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Pakistan sott'acqua, migliaia in fuga

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2010 10:29
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23/08/2010 11:37

L'Onu: "E' emergenza, aiuti a rilento"

Autobus travolto da una piena: almeno 20 morti e 15 dispersi
La comunità internazionale: «Pronti 800 milioni di dollari»

ISLAMABAD

Continua l'emergenza inondazioni in Pakistan. Almeno 20 persone sono annegate e una quindicina risultano disperse dopo che l’autobus su cui viaggiavano è stato travolto dalle acque. Il pullman copriva la tratta tra le città di Karachi e quella Peshawar e il suo conducente non avrebbe rispettato un divieto di transito su una strada allagata dall’acqua; il veicolo, su cui viaggiavano 50 passeggeri, è stato travolto dall’onda di piena vicino al villaggio di Khad Buzdar, nella provincia centrale di Pendjaq.

«La forza della corrente d’acqua che scendeva dalla collina ha fatto capovolgere la corriera», ha raccontato Iftikhar Sli, il capo dell’amministrazione locale. Una decina di passeggeri sono riusciti a salvarsi nuotando, ma gli altri sono rimasti intrappolati nel veicolo. I soccorritori hanno dovuto cercare i corpi. Le inondazioni provocate da quasi un mese di piogge monsoniche con una violenza senza precedenti interessano quasi un quinto del territorio del Pakistan, hanno causato la morte di oltre 1.500 persone e colpito in varia misura circa 20 milioni di pakistani, di cui almeno 6 sono rimasti senza casa, secondo le stime Onu. Attualmente il livello delle acque ha cominciato ad abbassarsi nel centro e nel nord del Paese, ma continua la situazione di allarme per varie zone intorno al bacino del fiume Indo, nel sud del Paese.

Dalla comunità internazionale sono intanto arrivate promesse di aiuti per oltre 800 milioni di dollari. Lo ha detto il ministro degli Esteri pachistano, Shah Mehmood Qureshi, che ha definito «incoraggiante» la risposta arrivata, soprattutto in un momento in cui sia gli Stati Uniti che l’Europa stanno affrontando problemi economici. «Il totale dei fondi arrivati e promessi è di 815 milioni di dollari» ha detto il ministro, sottolineando come la cifra sia il doppio di quanto richiesto dall’Onu per le operazioni di emergenza per portare aiuto alle popolazioni colpite.

Cionostante, il funzionario delle Nazioni Unite Louis-George Arsenault, ha esortato la comunità internazionale ad accelerare i tempi: «Il Pakistan è in ginocchio e i soccorsi tardano ad arrivare. Il mondo deve intervenire in fretta». Per far fronte all’emergenza l’Onu e le autorità pakistane hanno infine lanciato un appello alla comunità internazionale perchè arrivino elicotteri con cui si possa raggiungere le persone rimaste isolate.

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30/08/2010 14:50

Pakistan, nuovo allarme dall'Onu: "Un altro milione di sfollati"

Le Nazioni Unite «Intervenire subito». Intanto si aggrava il
bilancio delle inondazioni
ISLAMABAD

Circa un milione di persone da mercoledì è stato costretto a lasciare la propria abitazione a causa delle devastanti alluvioni che hanno colpito alcuni distretti della provincia del Sindh, nel Pakistan meridionale.

È quanto ha sottolineato il portavoce delle Nazioni Unite, Maurizio Giuliano, secondo cui la situazione più critica a causa delle esondazioni si registra al momento nei distretti di Thatta e Qambar-Shadadkot. La situazione nel Sindh «sta volgendo di male in peggio», ha affermato Giuliano. Le Nazioni Unite - ha aggiunto, citato dai media pakistani - «stanno consegnando gli aiuti il più velocemente possibile, ma i danni provocati dalle alluvioni superano la nostra capacità di risposta».

