1- LA TRATTATIVA - LIQUIDAZIONE MILIONARIA IN ARRIVO...
Da "il Fatto Quotidiano" - Alessandro Profumo è uno dei più pagati manager italiani di ogni tempo. Negli ultimi dieci anni Unicredit gli ha dato uno stipendio complessivo di 50 milioni di euro, in media cinque milioni all'anno. Un dipendente di basso livello della stessa banca per incassare quella cifra dovrebbe lavorare non dieci ma duemila anni. Adesso si inseguono le voci sulla liquidazione che il banchiere genovese sta trattando con Unicredit. Un braccio di ferro sicuramente gagliardo: "Spendo forse un centesimo di quello che guadagno", ha detto una volta Profumo, ma non per questo sembra intenzionato a fare sconti a quelli che l'hanno cacciato.
Alessandro Profumo Si parla di una buonuscita tra i 30 e i 50 milioni di euro, probabilmente i due estremi tra domanda e offerta. I 50 milioni sarebbero appunto tutti gli stipendi degli ultimi dieci anni. Non sarebbe un record. Nel 1998 Cesare Romiti ottenne dalla Fiat una buonuscita di 101 milioni di euro, molto più di quanto aveva guadagnato nei suoi 24 anni di servizio. Matteo Arpe, amministratore delegato della banca romana Capitalia, cacciato nel 2007 dopo uno scontro con il presidente Cesare Geronzi, prese 31 milioni di liquidazione dopo sei anni di servizio.
profumo Lo stesso Geronzi, quando Capitalia fu incorporata da Unicredit, nello stesso 2007, in una vicenda che segna l'inizio della sua ostilità verso Profumo, fu gratificato dal consiglio d'amministrazione, nell'ultima seduta, di un "premio alla carriera" di 20 milioni di euro, deliberato per acclamazione. Non era una liquidazione, perché Geronzi era già in pensione.
2- DAGOREPORT
Il Financial Times, in pieno stile "Brit massone", schiaffa il caso IOR goduriosamente in prima pagina, con corredo di foto gigante di Gotti Tedeschi, mentre relega l'uscita di Profumo da UniCredit alla storica colonna "Lex" e alla prima pagina dell'inserto economico.
Alessandro Profumo su _La Stampa_ L'analisi di "Lex" è impietosa: dopo una "lunga e spesso tempestosa storia d'amore" gli azionisti ne hanno avuto abbastanza dell' "arroganza e inaffidabilità" di Profumo. FT parla di un manager che ha seguito pedissequamente i dettami della sua formazione in McKinsey ("crescere, razionalizzare, innovare"). Gli investitori hanno apprezzato la crescita - e i corposi dividendi - dei primi anni, ma aver assorbito Capitalia a pochi mesi dalla crisi finanziaria ha indebolito i "capital ratio" della banca costringendola a pompare 4 miliardi in cassa.
LEX del Financial Times su Profumo Quando parla poi dell'acquisizione di HypoVereinsbank, vero trampolino di UniCredit verso il glorioso mondo degli istituti a vocazione internazionale, non fa certo un complimento a Dieter Rampl, vicepresidente a piazza Cordusio e per molti il Bruto che ha sferrato la pugnalata finale ad Arrogance. HVB, infatti, all'epoca dell'acquisizione era considerato il paria del sistema finanziario, una banca "che nessun altro avrebbe toccato", sottolineando quanto il Nostro cercasse disperatamente di accreditarsi sul piano internazionale.
In chiusura, "Lex" ricorda come UniCredit abbia perso il 70% del suo valore di borsa dal picco raggiunto nel 2007, ma afferma che il colpo di grazia per Profumo è stato l'aver cercato segretamente di ottenere un sostegno dagli azionisti libici. "L'eredità di Mr. Profumo avrebbe potuto essere l'aver trasformato il sistema bancario italiano. Invece verrà ricordato per aver fallito nel costruire un edificio più duraturo".
3 - CASO PROFUMO: LA POLITICA NON C'ENTRA NIENTE. NON SI PUÒ GUIDARE UNA BANCA COME UNA PUBLIC COMPANY SENZA TENERE CONTO DEGLI AZIONISTI.
