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Chiuso a Guantanamo a 12 anni

Ultimo Aggiornamento: 31/08/2009 10:18
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31/08/2009 09:50

Ora faccio causa agli Stati Uniti

Mohammed Jawad è stato liberato dopo 7 anni di prigionia: ora da Kabul racconta maltrattamenti e torture e chiede giustizia e aiuto.

Mohammed Jawad oggi ha 19 anni, i baffi e la barba scura gli danno un’aria da uomo, ma negli occhi, che non sanno se essere timidi o aggressivi, sembra di leggere ancora il dolore e lo spavento del ragazzino di 12 anni che era nel 2002, quando venne arrestato a Kabul per aver lanciato una granata contro un veicolo militare americano e quindi spedito a Guantanamo.
Prigioniero per sette anni nel penitenziario dei terroristi, il più duro e discusso d’America, da lunedì Mohammed è un uomo libero: rilasciato dopo che le indagini governative sull’attacco si sono rivelate “un oltraggio” e “piene di buchi”, è tornato a Kabul per riabbracciare la famiglia, ma nella felicità del momento non dimentica la durezza della prigionia e annuncia di voler fare causa al governo degi Stati Uniti per i maltrattamenti subiti e, soprattutto, per gli anni dell’adolescenza che gli sono stati rubati.

“Ero un bambino innocente quando mi hanno portato in prigione”, ricorda Jawad, “Non avevo fatto niente, mi hanno arrestato per nulla. Tutto quello che potevo fare era sperare che un giorno sarei stato libero e sarei tornato in Afghanistan da mia madre”.
Il Pentagono sostiene che, in base ad un’esame delle ossa realizzato mentre era in carcere, Mohammed non aveva 12 anni, ma 17, al momento dell’arresto: qualunque fosse la vera età, restano sette anni di giovinezza persi e il racconto delle torture e degli insulti all’Islam e al Corano che hanno costituito la vita quotidiana del ragazzo a Guantanamo.
Jawad non scende nei dettagli: “Era una prigione e non ero certo felice lì: non stavo molto bene”, racconta soltanto, stringendosi nelle spalle. Ma alcuni attivisti per i diritti umani, che hanno seguito la sua vicenda, parlano di 152 episodi di maltrattamento subiti dal ragazzo in una sola settimana e anche Jawad, alla fine, accenna a manette ai polsi, mani strette dietro la schiena, privazione del sonno, botte e minacce: proprio le minacce di morte a lui e alla sua famiglia, spiega Jawad, lo hanno indotto a confessare di aver lanciato quella granata.

A dispetto della giovane età, è stato trattato come un adulto, osserva il legale di Mohammed, Eric Montalzo: avvocato militare assegnato d’ufficio al ragazzo, Montalzo continuerà a seguirne il caso in attesa che si faccia luce sulle reali responsabilità. “Non permetterò che gli sia negata l’assistenza di cui ha bisogno”, assicura l’avvocato: Jawad ha bisogno di assistenza psicologica e anche di sostegno per ricominciare a studiare, ora che ha deciso di diventare dottore dopo aver visto quel che il personale medico faceva per i prigionieri a Guantanamo.
Il presidente Hamid Karzai, che ha ricevuto il giovane per un meeting privato di benvenuto, ha già promesso a Mohammed e alla sua famiglia una casa a Kabul, ma nel futuro del ragazzo potrebbero esserci altri piani: forse una carriera universitaria negli Stati Uniti, se le ferite provocate dall’America, lentamente, si rimargineranno.

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(Voltaire)

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31/08/2009 10:18

Sembra il tipico caso dei telefilm Boston Legal.

Faccio il tifo per Mohammed e Alan Shore

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