Ritorno al futuro, la moda riscopre lo stile spaziale
Il vestito a trapezio, il giubbotto di vinile, la mini che più mini non si può. Gli occhiali da sole a fessura indossati anche dalla Valentina di Crepax. E soprattutto quegli stivaletti piatti, bianchi e morbidi, corti sul polpaccio e spesso spuntati, che trasformarono Romy Schneider, Françoise Hardy e Catherine Deneuve in seducenti astronaute. «Perché - raccomandava il loro inventore André Courrèges - sulla strada dell’emancipazione e del futuro si cammina con i tacchi bassi».
Tutti questi oggetti compiono 50 anni, insieme alla maison che li ha creati. E tornano a nuova vita, con la resurrezione del marchio a cura di due ex pubblicitari di Metz, Jacques Bungert e Frédéric Torloting, già al vertice della Young&Rubicam, che lo stanno rilanciando a partire da una boutique parigina al 40 di rue François Premier. Fino al 22 aprile questo ritorno al futuro si può sperimentare anche a Milano, con una speciale vendita-mostra alla Galleria Carla Sozzani di 10 Corso Como.
André Courrèges è l’uomo che ridisegnò la donna e la proiettò nell’era spaziale. Basco di Pau, nato nel 1923, tuttora felicemente parte della fashion society internazionale, Courrèges fu pilota nella Seconda guerra mondiale e ingegnere civile specializzato in ponti. A 26 anni cominciò a studiare architetture di altro tipo: quelle vertiginose degli abiti di Cristóbal Balenciaga, il sarto delle gran dame parigine, presso cui lavorò per 10 anni, prima come tagliatore e poi come assistente del boss. Quando si mette in proprio, ispirato anche da una signorina intelligente di nome Coqueline Barrière che diventerà sua moglie e la sua socia in affari, di Balenciaga conserva l’ingegneria sartoriale, ma per il resto s’inventa un nuovo mondo: abiti fatti di plastica, illuminati da colori fluo, che non prevedono l’uso di corsetti e reggiseni costrittivi. Insomma la divisa per una donna futuribile (quasi), pronta per la rivoluzione sessuale. Dall’altra parte della Manica, intanto, anche Mary Quant si dava da fare con le forbici, e ancora è in piedi la querelle su chi fra i due sia stato, davvero, l’inventore della minigonna.
Per una volta, Coco Chanel non capì niente. Disse che gli abiti di Courrèges toglievano sensualità alla donna, perché «quei capi bianchi infagottati» erano «più adatti alle bambinette di due o tre anni» che alle femmine adulte. Courrèges replicò che la sua moda, per l’appunto, ringiovaniva senza bisogno di lifting. A 50 anni di distanza, dopo aver visto sulle passerelle tutto e il revival di tutto, le linee pure ma ingegnose delle sue tuniche e dei suoi top, quei colori vibranti, quei bauletti essenziali fanno l’effetto di una terapia disintossicante.
Tra gli altri, ne sono stati certo influenzati Miuccia Prada e Marc Jacobs, Moschino e Donna Karan. Ma Courrèges è stato un precursore anche nel passaggio dall’alta moda al prêt-à-porter: la sua collezione Couture Future, nel 1967, prevedeva 15 modelli in 5 taglie e con orli regolabili. Poi arrivarono la Prototype, la Maille, la collezione Courrèges Homme e il suo primo profumo, Empreinte.
A un certo punto si trasferì in Giappone, dov’è amatissimo dalle «fashion victim» di certo più ossessive e meticolose del pianeta, e lì finì per vendere il marchio prima di ritornare in Francia. Dopo 10 anni di silenzio, la nuova vita della griffe (e com’è evocativo anche solo il design di quelle cifre, tondo e prettamente Anni 60) è ricominciata da una bottiglia di acqua Evian, primo frutto della nuova gestione di Bungert e Torloting, a cui è seguita una minigonna di lana con cintura di cuoio.
Raccontano i due ex pubblicitari che è stata Coqueline Courrèges a contattarli, dopo aver letto una loro ricerca sul ruolo dei marchi storici in tempi di crisi. Quello, hanno accettato la sfida di risollevarlo, «come se fosse uno zeppelin avanguardista e fosforescente». Partono dai modelli esistenti, ma prevedono di destinare il 40% della produzione alle novità. Anche se sanno che tutto era già stato previsto e progettato. E che, come amano ripetere, «la moda senza moda è molto più che una moda».
di EGLE SANTOLINI
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