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Musulmani d'Italia: un milione in cerca di moschee

Ultimo Aggiornamento: 08/09/2010 17:50
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01/09/2009 14:26

La costruzione di nuovi luoghi di culto spacca il Paese
Ritardi e polemiche: chi garantisce davvero i permessi?
FRANCESCA PACI
ROMA

Le barricate della Lega, l’apertura incondizionata del cardinal Tettamanzi, il via libera con riserva economica dell’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari: i musulmani «senza fissa dimora» di Milano sono diventati un affare di Stato. Sebbene l’Italia conti già 164 moschee, 222 luoghi di culto dedicati alla recitazione del Corano e quasi 400 associazioni culturali islamiche, la richiesta d’innalzare un minareto all’ombra del Pirellone viene percepita da molti come una rivendicazione simbolica più che religioso-edilizia. Dunque discutibile. E pazienza se il presidente americano Obama non teme il canto del muezzin neppure vicino a Ground Zero: prevenire in fondo è sempre meglio che curare.

La moschea, in teoria, è uno spazio per la preghiera assolutamente identico a una parrocchia o alla sede d’una riunione buddista. E’ la comunità dei fedeli, la umma, a fare la chiesa. Per questo, anche se sarebbe auspicabile che il locale non fosse vergine, nel senso di mai utilizzato prima, e disponesse di minareto, fontana per le abluzioni rituali e nicchia orientata alla Mecca, la casa del Profeta Maometto può essere benissimo allestita dentro un appartamento, un ex capannone, perfino in una palestra noleggiata nelle ore in cui non c’è il corso di danza.

«Preferiremmo acquistare uno stabile e farne una moschea ma poiché sembra sempre più difficile ottenere i permessi e la destinazione d’uso a luogo di culto ripieghiamo sull’affitto» spiega il presidente dei Giovani Musulmani d’Italia Omar Jibril. Ventisei anni, nato a Milano da padre egiziano, laureato in ingegneria edile, Jibril rappresenta le generazione che non vede contraddizione tra ascoltare i Radiohead e leggere il Corano: «Ad eccezione delle moschee di Roma e Milano, quelle con tanto di minareto e fontane, in Italia ci sono solo centri islamici ricavati spesso in scantinati fatiscenti. La moschea dovrebbe essere il faro che rassicura la comunità circostante come il campanile. Ma da qualche tempo avviene l’opposto. A Sassuolo, per esempio, la nuova amministrazione ha ritirato i permessi concessi da quella precedente costringendo i musulmani a pregare in strada un anno e mezzo prima che il Consiglio di Stato restituisse loro lo stabile sequestrato e il diritto».

L’11 settembre 2001 ha terremotato amicizie assai più collaudate di quella tra occidente e mondo islamico. Ma sono passati nove anni e gli imam che benedicono pubblicamente Osama si contano sulle dita della mano. Quanti ostacoli ci sono ancora sulla via delle moschee? «Data la sensibilità del tema il blocco è politico, quando si tratta di dare l’ok al cantiere d’una moschea tutti si rimpallano la responsabilità della decisione finale» osserva l’islamologo Stefano Allievi, che ha appena terminato un tomone in inglese sui conflitti che l’edilizia islamica scatena in mezza Europa (un estratto sarà pubblicato a breve da Laterza).

La burocrazia può fungere da scusa: la libertà di culto è un diritto sacrosanto garantito dalla Costituzione, ma chi garantisce i profanissimi permessi? «Trattandosi di materia urbanistica toccherebbe agli enti locali - continua Allievi -. Sono loro che verificano i criteri di sicurezza e assegnano la destinazione d’uso a luogo di culto. Ma mentre se a non essere in regola è un oratorio o addirittura un locale dei poco amati Testimoni si concede la proroga di sei mesi, con i musulmani scatta tolleranza zero. Come se fosse selettiva, la legge viene applicata alla lettera e il locale chiude i battenti».

