LA VICENDA DEL MOTOPESCA MITRAGLIATO. LA RUSSA: «NON CREDO AL LORO ERRORE»
Il comandante del peschereccio
«Inseguiti dai libici per 5 ore»
Agli atti dell'inchiesta la ricostruzione dell'attacco.
Una versione che però non coincide con quella del Viminale
ROMA - Due versioni che non coincidono. Non è ancora chiaro come siano andate davvero le cose nella vicenda del peschereccio "Ariete" mitragliato domenica scorsa da una motovedetta libica, a bordo della quale c'erano anche alcuni finanzieri italiani. I magistrati e i carabinieri del Ris sono al lavoro per trovare una risposta. Intanto, una prima ricostruzione dei fatti arriva da due diversi canali: un rapporto del Viminale che dà conto della riunione d'inchiesta convocata su indicazione del ministro Maroni; e le dichiarazioni rese dal comandate dell'Ariete, Gaspare Marrone, all'Ufficio Circondariale Marittimo di Lampedusa, ora agli atti dell'inchiesta della Procura della Repubblica di Agrigento. E quel che ne esce sono due versioni discordanti. Perché se il documento ministeriale riporta le fasi di un'azione durata dalle 19.10 alle 20.45 e non riferisce mai di un inseguimento del motopesca da parte della vedetta libica, il comandante del peschereccio parla di un inseguimento di 5 ore, dalle 18.10 alle 23, durante le quali è stato più volte aperto il fuoco contro l'unità italiana.
IL COMANDANTE - Ecco quello che risulta dalla dichiarazione del comandante, Gaspare Morrone: «Alle ore 18.10 ... la motovedetta libica apriva il fuoco colpendo ripetutamente il motopesca. Dopo la prima raffica cambiavo rotta anche per evitare la collisione con la suddetta motovedetta che si avvicinava al mio motopesca. Successivamente, la motovedetta sparava altre raffiche, ad intervalli di circa un'ora, ed io continuavo a cambiare più volte la rotta del mio motopesca per evitare la collisione con loro. Tutto ciò proseguiva fino alle ore 21.00 circa; quindi ricevevamo in tutto circa 4 raffiche. Alle ore 21.00 subivamo l'ultima raffica e dopo di che riprendevamo la nostra navigazione....Alle ore 23.00 la motovedetta libica desisteva dall'inseguimento e potevamo così proseguire la nostra navigazione verso Lampedusa...».
IL VIMINALE - Secondo la ricostruzione del Viminale, invece, il comandante dell'unità libica ha intercettato il peschereccio italiano «ritenendo di averne constatato l'attività di pesca di frodo in acque considerate da quelle Autorità di propria pertinenza». I libici avrebbero a questo punto intimato al peschereccio di fermare le macchine, «altrimenti il guardacoste avrebbe fatto uso delle armi». L'avvertimento sarebbe avvenuto in inglese, e poi in italiano, attraverso gli «osservatori» della Finanza presenti a bordo. «Il peschereccio - si legge nel verbale - non ottemperava tuttavia all'ordine di fermarsi, proseguendo la navigazione». Secondo il Viminale, in ogni caso, l'operato degli uomini della Guardia di Finanza che erano a bordo della motovedetta libica «è pienamente consono» a quanto previsto dai Protocolli di cooperazione tra Italia e Libia per fronteggiare l'immigrazione clandestina. Quindi, i finanzieri «in nessun caso possono essere chiamati a rispondere delle attività svolte dal comandante e dal personale dell'unità del Paese ospitante».
LA RUSSA - In serata, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ribadisce che i libici «hanno fatto bene a scusarsi, l'ho apprezzato. Sono incidenti che non devono verificarsi. E per fortuna non ci sono state conseguenze nefaste, altrimenti le scuse non sarebbero bastate». Poi però il ministro aggiunge: «Può darsi che abbiano confuso il peschereccio, ma io non credo manco per niente al fatto che abbiano scambiato il peschereccio per un barcone di clandestini. E comunque non è lecito sparare».
L'OPPOSIZIONE - Alla Camera, per esporre la posizione del governo sulla vicenda, si è presentato Elio Vito, responsabile dei rapporti con il Parlamento. Erano invece assenti Frattini e Maroni. Una scelta dettata dalla volontà di mantenere un basso profilo sull'incidente dopo le scuse arrivate dai libici e di archiviare la vicenda, ma che si è inevitabilmente attirata le critiche dell'opposizione. A protestare sono stati quelli dell'Idv e i radicali. I dipietristi volevano che Maroni desse conto della sua affermazione secondo la quale i libici avevano sparato perché forse avevano scambiato il peschereccio per una nave di clandestini. Il radicale Matteo Mecacci, di fronte all'assenza di Frattini, ha sostenuto che la latitanza del ministro è la prova della «complicità del governo Berlusconi con Gheddafi». Ma Frattini tira dritto per la sua strada e risponde a muso duro. «L'opposizione è sempre in mala fede e contro l'interesse dell'Italia in questi casi», si è adirato. «Maroni ha chiarito quello che non c'era bisogno di chiarire - ha aggiunto Frattini - sparare non è mai nelle regole d'ingaggio, né nei confronti dei pescatori, né nei confronti dei clandestini».
Fonte:
CorrieredellaSera