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Arresti preventivi, la proposta fascista di Gasparri contro le proteste studentesche

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2010 13:47
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21/12/2010 13:47

“Daspo” e “arresti” per chi manifesta:
Maroni e Gasparri si sono dimenticati
di quando i “black bloc” erano loro?


Ieri erano in prima linea per le strade, oggi propongono “Daspo nelle piazze” e “arresti preventivi” degli studenti che manifestano. Le due idee sono state lanciate rispettivamente dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e dal capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. Il primo paragona i manifestanti agli ultras, il secondo ritiene che siano pericolosi come i terroristi negli anni di piombo. Ma forse sia Maroni che Gasparri dimenticano quando dall’altra parte della barricata c’erano loro e quando erano proprio loro ad avere guai con la giustizia: il primo, da militante della Lega Nord, è stato condannato per resistenza a pubblico ufficiale. Il secondo invece fu indagato per turbativa dell’attività parlamentare dopo che, nel ’93, irruppe a Montecitorio insieme ad altri “camerati” del Movimento Sociale Italiano.

La vicenda di Gasparri è stata ricordata da Leoluca Orlando, protavoce dell’Italia dei Valori: ”Il primo aprile del 1993, Maurizio Gasparri, insieme a un gruppo di militanti del Movimento sociale italiano, assaltò Montecitorio e fu indagato, ai sensi dell’articolo 289 del codice penale, per turbativa dell’attività parlamentare insieme ad alcuni colleghi missini fra cui Teodoro Bontempo e Altero Matteoli”.

”I ‘simpatici’ manifestanti, alla cui testa c’era lo stesso Gasparri – ha spiegato Orlando – fra cui diversi militanti del Fronte della gioventù e altri deputati dell’Msi, circondarono le esigue forze dell’ordine presenti in quel momento, indossando una maglietta con su scritto ‘Arrendetevi siete circondati’ e bloccarono l’accesso all’Aula con annessi insulti ai parlamentari. Alcuni militanti missini, inoltre, tentarono anche di aggredire fisicamente i deputati. Ci fu un lancio di monetine e il vetro dell’ingresso di Montecitorio fu incrinato. Per questo, Orlando si è chiesto “se il Maurizio Gasparri di allora sia lo stesso che oggi definisce gli studenti come potenziali assassini e che chiede gli arresti preventivi in auge nel fascismo”.

E a questo punto è scattata la similitudine con la proposta odierna di arrestare preventivamente i manifestanti “violenti” che nasconderebbero armi e oggetti “offensivi” da usare durante i cortei. Forse Gasparri non sapeva che anche all’epoca i suoi “compagni” erano ben “muniti”. ”Dopo le perquisizioni di rito – ha spiegato ancora Orlando – a casa di alcuni di questi elementi furono trovati dei proiettili e tali personaggi non furono né arrestati, né denunciati. Gasparri, all’epoca, non solo non si stracciò le vesti ma presentò, insieme al suo gruppo parlamentare, un’interrogazione in cui si dichiarava ingiustificato e arbitrario l’intervento dei poliziotti”.

La vicenda che vide protagonista Maroni è stata invece ricostruita da Gianni Barbacetto in un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano e ripreso da Dagospia: “Era il 18 settembre e Bobo Maroni era davanti alla sede della Lega Nord in via Bellerio, a Milano. Alle 7 del mattino la polizia si era presentata a perquisire, a Verona, uffici e abitazioni di Corinto Marchini, il capo delle “camicie verdi”, e di due leghisti a lui vicini, Enzo Flego e Sandrino Speri. Gli agenti erano stati mandati da Guido Papalia, procuratore della Repubblica di Verona, che stava indagando sulla Guardia Nazionale Padana, sospettata di essere “un’organizzazione paramilitare tesa ad attentare all’unità dello Stato”. Marchini aveva un ufficio anche in via Bellerio, a Milano. Così due pattuglie della Digos veronese arrivano alle 11 alla sede della Lega e tentano di entrare. Invano: i militanti leghisti impediscono l’accesso. Tornano il pomeriggio, con un provvedimento integrativo di perquisizione. Riescono a fatica a entrare nell’androne, ma lì sono fermati da un cordone di leghisti, tra cui Maroni, che impedisce l’accesso alla scala. Spintoni, parapiglia. Alla fine i poliziotti sfondano e riescono a salire”.

E sarebbe stato proprio a questo punto, secondo il racconto di Barbacetto, che l’attuale ministro dell’Interno si sarebbe contraddistinto: “Il primo vero e proprio episodio di violenza”, annotano le cronache, “è compiuto da Maroni che tenta di impedire la salita della rampa di scale, bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu”. I due si divincolano e salgono, con tutti i loro colleghi. Ma la squadra Maroni non si ferma: insegue gli agenti, li copre d’insulti, tenta di bloccarli con la forza. I cori ingiuriosi sono diretti da Mario Borghezio, mentre “numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali” sono compiuti da Maroni, ma anche da Umberto Bossi e Roberto Calderoli: “Episodi tutti documentati dai filmati televisivi”.

Poi l’atto finale: “Con fatica, gli agenti arrivano davanti all’ufficio di Marchini che devono perquisire. Lo trovano sbarrato. Sulla porta, un biglietto scritto a macchina: “Segreteria politica – Ufficio on.le Maroni”. La porta è sfondata. “Operazione che tuttavia era ostacolata violentemente” da Maroni, Bossi, Borghezio, Calderoli e altri, “che aggredivano principalmente il dottor Pallauro e l’ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alle spalle”. La guerriglia finisce con un malore: Maroni “viene disteso a terra dall’agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso, ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela”.

All’episodio seguì un processo, nel quale Maroni fu riconosciuto colpevole di resistenza a pubblico ufficiale. E fu anche dimostrato che tentò di mentire, con l’intenzione di attribuire la colpa dell’aggressione ai poliziotti.

Ricapitolando, chi è senza peccato scagli il primo sanpietrino. Poi se la polizia o i giudici impongono foto segnaletiche, impronte digitali e compagnia bella, può sempre fare una dura nota di protesta. “Un comportamento assurdo, ingiustificato, sproporzionato e al limite, arbitrario degli agenti di polizia, una indebita prevaricazione e persecuzione”: son parole di Fini, non di un collettivo studentesco. Ed era il 1993, non il ’78. Pardon, il ’79.

Fonte: blitzquotidiano

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