Negli ultimi giorni, il governo di Islamabad ha disposto l’evacuazione di centinaia di migliaia di persone nel sud del Pakistan per contenere la catastrofe umanitaria. Nella provincia meridionale del Sindh, nella zona del delta del fiume Indo, ad alto rischio esondazione, le alluvioni hanno già spazzato via molti terreni e villaggi e ora minacciano tre città, Sujawal, Mirpur Bathoro e Daro. Un quinto del Paese è stato messo in ginocchio dalle alluvioni, che hanno colpito circa 20 milioni di persone e provocato almeno 1.500 morti.

Le Nazioni Unite hanno inoltre fatto sapere che non hanno intenzione di ridurre le loro operazioni dopo le minacce da parte dei talebani. Lo ha confermato oggi Maurizio Giuliano, portavoce dell’Onu per gli affari umanitari, dopo che il Dipartimento di stato americano ieri aveva confermato l’esistenza di un rischio concreto di attacchi.«Non possiamo permetterci di essere intimiditi da minacce o voci di minacce. Dobbiamo continuare a lavorare per salvare milioni di vite. Abbiamo una sola agenda, quella di salvare vite umane, e crediamo che questa sia un’agenda globale che dovrebbe essere condivisa da tutta l’umanità».

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30/08/2010 14:50

La minaccia dei taleban del Pakistan: "Alluvioni, niente aiuti dagli stranieri"

"Un'interferenza, reagiremo". Preoccupazione di Onu e Usa
NEW DELHI

Mentre la piena del fiume Indo continua ad avanzare implacabile provocando altri 400 mila sfollati e minacciando una metropoli da milioni di abitanti, tra gli operatori umanitari in Pakistan si è fatta più viva la preoccupazione per un attacco del terrorismo islamico contrario all’Occidente e al suo aiuto anche in una situazione così drammatica da richiedere un intervento anche del Fondo monetario internazionale (Fmi).

Il portavoce del sanguinario Movimento dei taleban pachistani, il Tehrik-i-Taliban Pakistan (Ttp) ha sostenuto che gli Stati Uniti e altri paesi non vogliono aiutare gli alluvionati ma hanno anche altre «intenzioni»: «Quest’orda di stranieri per noi non è affatto accettabile» e «quando diciamo che qualcosa Š inaccettabile per noi, ognuno può trarne le conclusioni», ha aggiunto con sinistro riferimento ad attentati terroristici. «Sarebbe davvero disumano attaccare coloro che stanno cercando di salvare delle vite umane», ha notato Maurizio Giuliano, portavoce dell’ufficio Onu per le questioni umanitarie. Diverse ore prima una fonte d’intelligence da Washington aveva messo in guardia gli operatori umanitari stranieri per il rischio di attacchi.

Per ora non ci sono minacce concrete, ma il Palazzo di Vetro starebbe pensando di correre ai ripari alzando il livello delle misure di sicurezza. Già nella prima settimana del disastro il Tarik-e-Taleban, che controlla parte delle zone nord occidentali vicino alla frontiera afghana, si era opposto agli aiuti umanitari forniti dagli Stati Uniti e aveva denunciato l’ «interferenza» degli operatori stranieri. Le parole del portavoce talebano e le soffiate da Washington suonano sinistre a fronte dell’emergenza che continua tra i 17 milioni di alluvionati, di cui 3,5 milioni sono bambini senza acqua potabile e quindi a rischio di epidemie come il colera, secondo l’Unicef. Un nuovo allarme inondazioni ha fatto oggi scattare l’evacuazione di 400 mila abitanti da tre cittadine della provincia meridionale del Sindh, che continua a essere l’epicentro di questo «tsumami al rallentatore» iniziato un mese fa e che si esaurirà solo quando l’enorme massa d’acqua generata dalle piogge monsoniche record sfocerà nel Mar Arabico.