Oscar Giannino per Panorama Economy, in edicola domani
CESARE ROMITI Francamente non sono tra coloro che restano stupiti per l'esito che ha avuto il lungo regno di Alessandro Profumo al vertice di Unicredit. Due settimane fa ve l'avevamo detto che occorreva occuparsi del malessere al vertice della banca non per questioni legate a questo o quell'aspetto personale dell'orgogliosa leadership di Profumo, ma perché in Unicredit venivano al pettine problemi di sistema, esattamente com'erano venuti a galla nella vicenda della Fondazione Sanpaolo in Intesa.
CESARE GERONZI SI DA UN TONO In Intesa il vertice della banca ha avuto forza e determinazione spietata nel ricondurre ai minimi termini la pretesa di una fondazione di volersi disallineare dal management. In Unicredit le fondazioni di Verona, Torino e Bologna hanno fatto fronte unito con gli amministratori tedeschi, e il manager è andato a casa.
Entrambe le vicende dimostrano però, almeno dal modesto punto di vista di chi qui si occupa per voi di exit strategy: la pretesa influenza impropria della politica è un'ombra cinese agitata con molta malizia e studiata abilità. In realtà, non è stata affatto la politica a mettere zampa nella caduta di Profumo.
MATTEO ARPE & GIRLFRIEND Direte voi: ma come, non è stato forse il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, il più guerrigliero dichiaratore contro l'impropria presunta regia attribuita a Profumo nel far salire i libici nel capitale della banca senza avvisare fondazioni azioniste e presidente tedesco? Certo che sì. Ma questa è appunto la maliziosa e studiata abilità in cui la Lega ormai inizia a eccellere. I leghisti non sono formalmente neppure entrati dentro la Fondazione Cariverona, e Tosi è stato semplicemente astuto sui media a invocare il ritorno in banca del potere ai territori.
Se non fosse così e fossimo stati in presenza di uno spietato attacco per allineare la seconda banca italiana al naturalmente famigerato governo Berlusconi, non si capirebbe perché al contrario il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, abbia giocato fino all'ultimo nella vicenda assai più il ruolo del pompiere che quello del piromane.
OSCAR GIANNINO Flavio Tosi Come già avvenuto in passato in presenza di vicende come il salvataggio del gruppo Risanamento per Intesa, sia pur rifuggendo da ogni compromettente e improprio atto o dichiarazione ufficiale, Tremonti ha tentato il tentabile per spiegare alle fondazioni che era meglio procedere diversamente, per l'instabilità e le tensioni sul fronte bancario.
Il teatrino politico italiano dirà che è stata la Lega a entrare a gamba tesa, e che Biasi e Palenzona non sono o non sembrano certo di sinistra. La sostanza è che la caduta di Profumo con la politica non c'entra niente. È invece una sorta di paradossale vendetta a tempo di Vincenzo Maranghi, dall'aldilà. Profumo fu il più decisivo nel decretarne l'allontanamento da quella che era ancora la vecchia Mediobanca, troppo cucciana. L'accusa decisiva? Essere autoreferenziale, ignorare gli azionisti.
Profumo ha fatto la stessa cosa al cubo. Con l'aggravante di avere imboccato il modello operativo anglosassone poi scoppiato nella crisi, con ricapitalizzazioni e tagli a utili e dividendi più dolorosi ai suoi azionisti che a quelli di altre banche italiane.
GIULIO TREMONTI Con Profumo cade il grande sogno di un capobanca che la guida come una public company rispondendo solo al mercato. Il mercato di riferimento continua a essere quello delle fondazioni e dei tedeschi di Allianz, gente concreta che mal sopporta la solitudine dei numeri primi, se dividendi e utili calano come sono calati in Unicredit.