E pensare che quella «tecnica» dovrebbe essere la parte più semplice. L’impresa, rivela il direttore dell'Ufficio Italiano della Lega Musulmana Mondiale Mario Scialoja, è trovare i finanziamenti. Quando nel 1973 venne autorizzata la grande moschea romana di Monte Antenne, di cui Scialoja è stato a lungo l’anima, l’Italia concesse il terreno e i soldi arrivarono da Riad. In tutti gli altri casi sono i fedeli ad autotassarsi: «La maggior parte dei musulmani del nostro paese sono stranieri, versano quel che possono. Poi ci sono comunità più ricche come quella egiziana, che a Roma ha realizzato un bello spazio in viale dell’Esercito, o mecenati: per Monte Antenne un mio amico laico donò un milione di lire».

Tempi aurei d’armonia democristiana. Allo Stato spettava l’onere politico, alla comunità musulmana quello economico. Oggi prevalgono tensioni. L’unica eccezione è la moschea Colle Val d’Elsa, appoggiatasi al Monte dei Paschi di Siena. Ma in modo halal, precisa il presidente dell’istituto culturale islamico di viale Jenner, a Milano: «La Banca non ha dato denaro un leasing, dato che il Corano considera il mutuo una forma d’usura». L’impasse è politico e il dialogo langue. Anche perché i musulmani sono divisi. Chi parla per loro? «Sarebbe già un bene stabilire chi prega per loro invece dei tanti imam fai da te senza formazione religiosa» chiosa Scialoja. Quello degli imam, le guide della preghiera, è un nodo critico. Generalmente si tratta di macellai o leader carismatici che s’inginocchiano alla Mecca davanti agli altri. Nessuno in Italia pensa a un albo dei pastori protestanti o valdesi, ma nell’era in cui qualcuno invoca Allah per distruggere l’Occidente può capitare di chiedere agli altri di pregare in italiano.

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[Modificato da Arjuna 08/09/2010 15:01]

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08/09/2010 14:59

Moschea di via Urbino ecco il vero progetto
Edificio sobrio per la sala di preghiera: parte il cantiere

emanuela minucci
torino

Chi si era agitato nei mesi scorsi («a Torino sorgerà un minareto più alto della Mole») ora non ha più scuse. Il progetto della futura moschea di via Urbino 5 - che qui sopra pubblichiamo in anteprima - racconta, meglio di ogni commissione consiliare o intervista, che cosa sta per accadere in quel quartiere. Il futuro centro multiculturale e di preghiera previsto nel quartiere Aurora (dove oggi c’è il negozio di arredi orientali «Giuberga» come sta scritto sulla targa d’ottone sovrastata da un biglietto da visita di tal «Boroboudur») sarà un edificio molto discreto, praticamente identico a quello attuale, fatta eccezione per la zona attico in cui verranno riproposte finestre a griglia di foggia orientaleggiante. La stessa bordura che rifinisce la casa rimbalzerà sulla moquette rossa dell’interno in cui è stata progettata una grande sala adibita alla zona preghiera.

In questi giorni, gli architetti incaricati dall’Unione musulmani d’Italia, il cui referente torinese è il responsabile dell’Istituto Islamico di corso Giulio Cesare 6, Abdel Aziz Khounati, hanno concluso il progetto che è stato finanziato dal governo del Marocco per 1,2 milioni di euro. Tra qualche giorno cominceranno i lavori di ristrutturazione. Il tutto nonostante all’inizio di luglio Abdel Aziz Khounati si sia ritrovato a commentare l’increscioso episodio di una «bomba-carta» sistemata negli scantinati del futuro centro di preghiera: «La moschea sarà fatta. Ormai è deciso - aveva detto -, le autorizzazioni sono pronte, i lavori incominceranno al massimo a settembre». E così sarà.