Si teme che l’acqua possa invadere i quartieri bassi di Hyderabad, la seconda città del Sindh dopo Karachi e sesta metropoli pachistana con 2,5 milioni di abitanti. Le scuole sono state chiuse fino a domani per precauzione e alcuni quartieri periferici sono già stati sgomberati. Sempre da Washington, il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) sta valutando un maxi prestito per salvare il paese dalla bancarotta attraverso un «meccanismo di urgenza per le catastrofi naturali» già utilizzato in passato. La marea marrone, oltre a mettere in ginocchio l’economia nazionale, sta minacciando anche i simboli del Paese come il mausoleo della famiglia Bhutto, lambito dall’acqua in remoto villaggio nei pressi della città di Larkana, dove è sepolta l’ex premiere Benazir assassinata nel 2007. Mentre nella provincia centrale del Punjab, l’ex granaio del paese, la situazione sta lentamente migliorando, a centinaia di chilometri più a sud è ancora allarme rosso. All’altezza di alcuni sbarramenti sull’Indo, come quello di Kotri, il fiume si è gonfiato al punto di rompere gli argini costruiti nei giorni scorsi dall’esercito.

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30/08/2010 14:52

Pakistan, il disastro che non commuove

È peggio di Haiti e dello tsunami, ma come mai non è partita la gara di solidarietà?
FRANCESCO MOSCATELLI

«Quando i livelli d’acqua indietreggeranno, troveremo molti cadaveri». Nelle parole pronunciate ieri da Amal Masud, portavoce dell’Autorità Nazionale per i Disastri Naturali di Islamabad, c’è la rassegnazione di un intero Paese. Il Pakistan è in ginocchio, sconvolto dalle peggiori alluvioni degli ultimi decenni: 1600 morti, migliaia di dispersi, venti milioni di persone coinvolte, sei milioni di sfollati e un milione di case distrutte. Nel Nord si contano i danni e si temono gli effetti delle epidemie di colera, malaria e febbri emorragiche. Nella provincia meridionale del Sindh si scappa ancora dalla furia dell’acqua: nelle ultime 48 ore un milione di persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni.

Ma ciò che è peggio è che il mondo intero sembra essersi voltato dall’altra parte: i governi tardano a inviare i contributi, oppure non li hanno nemmeno mai promessi. Il dottor Guido Sabatinelli, rappresentante dell’Organizzazione mondiale della Sanità in Pakistan, confessa che, a fronte di una richiesta di 56 milioni di dollari, finora ne sono stati stanziati appena 20: «Dall’Italia ci sono arrivati 400 mila dollari. Troppo pochi. La Finlandia ne ha messi a disposizione 700 mila». Le difficoltà economiche contano, ma non sono le uniche. «Stiamo parlando di 7 milioni di persone che hanno perso tutto e che hanno bisogno di tutto: cibo, pastiglie per depurare l’acqua, farmaci - prosegue il medico -. Nei prossimi mesi abbiamo calcolato che ci saranno 60 mila parti, per non parlare delle migliaia di bambini a rischio morbillo, tifo e tubercolosi. A parte il ritardo della comunità internazionale nel valutare l’entità del disastro, però, bisogna considerare i problemi logistici e il fatto che alcuni beni non esistono nemmeno sul mercato».

Anche la raccolta fondi delle Ong non decolla. «È la peggiore tragedia umanitaria degli ultimi anni, di gran lunga peggiore dello tsunami nell’oceano Indiano o del terremoto di Haiti - spiega Marco Bertotto, direttore di Agire, il network di organizzazioni non governative italiane specializzato nella risposta alle emergenze -. Eppure in una settimana abbiamo raccolto solamente un centesimo di quello che avevamo raccolto per Haiti». Mettersi a cercare una spiegazione, vuol dire fare i conti con la politica, ma anche con la crudeltà del caso. «Perché non è partita la gara di solidarietà? È triste da dire, ma è questo un dramma lento. Senza alcun effetto Hollywood - spiega Bertotto -. Poi bisogna considerare l’immagine internazionale del Pakistan, troppo legata all’estremismo islamico, e che è nel mese di agosto».

Gli operatori umanitari internazionali devono fare i conti anche con l’opposizione dei Tehrik-e-Taliban, i talebani pakistani. «La presenza di stranieri è inaccettabile - ha detto all'Associated Press Azam Tariq, un loro portavoce -. E quando diciamo che è inaccettabile, dovete tirare le conclusioni». Da ieri le minacce fanno più paura. L’Agenzia di stampa vaticana Fides, infatti, ha battuto la notizia che tre operatori umanitari che operavano nella valle di Swat, nel Nord del Paese, sarebbero stati uccisi dai talebani, fra il 24 e il 25 agosto, mentre portavano soccorso alle vittime delle alluvioni. L’episodio sarebbe stato nascosto dai funzionari pachistani nel timore che fatti del genere possano scoraggiare le organizzazioni umanitarie.