MARANGHI È questa la ragion sistemica che ha portato al pettine nodi accumulati da due anni. E che sia sistemica lo conferma il fatto che la Banca d'Italia, rivolgendo istanza formale alla banca per capire che cosa era davvero successo nell'ascesa libica, abbia finito per offrire il pretesto formale al presidente Dieter Rampl per farsi dare dal comitato corporate governance il mandato formale a investigare: la prima plateale sconfessione dell'amministratore delegato.
A reggere, anche nei guai e problemi, al vertice di grandi banche in Italia sono presidenti e amministratori delegati assai più versati nell'arte della concertazione con grandi soci e interessi consolidati di ogni tipo. Come capita a Intesa. La politica che torna a fare da improprio padrone è un rischio da tenere presente, certo. Ma non si è manifestata se non sotto forma di abile sfruttatrice, in chiave locale, di eventi decisi da altri e altrove.
enrico cuccia02 lap Per libici e tedeschi, una festa inattesa: e su questo bisogna riflettere, visto che siamo il Paese che ha evitato salvataggi bancari. Dubito che in Germania potrebbe mai avvenire il contrario, il giorno che qualche amministratore italiano decidesse di mettere alla porta il capo di Deutsche Bank.
4- PROFUMO, "UN UOMO FUORI DAL SISTEMA" UN TIPO IL QUALE GUADAGNA 435 VOLTE UN METALMECCANICO?
Andrea Marcenaro per "Il Foglio" - Non riuscivo a capacitarmi, sulle prime. Avevo appena letto alcuni autorevolissimi pareri secondo i quali Alessandro Profumo, l'amministratore delegato di Unicredit, non veniva fatto fuori a causa di uno degli infiniti, e più o meno nobili, o magari ignobili interessi, per cui di solito si fanno fuori, oppure si mettono a cavallo, gli uomini che gestiscono potere, no. Il motivo per cui Alessandro Profumo veniva fatto fuori, questo almeno spiegavano i suddetti autorevolissimi commentatori, dipendeva dal fatto che il grande manager "era un uomo fuori dal sistema". Assolutamente testuale: "un uomo fuori dal sistema".
RAMPL E così, su due piedi, ordinato come sembrava, pettinatino come tendeva sempre a presentarsi, veniva difficile immaginare il dottor Profumo come una Janis Joplin del sistema bancario, il Jimi Hendrix dell'alta finanza, o perfino un Jack Kerouac del gioco di borsa.
facci13 andrea marcenaro Invece, facendo mente locale, non ci voleva poi molto a capire come un tipo il quale guadagna 435 volte un metalmeccanico, sia senza dubbio un pezzo di integrato. Laddove, uno che piglia 434 volte un bancario, un dropout.
5- PROFUMO È STATO FATTO FUORI PERCHÉ PASSAVA UN SACCO DI TEMPO A NEW YORK, PARIGI, LONDRA, E A VERONA NEANCHE UNA CARTOLINA
Michele Serra per "la Repubblica" - Sulla vicenda Unicredit, molto complicata per i profani come me, un lampo chiarificatore arriva dal sindaco di Verona Flavio Tosi, secondo il quale "bisognava fermare i libici perché potrebbero non fare gli interessi di Verona e del Veneto".
Michele Serra Si sapeva, in giro, che Unicredit è un grande gruppo bancario europeo, con propaggini e affiliazioni dall´Atlantico al Volga. Ora finalmente si scopre, grazie alla forte denuncia di Tosi, che questa smisurata espansione continentale aveva il subdolo scopo di trascurare Verona, fino al punto di coinvolgere i libici, la cui ostilità per la zona di Verona è risaputa. Provate a parlare a un libico di Verona: prima sputerà per terra in un accesso di disprezzo, poi vi dirà che lui, piuttosto che favorire gli interessi di Verona, è disposto a tutto.
Ecco a cosa serve la cultura "local": a evitare che i fumi della mondializzazione ci offuschino la vista e ci impediscano di vedere le cose come stanno davvero. Vista da piazza delle Erbe, con un bianchetto in mano, la vicenda Unicredit si svela, infine, in tutta la sua semplicità: Profumo è stato fatto fuori perché passava un sacco di tempo a New York, Parigi, Londra, e a Verona neanche una cartolina.