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Egitto, guerra civile contro il regime Mubarak

Ultimo Aggiornamento: 01/12/2014 12:50
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29/01/2011 15:52

Scontri e morti in tutto l'Egitto
Il presidente in tv: "E' complotto"

Mubarak invia i soldati a sostenere le forze di sicurezza.
Ma in molti casi la folla accoglie con applausi i militari.
Tentativo di saccheggio al museo egizio del Cairo:
ma è stata la folla stessa a organizzare un cordone contro i predatori


IL CAIRO - Nemmeno la notte ferma la battaglia del Cairo. Anzi, complici il buio, addirittura la incattivisce. Le schermaglie della mattina tra polizia e dimostranti alla sera si trasformano in guerriglia Ormai si spara nelle strade e si incendia. Nel centro, in prossimità dei grandi alberghi, come nella periferia di questa sterminata città. Dai manganelli ai fucili, dalle pietre alle molotov, il passo è stato breve.

Solo nella capitale i morti sarebbero almeno una quindicina, i feriti oltre mille, gli arrestati quasi cinquecento. Numeri che ovviamente non trovano conferme ufficiali. Internet è infatti out, la telefonia mobile pure e quella fissa vicina al collasso. Ma nemmeno il regime riesce a impedire che le notizie in qualche modo filtrino. Mubarak proclama il coprifuoco, schiera l'esercito e annuncia un discorso in tivù, che arriva all'una di notte.
Il rais annuncia per oggi un rimpasto del governo, dice di avere "ascoltato le lamentele e la sofferenza del popolo", garantisce che se le manifestazioni sono avvenute è stato grazie alla "libertà di espressione garantita" dal suo Paese, ma ammonisce che "c'è una linea sottile fra caos e libertà", e nel caos - sostiene - si intravede un complotto da parte di potenze esterne. Suo "primo dovere" è "vegliare sulla sicurezza del Paese". Non permetterà al "caos" di dilagare. "Non si raggiungono gli obiettivi con la violenza, ma con il dialogo", esorta il rais. Le prime reazioni della piazza, però, non gli darebbero ragione.

Nel pomeriggio si rincorrono voci su imprenditori e politici che lasciano il Paese a bordo di aerei privati. La sede del partito del Presidente è stata presa d'assalto e data alle fiamme. Mentre brucia uno dei simboli di un potere che non vuole morire, la folla incendia camionette, auto in sosta, copertoni, stazioni di polizia, prima di marciare verso il ministero degli Esteri e la tivù di Stato, altri due odiati simboli del potere. Poi si dirige compatta verso piazza Tahrir, dove tutto è cominciato e dove ci sono altri palazzi del potere. Quella piazza che è stata off-limits per tutto questo venerdì di paura. Mentre anche intorno ai grandi alberghi, in cui sono ancora migliaia i turisti, l'area diventa irrespirabile e il rumore degli spari non è poi così lontano, Mubarak si vede costretto a schierare i soldati. Fanno dunque la loro comparsa, per la prima volta da quando è iniziata la crisi, anche i carri armati. Ma i militari non intervengono. Anzi in molti casi fraternizzano con i manifestanti che stringono loro le mani applaudendo e gridando: "L'esercito è con noi".

Mubarak come Ben Ali? Difficile crederlo, nonostante i vignettisti già lo ritraggano col valigione pieno di dollari mentre corre trafelato verso un aereo saudita. Lui non fuggirà, dice chi lo conosce bene. Venderà cara la pelle. Resisterà. Sparerà, se è necessario. A patto sempre che l'esercito sia disposto a seguirlo fino in fondo. E poi l'Egitto non è la Tunisia, gli americani non sembrano ancora disposti a mollarlo per sponsorizzare un nuovo corso che potrebbe rivelarsi un salto nel buio. C'è tutto, niente sarà più come prima in Egitto. Soprattutto dopo quest'ultimo venerdì di sangue e di scontri. Con centinaia di migliaia di persone in piazza a gridare la loro collera.

"No a Mubarak", "No al governo", "Siete nemici di Dio". Al Cairo, ad Alessandria, a Suez, nel Sinai. Ovunque, da Nord a Sud di questo paese. Chiedono pane, lavoro, giustizia e dignità. Hanno trovato il coraggio di gridarlo in pubblico mentre per anni hanno temuto anche solo di sussurrarlo agli amici più cari. E oggi che è il gran giorno sono tutti lì, a dispetto di uno spiegamento di forze dell'ordine mai visto. Con le principali arterie del centro della capitale completamente blindate, con insormontabili barriere di agenti anti-sommossa schierati coi loro scudi per file, a distanza di un centinaia di metri gli uni dagli altri. Una muraglia umana invalicabile che qualcuno prova inutilmente a sfondare. Lacrimogeni, proiettili di gomma, pallottole vere, manganelli, idranti.