La moschea di via Urbino è stata anche al centro di una polemica pre-elettorale, legata alle fonti di finanziamento dell’opera: «Abbiamo chiarito tutto, c’è un pagamento del ministero degli Affari Religiosi del Marocco, un milione e 200 mila euro. Un progetto nella massima trasparenza, che prevede anche attività aperte a tutta la popolazione» aveva spiegato, sempre allora, Khounati. Qualche mese fa il ministro degli Esteri, Frattini, di ritorno da una visita in Marocco, ha approvato l’iniziativa finanziata dal governo di Rabat sostenendo, in buona sostanza, che è così che quel paese contrasta all’estero il fondamentalismo islamico.

«E’ indispensabile far uscire le comunità islamiche dalle moschee-garages - aveva detto all’inizio dell’estate in Sala Rossa l’assessore all’Integrazione Ilda Curti - e ricondurre ad un livello di dignità la possibilità di esercitare il proprio culto e la propria fede, anche per contrastare ed evitare infiltrazioni non controllate di predicatori “fai da te”». E aveva aggiunto: «Il superamento delle moschee improvvisate, delle moschee “garage”, è un diritto ed una garanzia non soltanto per i fedeli e per coloro che desiderano professare il loro culto ma è anche una garanzia per quei cittadini che coabitano in situazioni difficili e affollate e per la comunità torinese nel suo complesso». Ora, quel progetto sta veramente per nascere. «E speriamo che per una volta, a differenza di quanto sta accadendo in altre città italiane - conclude Ilda Curti - il quartiere capisca davvero che quanto sta per accadere in via Urbino va nel senso della pacificazione degli abitanti e del rispetto della libertà religiosa: un indirizzo che unirà anziché dividere».

Fonte



La moschea così come si presenterà una volta terminati i lavori
[Modificato da Arjuna 08/09/2010 15:02]

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08/09/2010 15:03

Vinta la battaglia contro la burocrazia, parte la moschea

La comunità marocchina ha inviato in Comune gli ultimi documenti per ottenere il via
andrea rossi

Abbiamo autorizzato la costruzione di una moschea a Barriera di Milano, alla periferia Nord della città. Abbiamo convinto la comunità musulmana (e non è stato difficile perché sono stati loro i primi a capirlo) a non costruire il minareto, perché avrebbe potuto rappresentare una sfida.

Al tempo stesso abbiamo lavorato per evitare che la moschea fosse vissuta dagli abitanti come un’invasione di estranei». Mentre a Milano infuria la bufera sulla moschea, con il centrodestra a muso duro contro il cardinale Tettamanzi, il sindaco Chiamparino è talmente sicuro di come andrà a finire a Torino che ha voluto parlarne a pagina 51 del suo libro prima ancora che la moschea di via Urbino ottenga il via libera.

Troppo ottimista? Forse, se è vero che sono passati nove mesi da quando la comunità marocchina ha chiesto i permessi, e da Palazzo Civico, ancora di recente, sono partite richieste di supplementi d’istruttoria. I chiarimenti, però, sono arrivati, e allora lo slancio del sindaco non pare così infondato. Ieri Abdelaziz Khounati, presidente dell’Istituto islamico Moschea della Pace, tramite il suo legale Emanuele Riba, ha fatto arrivare agli uffici dell’Edilizia privata la comunicazione formale in cui si spiega che in via Urbino 5 si svolgerà attività di culto. Un dettaglio non da poco: secondo il piano regolatore della Città il culto rientra tra le attività di servizio, e poiché l’edificio ospitava un mobilificio non dovrebbero essere necessarie varianti e i tempi s’accorcerebbero.

