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La domenica delle salme

Ultimo Aggiornamento: 21/09/2009 12:57
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21/09/2009 12:50

coro di cicale: "li abbiamo mandati e sono tornati morti"

L'arrivo delle bare a Ciampino
Il presidente Giorgio Napolitano saluta i feretri dei soldati italiani uccisi a Kabul. Su ciascuna bara il presidente ha poggiato la mano destra, inchinandosi (Ap)





IL LEADER DELLA LEGA E LA STRAGE DI KABUL
Bossi di fronte alle bare dei parà:
li abbiamo mandati e sono tornati morti
Il leader del Carroccio aveva proposto il rientro dei soldati italiani entro Natale




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ROMA - «Li abbiamo mandati noi e sono tornati morti». Lo dice il leader della Lega nord, Umberto Bossi, entrando nella basilica di San Paolo fuori le mura per i funerali dei caduti italiani morti nell'attentato a Kabul.

GLI ALLEATI -
Il ministro ritira fuori l'argomento ritiro proprio nel giorno delle esequie dopo in precedenza aveva proposto il «tutti a casa» per Natale. Invece per quella data torneranno solo 500 militari, quelli mandati in Afghanistan in occasione delle elezioni del 20 agosto. Ma la discussione sul futuro della missione italiana, aperta dalla Lega, si allarga e coinvolge tutti gli attori della scena politica. Silvio Berlusconi ha spiegato che non ci sarà mai una decisione unilaterale dell' Italia per riportare in patria i militari della missione. Tutto dovrà essere concordato con gli alleati.



LE POSIZIONI - Tutti d'accordo su questa impostazione, ma la Lega non rinuncia a pensare che sarebbe meglio un rientro in tempi brevi: «Prima si torna , meglio è», dice il capogruppo Roberto Cota. Berlusconi, che ha incontrato a Palazzo Chigi il nuovo ambasciatore americano David Thorne, ha spiegato che bisognerà mettere a punto una «transition strategy» per responsabilizzare il governo afghano. Solo se il governo Karzai saprà garantire la sicurezza, ha detto, si potrà «consentire alle truppe alleate di diminuire gli organici».. Il fronte di chi non vuol sentir parlare di ritiro, vede in prima linea gli uomini di Gianfranco Fini. Se il presidente della Camera si è limitato a chiedere «la massima unità delle forze politiche» nel giorno del dolore, sostenendo che non è questo il momento delle polemiche, i suoi fedelissimi non esitano ad attaccare le posizioni «pacifiste». Contrario al disimpegno anche Massimo D'Alema: sarebbe «una catastrofe», sostiene in un'intervista all'Unità. Ma l'ex ministro degli Esteri non risparmia critiche al governo «che non sta dando un bello spettacolo». Altro contrario al ritiro, il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto, che stigmatizza le posizioni «opportunistiche e ambigue». Duro anche Pier Ferdinando Casini: «Chi parla di ritiro è un irresponsabile». Il fronte dell'exit strategy, oltre alla lega, vede schierato l'Idv di Antonio Di Pietro, che chiede di aprire una discussione in Parlamento «su come è cambiata la situazione in Afghanistan». Favorevole a un ritiro anche il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero.


Fonte: Corriere della Sera - 21 settembre 2009


Sulla pista di Ciampino il piccolo Simone
Tra i parenti dei sei paracadutisti uccisi giovedì scorso in Afghanistan c'è anche Simone Francesco, di due anni - figlio del sergente maggiore Roberto Valente - in braccio alla madre e con il testa il basco amaranto della Folgore. All'aeroporto militare di Ciampino, dove è atterrato il C-130 proveniente dal'Afghanistan, sono numerosi i familiari delle vittime che attendono che dal velivolo scendano i feretri. (Ansa)

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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IL RIENTRO DELLE SALME DEI CADUTI IN AFGHANISTAN
Quel basco in testa che stringe il cuore
Simone, piccolo talismano di vita


La vita e la morte.

Sappiamo bene che, là dove c’è l’una molto spesso si affaccia anche l’altra, e viceversa. Raramente, tuttavia, si è avuta la sensazione palpabile della loro compresenza. Stridente e insieme armoniosa, come ie­ri, durante la cerimonia per il rientro delle salme dei sei militari della Folgore caduti in Afghanistan. Sensazione che molto pro­babilmente abbiamo avuto tutti noi che guardavamo la cerimonia alla televisione, quando in mezzo alla folla di adulti vestiti di scuro, tra i volti piangenti, nell’atmosfe­ra di lutto profondo è comparsa la figuret­ta bionda di Simone, il figlioletto di due anni di uno dei soldati caduti, che la mam­ma portava in braccio.

La psicologa aveva consigliato che il pic­colo partecipasse al funerale per non esclu­derlo da un avvenimento così importante come l’addio a suo padre. Confidiamo che sia stato un bene per il bambino non co­minciare la vita con una finzione, con una bugia del genere: il papà è in viaggio. Certa­mente però la sua presenza è stata benefi­ca per tutti gli altri, per la mamma, natural­mente, in primo luogo che aveva qualcuno da stringere e al quale, pur nello strazio, sussurrare parole dolci, per i parenti, i col­leghi, i poliziotti, e perfino per noi estra­nei telespettatori. Perché guardarlo muo­versi, guardarlo ridere, guardarlo anche piangere qualche momento è stato motivo di consolazione, di piccola allegria nel do­lore.

Tutti volevano vederlo, tutti volevano toccarlo, talismano di vita e antidoto alla morte. Tutti volevano rincuorarlo, anche se era soltanto per rincuorare se stessi.
A causa sua è tornata in mente la frase riferita a un bimbo di un romanzo di Lalla Romano:
«Piccolo dio che abiti la nostra casa…».
Piccolo dio che te ne stai minusco­lo e sorridente in mezzo ai piangenti, che miracolosamente, soltanto perché sei lì a guardarti intorno, curioso e meravigliato, sai rendere un poco più lieve il cordoglio di tutti quanti.
In testa qualcuno gli ha poi messo il ba­sco del papà: gesto un po’ teatrale e anche un po’ retorico, che però ha reso Simone irresistibile e commovente facendo, chis­sà, piangere — alla mamma per prima — lacrime diverse, forse meno amare, forse meno desolate.
Non fosse per Simone della cerimonia di ieri ci dimenticheremo probabilmente — e ingiustamente — fin troppo presto: ne abbiamo già viste non poche di uguali, in questi anni, tanto che le loro immagini ormai si sovrappongono con le stesse paro­le, gli stessi volti, le stesse corone di fiori. Grazie a lui – e ai fotogrammi che l’hanno immortalato dentro alla nostra mente co­me dentro agli archivi della nostra storia — si può prevedere che il ricordo di quan­to è accaduto resterà vivo più a lungo.

Isabella Bossi Fedrigotti
21 settembre 2009




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