Pur di fermarli la polizia sembra disposta a tutto. Ma quelli, giovani e meno giovani e perfino bambini, crescono di ora in ora come un fiume in piena. Impossibilitati a riunirsi in un unico grande corteo, sono costretti a tentare sortite dalle vie laterali che portano a Ramses Street, il lungo viale che finisce in piazza Tahrir, l'obiettivo finale dei manifestanti, dove c'è la presidenza del Consiglio. È lì che infuria la battaglia e sempre più persone richiamate dagli spari, dal fumo dei gas, dopo aver fermato l'auto in seconda, terza, quarta fila, seguono dagli spalti del ponte "6 ottobre", urlando a loro volta invettive contro il regime. Qualcosa di assolutamente inedito nel trentennale regno di Hosni Mubarak.

Com'era prevedibile il lungo "venerdì della collera" inizia al Cairo poco dopo la fine della preghiera. Intorno alle 13 la prima salva di lacrimogeni rende irrespirabile l'aria disperdendo i fedeli appena usciti dalla grande moschea Al Fath, che si affaccia proprio su Ramses Street. È solo l'inizio di una sarabanda che sarebbe continuata per tutta la giornata su vari fronti della capitale. Nel sobborgo di Dokki, proprio davanti all'hotel Sheraton, uno degli scontri più duri e cruenti. Fra manifestanti e forze dell'ordine. Turisti terrorizzati, auto incendiate, violente cariche e fuggi fuggi generale. Esattamente come in prossimità della moschea-università Al Azhar, maggiore centro teologico sunnita della capitale.

A Mohamed El Baradei, il premio Nobel per la Pace, esponente di spicco dell'opposizione al regime, autocandidatosi a guidare la transizione, arrivato al Cairo ventiquattr'ore prima di questa grande manifestazione di popolo, viene di fatto impedito di uscire dalla moschea nella quale è andato a pregare. Originale forma di arresti domiciliari, studiata, come dire, ad personam. Per impedirgli cioè di capeggiare politicamente la rivolta. L'uomo ha le carte in regola per succedere alla presidenza anche se il regime in questi mesi più volte ha provato a screditarlo, dipingendolo come distaccato dalla realtà egiziana, come un agente di potenze straniere, pubblicando perfino foto di Laila, la figlia in costume da bagno e del suo matrimonio dove viene servito del vino. Farlo passare, insomma, come un corpo estraneo per scioccare la società musulmana conservatrice.

Che il regime temesse questa manifestazione che già si annunciava come la più imponente e nervosa degli ultimi anni, lo si è capito già alle nove del mattino, quando Internet improvvisamente non ha dato più segni di vita. Un paio d'ore dopo collassava anche la telefonia mobile, locale e internazionale. Impedire ogni forma di comunicazione è l'ordine partito dall'alto. E così tutto l'Egitto rimaneva completamente isolato. Le notizie della notte, gli ultimi filmati fruibili attraverso YouTube avevano mostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che la situazione stava precipitando. Le immagini provenienti da Suez, da Alessandria, dal Sinai e da Ismailia raccontavano di battaglia vera, di morti, feriti, incendi, saccheggi. E come nel disperato tentativo di limitare i danni, il regime procedeva ad arresti in massa. Soprattutto nelle file dei Fratelli musulmani, inclusi i due portavoce, Essam El Eriane e Mohamed Mursi.

Dopo quella che sembrava una pausa alla fine di una giornata campale, la situazione finiva fuori controllo. I manifestanti riuscivano in qualche modo, complice forse la stanchezza dei poliziotti, a ricompattarsi. E alla fine avevano la meglio. Riuscivano a raggiungere il palazzo del Partito nazionale democratico del raìs, il ministero degli Esteri, la tivù di Stato e li incendiavano. Qualcuno tenta di saccheggiare il Museo Egizio ma è la stessa folla a organizzare un cordone contro i predatori. Poi il caos totale. Iniziava una lunghissima notte di incendi, saccheggi, vendette private e regolamenti di conti. La prossima mossa tocca a Mubarak. Le promesse, Ben Ali docet, non basteranno.

Fonte: Repubblica

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