Quel potere nella borsetta : le vanità (e le debolezze) da Hillary alla Merkel
Quanto può valere in termini d'immagine e di pubblicità l'ormai famosa alzata di borsa a Davos della potente, affascinante Christine Lagarde? Un gesto veloce, disinvolto, con la mano destra a brandire la preziosa Louis Vuitton spiegando, come responsabile del Fondo monetario internazionale, quanto ci terrebbe a riempirla di soldi per salvare gli stati dell'Eurozona. Ma al di là dell'affettuoso assist alla griffe francese, il gesto della signora, peraltro già iconizzata per eleganza sapiente e capelli senza tinta, ha implicitamente ricordato come la borsa simboleggi il segno del comando femminile.
Ci sarà un motivo perché, nonostante gli appassionati dibattiti su soprabitini turchese e su copricapo corallo, il libro più venduto riguardo le abitudini di Elisabetta d'Inghilterra sia stato l'insolito «Che cosa c'è nella borsetta della Regina». Già, che cosa c'è? Verrebbe da pensare ad appunti utili nelle visite ufficiali, elenchi di nomi o programmi per la settimana. Ma gli oggetti di uso comune? Niente soldi naturalmente, né tantomeno carta d'identità o di credito. In compenso ci sono cruciverba anti-noia, qualche foto di famiglia (più per i nipoti che per i figli), un paio di amuleti portafortuna alla napoletana, il portacipria e i cioccolatini preferiti dai suoi adorati cagnolini-pastori del Galles.
Borsetta, autentico segno del comando ma pure di comunicazione: quando sua maestà la piazza per terra vuol dire che si sta annoiando in modo esagerato, se invece a un pranzo ufficiale la mette sul tavolo significa che s'è fatto tardi, liberi tutti.
Stando sempre dalle parti di Londra è difficile non riandare al ruolo della borsetta fra le toste mani del premier Margaret Thatcher, soprattutto quando la pestava sui tavoli ai vertici europei di Bruxelles minacciando «Rivoglio i soldi della Gran Bretagna!».
Non si hanno grandi tracce del suo contenuto, su cui lei ha sempre vigilato e su cui nessuno ha mai osato fare domande. Il mistero non è stato chiarito ma al contrario alimentato da una sua frase sfuggita in un giorno di buona: «Ci tengo perché è l'unico posto sicuro di Downing Street». Il segretario di stato americano Hillary Clinton ha invece confessato di avere un debole spasmodico per le borse dai colori inequivocabili come fucsia e similari. «Come fa una donna a essere infelice - ha confessato - avendone al braccio una lilla o magari rosa?».
Sui suoi segni del comando all'interno, si dice siano tutti tecnologici e capaci di farla collegare e interconnettere in qualsiasi situazione. Ci sarebbe poi un cellulare monolinea con il presidente Obama e un paio di rossetti molto chiari.
Esiste un segno del comando equivalente per l'uomo? Non così universale. Agli albori della prima repubblica il doppiopetto. Oggi forse, banalmente, è soltanto la cravatta, però riconoscibile come un marchio personale: azzurra di Monti, salmone di Fini, a piccoli disegnini su sfondo blu di Berlusconi, padanamente verde per Bossi & C.
Ma niente in confronto al valore simbolico e simbiotico di una borsa femminile. Anche per le donne di potere questo oggetto è il contenitore del loro mondo, il surrogato di casa. Ecco perché la divertita propensione maschile a frugare nelle borse viene quasi sempre sanzionata con musi e urlatacce: non è una forse una violazione d'intimità?
Il favorito simbolo del potere per la cancelliera Angela Merkel ha invece la monumentalità d'una borsa arancio in cui non s'intuisce presenza di vanità o debolezze. Qualcuno dà invece per certo uno spietato registro in cui la severa prof di conti euro-finanziari, dispensa voti ai suoi non sempre apprezzati compagni di strada.
Merita pure un cenno una borsetta grigia con profili (forse) in coccodrillo, segno di potere nel post-berlusconismo. Appartiene al sensibile ministro Elsa Fornero e ovviamente ha in dotazione molti fazzoletti.
di Gian Luigi Paracchini
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