La richiesta pende dal 3 dicembre dell’anno scorso, «e sfido chiunque a sostenere che ci è stato concesso un canale privilegiato», spiega l’avvocato Riba. Nelle settimane scorse dal settore Edilizia sono arrivate richieste d’integrazione dei documenti: sul progetto (modifiche agli impianti di ventilazione) e sugli aspetti giuridici. Si chiedeva di fare luce sullo statuto dell’associazione La Palma Onlus, creata dal Centro islamico per acquisire i locali, e ora - pare - al centro di una diatriba tra i soci fondatori, al punto che alcuni si sarebbero dissociati per motivi economici fondando un altro gruppo.

«I nostri uffici stanno cercando di lavorare nel modo più scrupoloso e rigoroso possibile», spiega l’assessore all’Urbanistica Mario Viano. La giunta si è già espressa a favore della moschea. «Si tratta di verificare gli adempimenti formali». Anche per schivare i sicuri ricorsi al Tar. Dovrebbe essere questione di poche settimane. «L’associazione avrebbe potuto scegliere un’altra strada», chiarisce l’avvocato Riba, «presentando una dichiarazione d’inizio attività e fornendo le informazioni solo a lavori in corso. Invece ha scelto la via della trasparenza, chiedendo il permesso di costruire».

«Abbiamo dichiarato di svolgere attività di culto; abbiamo garantito tracciabilità sugli organismi dirigenti e sui finanziamenti visto che i bilanci delle Onlus sono pubblici», aggiunge Khounati. Le risorse - 1,2 milioni - sono frutto di sottoscrizioni, autofinanziamento e di una donazione del ministero per gli affari religiosi del Marocco.

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08/09/2010 15:03

Torino, avranno un edificio ma senza minareto

Il Comune si è detto favorevole al progetto della moschea, ma il via libera ai lavori non è stato ancora concesso
ANDREA ROSSI
TORINO

A Torino la comunità marocchina che si riconosce nella Moschea della Pace di Porta Palazzo ha acquistato i locali di un ex mobilificio in Barriera Milano, periferia Nord e chiesto al Comune, il 3 dicembre dello scorso anno, il permesso di realizzarvi una moschea. L’associazione, una Onlus - con dovere perciò di rendere pubblici i bilanci - ha acquisito l’edificio e previsto i lavori di adeguamento sfruttando un autofinanziamento interno alla comunità, donazioni e un contributo del ministero per gli affari religiosi del Marocco. Totale: 1,2 milioni di euro. Il Comune si è detto favorevole al progetto della moschea, ma il via libera ai lavori non è stato ancora concesso. Problemi burocratici, relativi sia al progetto di ristrutturazione, sia allo statuto dell’associazione. Problemi che potrebbero essersi sbloccati ieri, quando gli islamici hanno inviato i chiarimenti richiesti: l’associazione si propone di svolgere attività di culto, che secondo il piano regolatore della città è attività di servizio e non richiede perciò varianti al piano stesso. Il chiarimento dovrebbe accelerare l’iter.

L’edificio, all’esterno, non porterà segni visibili, tanto meno il minareto chiesto dai musulmani ma negato dal Comune. La Lega ha annunciato che farà ricorso al Tar.

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08/09/2010 15:04

Milano, la loro preghiera divide la città

Tettamanzi: «Hanno diritto a praticare la loro fede nella legalità»
FABIO POLETTI
MILANO

Dopo due Ramadan e più di ottanta venerdì di preghiera dove capita, i centomila musulmani di Milano aspettano un miracolo. L’arcivescovo Dionigi Tettamanzi, fa il misericordioso: «Hanno diritto a praticare la loro fede nella legalità. E’ legittima la loro richiesta di avere un posto per pregare. La politica strumentalizza il problema della moschea». Il ministro Roberto Maroni della Lega, distrugge ogni speranza: «Sono il ministro dell’Interno, non un costruttore di moschee». In questo muro contro muro che divide Milano, si trova nessuno per impilare qualche mattone per tirare su la moschea.

