulla questione, che possa salvaguardare i colloqui di pace diretti, ripresi all’inizio di settembre grazie alla mediazione degli Stati Uniti. Lo riporta il sito web del Jerusalem Post. Già all'alba di stamane le ruspe si erano messe al lavoro. Molti coloni avevano vissuto la vigilia quasi come un conto alla rovescia, con manifestazioni collettive che dovevano sfociare nel riavvio immediato dei lavori per i nuovi insediamenti. Ma la situazione era difficile per il governo israeliano e tesa sul fronte internazionale. Il Presidente palestinese Abu Mazen, insieme agli Stati Uniti, era tornato a chiedere il congelamento della colonizzazione in Cisgiordania, affermando di voler proseguire nelle trattative, ma che senza un ulteriore blocco il processo di pace sarà una perdita di tempo. Dal canto suo, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto al presidente dell'Anp di portare avanti negoziati sinceri e positivi, nonostante la fine della moratoria. In giornata Abu Mazen incontrerà a Parigi il Presidente francese Nicolas Sarkozy e il Premier Francois Fillon.

FESTEGGIAMENTI - La fine della moratoria è stata considerata come una liberazione dai coloni. E in alcuni insediamenti, come a Revava, in Cisgiordania, migliaia di loro sono pronti, attrezzi di lavoro in pugno, ad edificare interi palazzi in una notte di festeggiamenti. Il Premier dello Stato ebraico Benjamin Netanyahu ha chiesto ai coloni di «dare prova di moderazione», evitando le provocazioni. Un atteggiamento di prudenza sposato anche dal leader dell’Anp Abu Mazen, che ha lasciato New York per recarsi in visita in Francia. I palestinesi non lanceranno una nuova Intifada qualora i colloqui di pace con Israele dovessero arenarsi: «Abbiamo provato l’Intifada - ha detto - e ci ha portato solo tanti danni». Il leader dell’Anp ha più volte ribadito l’intenzione di abbandonare i colloqui di pace qualora Israele avesse ripreso la costruzione delle colonie. Ma adesso riapre a soluzioni più dialoganti: «Prenderemo una decisione in base agli sviluppi sul terreno».

BARAK - Moderatamente fiducioso si è detto il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, secondo il quale l’accordo con i palestinesi per una nuova moratoria sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania è probabile al 50%. «Credo che le possibilità di arrivare a un accordo accettato da entrambe le parti sulla moratoria siano al 50%», ha detto Barak in un’intervista concessa alla BBC. Poi ha aggiunto: «Penso che le probabilità di avere un processo di pace siano molte più alte. Spero che non venga bloccato dalla questione della moratoria e che si possa procedere spediti verso un negoziato e un accordo concreti». E a «sperare» ancora in un accordo sono anche gli Stati Uniti, che continuano a guardare con preoccupazione alla scadenza della moratoria. «Continueremo a esortare e fare pressione tutto il giorno per ottenere una soluzione» della questione della colonizzazione, ha dichiarato David Axelrod, principale Consigliere del presidente americano Barack Obama, all’emittente ABC. «Riteniamo essenziale che (i negoziati, ndr) continuino a progredire, che si continui a discutere e a cercare di risolvere queste questioni. Abbiamo la speranza che ciò avvenga», ha detto Axelrod. «Queste discussioni sono assolutamente determinanti, siamo arrivati ad un punto critico per questa regione», ha concluso.

Fonte: Corriere della Sera - Redazione online
26 settembre 2010
(ultima modifica: 27 settembre 2010)


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