Marco Rotelli, direttore generale della Ong Intersos, atterrato a Islamabad la scorsa settimana ma abituato fin dal 2004 a frequentare le zone di confine fra Pakistan e Afghanistan, descrive bene lo stato d’animo dei cooperanti. «Quelle zone sono rischiose. La tensione è massima. Lo sappiamo e procediamo con massima attenzione, informando per tempo i rappresentanti dei villaggi dove andiamo ad operare - spiega -. In questi giorni, però, la priorità non può che essere l’assistenza delle popolazioni colpite dalle alluvioni. Siamo di fronte a una crisi enorme e le aspettative di queste persone devono ricevere una risposta. Se la comunità occidentale non ci metterà nelle condizioni di darla, noi perderemo credibilità, ma contemporaneamente altri potrebbero sfruttare l’occasione per ottenerla».

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30/08/2010 14:57

La Catena della Solidarietà apre un conto per il Pakistan

La situazione si sta aggravando in Pakistan, colpito dalle peggiori inondazioni mai registrate da decenni a questa parte. Numerose regioni del paese sono ancora isolate. Le autorità ritengono che oltre un milione e mezzo di persone siano colpite dalla catastrofe.

La Catena della Solidarietà ha aperto un conto per soccorrere le vittime delle inondazioni. Numerose organizzazioni partner della Catena sono già attive sul terreno: Caritas Svizzera, Croce Rossa Svizzera, Aiuto delle Chiese Protestanti ed Esercito della Salvezza. Altre organizzazioni stanno valutando le possibilità di intervento.

Le priorità sono la distribuzione di acqua potabile e di medicamenti nonché la fornitura di alloggi di fortuna. Le donazioni possono essere effettuate sul conto postale 10-15000-6 con l’annotazione “Inondazioni Asia” oppure online sul sito Donazioni


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PippyZzetta
30/08/2010 14:59

Re: Pakistan, il disastro che non commuove
Arjuna, 30/08/2010 14.52:


È peggio di Haiti e dello tsunami, ma come mai non è partita la gara di solidarietà?
FRANCESCO MOSCATELLI



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semplice, non ci sono turisti, non ci sono belle spiagge e in più sono anche dei terroristi in quanto musulmani [SM=x44493]

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30/08/2010 15:04

Re: Re: Pakistan, il disastro che non commuove
piperitapatty, 30/08/2010 14.59:




semplice, non ci sono turisti, non ci sono belle spiagge e in più sono anche dei terroristi in quanto musulmani [SM=x44493]





Ed è successo ad agosto...

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Sportivo ipercafone
30/08/2010 15:14

Gli USA manderanno un bel po' di aiuti umanitari e in cambio chiederanno qualche maggior aiutino da parte dell'amministrazione pakistana nella guerra al terrore nel vicino afghanistan.
Inondazioni provvidenziali, direi ...

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We'd all like t'vote for th'best man, but he's never a candidate (Frank McKinney "Kin" Hubbard).
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03/09/2010 14:12

"Pakistan, il flusso delle inondazioni è stato deviato verso i villaggi poveri"

Denuncia di un ambasciatore
all'Onu. Dall'Fmi 350 milioni
ISLAMABAD
Il flusso delle inondazioni in Pakistan è stato deviato artificialmente verso villaggi poveri, in particolari cristiani, per salvare le terre dei grandi latifondisti. È l’accusa che proviene dall’ambasciatore pachistano presso le Nazioni Unite, Abdullah Hussain Haroon, e che conferma i sospetti avanzati due giorni fa dall’agenzia cattolica Fides. «Vi sono prove che i proprietari terrieri hanno fatto costruire barriere e che le acque vengono deviate verso villaggi indifesi di poveri agricoltori», ha detto il diplomatico in un una intervista alla Bbc.

