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Il cielo in un container:

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2010 12:03
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26/03/2010 12:03

"Ecco la ricostruzione che non finisce mai"

In Umbria otto famiglie vivono da tredici anni nelle case di latta

MICHELE BRAMBILLA
INVIATO A VALTOPINA (PG)

Speriamo che tu ci creda, perché la storia che stiamo per raccontarti è inverosimile», ci dice Valentina Armillei, 35 anni. È la presidente del Comitato pro Giove e in effetti la storia che sta per raccontare potrebbe comparire nella fortunata rubrica della Settimana Enigmistica: strano ma vero. È strano che a Giove, una frazione del Comune di Valtopina - in provincia di Perugia, fra Foligno e Nocera Umbra - a tredici anni dal terremoto ci sia ancora che gente che vive nei container. Ma è vero.

D’altra parte non c’è come vedere per credere. Valentina ci accompagna su a Giove, in collina, al termine di una salita sterrata. Era il paese dei suoi nonni, lei ci vorrebbe andare a vivere, ma la sua casa è ancora inagibile, come tutte le altre. Il 26 settembre del 1997, quando la scala Richter segnò un 6,1, i residenti di questo paesino erano 75. Sono rimasti in 50. Gli altri 25 sono morti nella vana attesa di rientrare a casa propria.

Chi è ancora fra i vivi abita in container di latta che in media riservano due o tre metri quadrati per ogni persona. Come mai sono ancora in queste trappole, forni d’estate e frigoriferi d’inverno? Ma è semplice: «Perché le pur poche case di questo paese sono ancora da mettere a posto», dice Valentina, che ha ingaggiato una lunga battaglia a colpi di denunce, ricorsi, esposti. Alcuni si sono stufati e hanno trovato ospitalità altrove. Ma otto famiglie sono ancora qui, nei container: 12 persone in totale.

«Sono qui dal 22 dicembre 1997», racconta Marcella Mariani. Non c’è bisogno di chiederle come se la passa: «Malissimo. Caldo, freddo, siamo isolati, se di notte mi devo alzare devo scavalcare mia madre. Pago luce e telefono». E il riscaldamento? «Ma quale riscaldamento? Ho una stufa a legna. Viviamo da tredici anni nell’attesa di tornare a casa nostra, che è qui a pochi metri di distanza, ma non è ancora pronta». Non è che le istituzioni si siano dimenticate di lei e degli altri sfollati del paese. Infatti anche a lei, come a tutti gli altri, è appena stata gentilmente recapitata una busta dal Comune. La signora Marcella ce ne mostra il contenuto. È il conto presentato ai terremotati di Giove: ci sono 29.987,29 euro da pagare. Com’è possibile? «È successo - spiega - che la ditta che doveva ristrutturare le nostre case è fallita. Quella che è subentrata ha scoperto che l’impalcatura non era a norma: per un po’ hanno continuato a utilizzarla lo stesso, poi l’hanno sostituita. E a chi fanno pagare la nuova impalcatura, e quindi l’irregolarità della ditta fallita? A noi residenti».

La casetta di latta qui a fianco è occupata dalla signora Oriana Galli e da tre suoi familiari. Ci confermano: «Hanno chiesto a noi di pagare i danni che loro hanno fatto, i lavori che loro hanno sbagliato e che ora vanno rifatti. Ma le pare? Dobbiamo pagare noi, che siamo qua da tredici anni in un container?».

Graziano Armillei è un altro degli abitanti di Giove in attesa di un «fine lavori» che non arriva mai. «A maggio mi hanno detto: “Casa tua è pronta, puoi entrare. Devi solo accollarti 126.000 euro di costi aggiuntivi”. Ho risposto che mi riservavo di controllare e ho chiamato un ingegnere per una perizia. Risultato: il tetto è da rifare, il cordolo non è a norma, le travi neanche, ci sono 60.000 euro da spendere per metterla a posto. Tenga presente che della casa esistono solo le pareti esterne: dentro non c’è nulla: né servizi, né pavimenti, né intonaco. Quindi per entrarci dovrei spendere: 126.000 euro di accollo, più 60.000 per riparare i danni fatti dal costruttore, più le spese per gli interni. Il tutto per avere una casa che non è neppure antisismica».

Si penserà che Giove è finito nel dimenticatoio perché è una piccola frazione di un piccolo Comune. Ma basta fare pochi chilometri e andare a Nocera Umbra - uno dei centri più grossi da quelli colpiti dal terremoto del ‘97 - per vedere quanto può essere lenta una ricostruzione. Anche qui si è costituito un comitato di cittadini: lo presiede Giuseppe Pesciaioli. Ci accompagna a fare un giro nel centro storico: «Un quarto del centro - spiega - non è stato ancora messo a posto e i costi sono lievitati di un milione di euro, che sarà accollato ai singoli proprietari di case. Dei tre quarti ricostruiti, il 99 per cento è ancora disabitato per problemi strutturali: fognature, acqua, e così via. Solo sette famiglie hanno potuto rientrare a casa».

La passeggiata per il centro è un altro viaggio nell’incredibile. I portici san Filippo, uno dei passaggi più chic del paese, sono totalmente abbandonati: non si è neppure provveduto a chiudere gli ingressi dei vecchi negozi e dei vecchi ristoranti, così chiunque può entrare e portar via ciò che vuole. Anche la chiesa di san Filippo è tale e quale al giorno del terremoto; anzi è peggio, perché pure qui l’ingresso è rimasto aperto per la razzia libera. Restano le macerie. Il turismo è crollato come le vecchie case: «Avevamo diecimila presenze all’anno - ci dicono all’hotel Europa - adesso siamo a 3-4 mila».

Com’è potuto succedere? «Non hanno voluto far lavorare le aziende locali perché temevano subappalti - dice Pesciaioli -. È successo che i subappalti li hanno fatti le ditte venute da fuori: se lei guarda i cartelli sui cantieri, vedrà che sono tutte ditte del Casertano, dell’Avellinese, della Calabria. Non voglio dire che non siano bravi: ma rischiamo di perdere la nostra identità. Il guaio è che, come sempre, c’è stato un grande attivismo nell’immediato post-terremoto, quando c’erano qui le tv. In quel periodo tutti bravi e tutti efficienti. Spenti i riflettori, il pallino è passato ai Comuni, che non dappertutto sono stati all’altezza».

Lasciando Nocera passiamo per uno dei suoi «provvisori» quartieri. Le scuole elementari e medie, il Duomo, il centro commerciale: tutto è ancora nei container.

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(Voltaire)

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(Kristian Wilson, Nintendo Inc., 1989)

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