L’anno prossimo scade la convenzione con il Palasharp, luogo del rock e pure delle provvisorie preghiere ad Allah. Altri posti non ce ne sono. Ogni tanto si parla di fare un referendum tra i cittadini, ma il problema rimane per aria. Riccardo De Corato, vicesindaco del Pdl, dice che è soprattutto una questione di sicurezza: «No a facili slogan sulla moschea». I leghisti nemmeno vogliono sentirne parlare. Stefano Boeri, architetto e aspirante sindaco del Pd vorrebbe una soluzione veloce. Il sindaco Letizia Moratti dice che c’è molto da fare: «E’ l’anno della cultura islamica. Lavoriamo su questo». Nell’attesa, il loro secondo anno scandito dal Ramadan che va a finire, i musulmani lo passano a pregare tra un teatro e una palestra

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08/09/2010 15:04

Genova, sfrattati da 18 anni chiedono la sede

Nel 2008 lo storico patto d'intesa con il sindaco, ma poi la situazione si è nuovamente bloccata
ALESSANDRA PIERACCI
GENOVA

Era il 1992 quando i musulmani furono sfrattati dal magazzino in cui pregavano. La comunità islamica acquistò un edificio a Coronata, periferia industriale, per realizzarvi la moschea. Il no del Comune fu motivato da problemi di viabilità in un quartiere già martoriato da servitù. Con la mediazione della curia fu proposta la permuta con un terreno dei francescani, ma il nuovo sito aveva altre problematiche. Il 16 luglio 2008 la sindaco Marta Vincenzi firma un patto di intesa, il primo in Italia, con il rappresentante della comunità islamica genovese Salah Husein. Nel 2009 il comune propone l’estrema alta periferia del quartiere del Lagaccio, ridotta a discarica, dove la comunità potrà realizzare la sua moschea da un milione e trecentomila euro, 600 metri quadrati, tre piani con minareto di 15 metri, posteggio e giardini, previa costituzione di una Fondazione.

Ma ora il siriano Mohamed Baha’ El-Din Ghrewati, studi medici a Roma, Milano e Laigueglia, da molti ritenuto l’eminenza grigia dell’Ucoii, fa sapere che mai voterà la cessione al Comune di parte dell’immobile di via Coronata. E su Facebook oltre 400 musulmani spingono la proposta del Mil, il Movimento indipendentista ligure che propaganda dialetto e tradizioni, per trasformare invece il grande edificio che cesserà di ospitare il mercato del pesce, poco distante dalla darsena dove nel 1500 sorgeva una moschea.

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Sportivo ipercafone
08/09/2010 15:35

Vorrei conoscere anche solo un motivo per cui i musulmani non possano costruire delle moschee (con tanto di minareto, aggiungo).
Ma non riesco a trovarne di validi.


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PippyZzetta
08/09/2010 16:40

Re:
paperino73, 08/09/2010 15.35:

Vorrei conoscere anche solo un motivo per cui i musulmani non possano costruire delle moschee (con tanto di minareto, aggiungo).
Ma non riesco a trovarne di validi.


[SM=x44515]




portano via il lavoro agli italiani!
nelle moschee si trovano per preparare attentati!
non voglio svegliarmi la mattina al suono di quello là che canta!
Padroni a casa nostra!
Quelli non rispettano le donne!
Devono togliersi le scarpe e gli puzzano i piedi!


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08/09/2010 17:03

Re: Re:
piperitapatty, 08/09/2010 16.40:




Devono togliersi le scarpe e gli puzzano i piedi!


[SM=x44452]



e ti sembra un motivo da poco?


[SM=x44452]

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Ho capito che se una persona si ritiene superiore, bisogna lasciarla vivere nella sua inferiorità
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08/09/2010 17:49

piperitapatty, 08/09/2010 16.40:

Devono togliersi le scarpe e gli puzzano i piedi!




Allora dovremmo aprire più moschee: è l'unica occasione che hanno di lavarseli.
[Modificato da paperino73 08/09/2010 17:50]

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