Altre rimostranze in tal senso erano giunte da ong impegnate nei soccorsi. L’ambasciatore ha chiesto al governo di Islamabad l’apertura di una inchiesta ufficiale sull’accaduto. L’agenzia Fides aveva segnalato la drammatica esperienza del villaggio cristiano di Khokharabad, nei pressi di Multan (provincia del Punjab) dove gli allagamenti provocati deliberatamente avevano ucciso 15 residenti e causato oltre 300 sfollati. Altri casi analoghi sono avvenuti nella provincia meridionale del Sindh dove campi e villaggi cristiani sono stati sommersi a causa di deviazioni artificiali costruite su ordine dei latifondisti per salvare per proprie terre.

Intanto, dopo una settimana di discussioni a Washinghton con le autorità finanziarie pachistane, il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di stanziare 350 milioni di euro in prestiti di emergenza per far fronte alle devastanti inondazioni che hanno colpito un quinto del Paese e provocato milioni di senzatetto. «La calamità naturale avrà una importante conseguenza sull’economia nazionale. Ha causato gravi danni alle infrastrutture e rallentato la sua crescita con conseguenze sul deficit fiscale» ha detto il direttore Dominique Strauss-Khan in un comunicato diffuso ieri sera. Il nuovo piano di salvataggio dovrà essere approvato dal Consiglio di amministrazione e sarà disponibile alla fine del mese.

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08/09/2010 11:48

Croce Rossa in campo per il Pakistan "Un sms e un click per i senza tetto"

Parte la campagna di aiuti. Rocca: la situazione è ancora drammatica
Una raccolta fondi per aiutare i protagonisti della tragedia dimenticata. La Croce Rossa attiva una campagna via sms per il Pakistan, campagna che si aggiugne a quelle- più tradizionali-lanciate subito dopo l’inizio delle inondazioni.

«A più di un mese dall’inizio delle piogge monsoniche che hanno provocato le devastanti inondazioni in Pakistan, le condizioni della popolazione restano drammatiche. Sono 18 milioni le persone colpite dalle alluvioni, di queste circa 8 milioni hanno urgente bisogno di beni di prima necessità (come acqua potabile, cibo e medicinali, ripari d’emergenza), e 4,8 milioni sono i senza tetto», dice il Commissario straordinario della Croce Rossa Italiana Francesco Rocca, che ha già messo in moto la macchina degli aiuti. «Ad oggi 80mila persone sono state raggiunte dalle unità sanitarie della Mezzaluna Rossa del Pakistan. La Croce Rossa, insieme alla Mezzaluna Rossa pakistana- dice Rocca- ha distribuito cibo a 66.969 famiglie e materiale di soccorso come tende, kit igienico-sanitari, stoviglie a 28.404 famiglie».

Alla raccolta fondi della Croce Rossa per l’emergenza in Pakistan, partita sabato, si può partecipare con un sms solidale al numero 45509 da numeri Tim, Vodafon, Wind, 3 e Telecom Italia. La Croce Rossa Italiana ha attivato inoltre la raccolta dal sito www.cri.it. Per aiutare il Pakistan si può effettuare una donazione online causale «Pro emergenza Pakistan» e con un bonifico bancario con la causale «Pro emergenza Pakistan» IBAN IT66 - C010 0503 3820 0000 0218020. I contributi raccolti dalla Cri saranno impiegati a sostegno delle attività di assistenza alle popolazioni pachistane in stretta collaborazione con la Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, il Comitato Internazionale della Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa Pakistana.

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13/09/2010 10:29

Gli alluvionati non hanno più acqua

In Pakistan le piene hanno devastato il sistema dei pozzi, 20 milioni in coda per bere
MATTEO SMOLIZZA
ISLAMABAD

Oltre 20 milioni di persone senza casa, 500.000 già colpite da epidemie legate all’assenza di acqua potabile, 72.000 bambini a rischio di morte; 520 milioni euro di aiuti e 5 miliardi di euro di danni economici, il 14% delle aree coltivabili del paese distrutte: questi sono i primi numeri del disastro in Pakistan, dopo la fine della alluvione. Il numero delle vittime delle piene, circa 1.500, rischia di centuplicarsi nei prossimi tre mesi a causa della fame, della disidratazione e della diffusione della dissenteria, della diarrea acuta (oltre 90.000 casi registrati ad oggi), del tifo e del colera (segnalati nel nord e nel centro del paese già in agosto).

Come segnala la Croce Rossa, paradossalmente per milioni di persone il primo problema è bere e lavarsi in sicurezza: le acque stagnanti e i fiumi sono infatti ingombri dei cadaveri di milioni di animali da allevamento – buoi, cavalli e, soprattutto, pollame – che macerano sotto il sole (la temperatura in questi giorni varia tra i 30 e i 40 gradi). L’aria odora di marcio e le pianure sono invase da miliardi di zanzare, mentre il riso è stato spazzato via, come peraltro il sistema di canali dei campi, e non è ancora sicuro se la terra sarà asciutta per le settimane a cavallo tra settembre e ottobre, quando tradizionalmente viene seminato il grano.

Il Programma alimentare mondiale(Pam), l’agenzia Onu che interviene per fornire le razioni di emergenza nei disastri umanitari, ha predisposto la distribuzione di 6 milioni di razioni di cibo entro la fine del mese, ma si stima che quasi la metà delle consegne sia bloccata a causa delle ripetute interruzioni della rete stradale. Spesso i cargo vengono assaltati lungo il percorso, quando si bloccano nel pantano, dalla gente che – letteralmente – muore di fame. L’ordine pubblico è garantito solo lungo le arterie principali e si stanno registrando problemi maggiori con la ricollocazione dei profughi: oltre un milione di persone, infatti, è stata trasferita, spesso con il proprio bestiame, in aree già densamente popolate.

La crisi umanitaria ha innescato anche una crisi politica, poiché i partiti religiosi più estremi – legati alle varie fratellanze musulmane – sono stati i più pronti ad intervenire a sostegno della popolazione e stanno registrano un aumento di consenso proprio mentre la popolarità del governo è ai minimi. Da una settimana, sui principali giornali pachistani si parla del generale Ashfaq Parvez Kayani, numero uno delle Forze armate (l’unica altra struttura attiva sul campo per l’emergenza, con oltre 60.000 effettivi e decine di migliaia di volontari), come capo di un governo di burocrati ed esperti che sollevi il paese dalla crisi. Uno dei partiti chiave dell’attuale maggioranza di governo ha già chiesto l’applicazione della corte marziale per i politici corrotti (l’attuale presidente era già stato incarcerato per corruzione). Kayani, molto vicino agli Usa, è ritenuto una soluzione capace di rassicurare gli investitori internazionali e il Fondo monetario internazionale (Fmi) sulla solidità del Pakistan, mentre l’inflazione rischia di schizzare al 20% dopo anni di relativa stabilità economica.

I grandi problemi della politica internazionale non toccano Mohammad, l’autista di uno dei camion dei soccorsi, che nei pressi di Multan (proprio al centro del paese) ha ucciso sul colpo un ragazzino di quattordici anni, che si è gettato innanzi al camion, cercando di fermarlo per prendere un po’ di cibo per i genitori. Sultan è morto, ci racconta, perché lui non è riuscito a frenare sul fango. E di certo le manovre politiche non interessano nemmeno ai genitori di Sumeera, che alcune sere fa hanno accettato del cibo drogato da un gruppo di sconosciuti, e quando si sono svegliati non hanno più trovato la figlia. E, dice la polizia locale, non c’è più speranza di trovarla. L’inondazione porta con sé, però, anche storie di speranza come quella del neonato raccolto da un ufficiale dell’esercito che stava controllando l’altezza del fiume Ravi. Il bambino era deposto all’interno di una tanica di benzina tagliata che galleggiava lentamente sulle acque, con le carte di identità dei genitori in mezzo ai panni. L’ufficiale lo ha consegnato ad una famiglia cristiana, che lo ha chiamato Mosè.

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