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Ultimo Aggiornamento: 04/02/2015 23:03
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21/03/2012 20:44

Re:
texdionis, 21/03/2012 20.39:

ma anche non volendo attrae l'attenzione ugualmente
basta osservare la natura stessa [SM=x44458]



certo...come i miei orecchini rossi a forma di ciliegia [SM=x44479] comprati da una artigiana nel nord della Spagna....è stato amore a prima vista [SM=x44478]


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La Pecorina
22/03/2012 16:01

Re: Re:
killing zoe, 21/03/2012 20.44:



certo...come i miei orecchini rossi a forma di ciliegia [SM=x44479] comprati da una artigiana nel nord della Spagna....è stato amore a prima vista [SM=x44478]






Io li ho a forma di pizza.. [SM=x44466]

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Ka cimm a fe?




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killing zoe, 21/03/2012 20.44:


....una artigiana nel nord della Spagna....è stato amore a prima vista [SM=x44478]


un'avventura saffica in Biscaglia? [SM=x44466]

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Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
22/03/2012 20:06

Re:
Etrusco, 22/03/2012 20.02:


un'avventura saffica in Biscaglia? [SM=x44466]




[SM=x44497] no solo shopping compulsivo [SM=x44457]
a parte le battute, sono orgogliosissima dei miei orecchini [SM=x44479]


02/04/2012 21:15

Prada firma le divise della vela olimpica
Accordo silgato tra Prada e la Federazione Italiana Vela per la sponsorizzazione della squadra italiana di vela ai Giochi Olimpici e Paralimpici 2012
L’accordo prevede la fornitura di divise agli atlet; il marchio apparirà non solo sulle divise indossate dagli atleti e dallo staff tecnico della squadra di vela olimpica, ma anche sugli scafi e vele di tutte le barche concorrenti e di tutte le navi ausiliarie della squadra in tutte le regate Ofthe 2012.
Lo rende noto l’azienda in una nota dove si precisa che l’accordo è stato possibile «grazie al coinvolgimento di Prada in quattro campagne di Coppa America (2000, 2003, 2007 e 2013) e alle sue esperienze di alto livello internazionale di vela. Prada ha sviluppato know-how specifico nel settore dell’abbigliamento tecnico da gara, risultato di una ricerca sui materiali, di tecniche di produzione e test condotti sul campo in condizioni stressanti e per lunghi periodi di tempo.
«Siamo estremamente orgogliosi - ha detto Carlo Croce, presidente della Federazione Italiana Vela - di avere Prada come sponsor. Il marchio Prada non è solo un fiore all’occhiello d’Italia in tutto il mondo, ma è sempre stato strettamente collegato al nostro sport, ed è diventato sinonimo di sfide veliche importanti. Questo accordo va al di là di una sponsorizzazione classica, per diventare una vera e propria partnership: Patrizio Bertelli è un ottimo marinaio, molto competente in tutti i campi, e la sua consulenza sarà essere estremamente utile per noi».



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02/04/2012 21:19

H&M punta sulla moda ecologica
Che moda e tematiche ambientali possano andare d'accordo è una questione sollevata ciclicamente. Non sono molti gli stilisti schierati nella squadra di chi vuole coniugare stile ed eleganza alla sostenibilità. Tuttavia ciclicamente qualcuno si dà da fare, lanciando campagne solidali, garantendo l'origine dei materiali e impegnandosi contro lo sfruttamento della manodopera. E non solo i grandi della moda da passerella.
Per il terzo anno consecutivo il colosso dell'abbigliamento low cost H&M dedica una collezione alla sostenibilità ambientale. La Conscious Collection è la linea attenta all'ambiente, prodotta esclusivamente con materiali ecocompatibili e nessun tipo di pelle animale. I tessuti sono principalmente cotone organico, non sottoposto a trattamenti chimici, il poliestere riciclato (e plastica riciclata per gli accessori come gli occhiali da sole), la canapa organica.
La collezione sarà disponibile nei punti vendita a partire dal 12 aprile, ma già diverse celebrità hanno sfoggiato alcune delle creazioni sul red carpet: Amanda Seyfried ha indossato un blazer blu con shorts coordinati ad una premiere londinese; Kristin Davis ha scelto un abito verde mela ad un evento di gala; Michelle Williams ha sfoggiato un capo fatto su misura alla premiazione dei BAFTA Awards di quest'anno.
Il nome completo della linea quest'anno diventa Exclusive Conscious Collection proprio perché è pensata per il tappeto rosso, piuttosto che per la vita di tutti i giorni: in questo un modo il colosso svedese dimostra come sia possibile coniugare intenti ambientalisti con il glamour più sofisticato.
Dalle collaborazioni eccellenti (Versace, Marni) al legame con l'ambiente, l'impero di H&M, nato per le più giovani, si espande oggi a tutti i tipi di target, facendo breccia nel cuore di chi ha l'animo green e lo vuole palesare anche nelle serate più mondane.



di Giulia Mattioli
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06/04/2012 05:15

Nasce il "Portale europeo della moda"online 700.000 oggetti
Parte da Firenze il progetto triennale Europeana Fashion cheporterà alla nascita di un vero e proprio “Portale europeo della moda”.
Ha infatti sede nel capoluogo toscano l’organismo di coordinamento, la Fondazione Rinascimento Digitaledell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze che, nei giorni scorsi, ha ospitato la prima riunione operativa che ha fatto partire tutta l’operazione cofinanziata dalla Commissione Europeanell’ambito del Programma ICT Policy Support. Europeana Fashion è una raccolta online multi-lingue di centinaia di migliaia di “oggetti digitali”, provenienti da 23 istituzioni, tramusei, biblioteche, collezioni audiovisive e archivi, dei 12 Paesi che aderiscono all’iniziativa e che confluiranno in futuro in Europeana, la Biblioteca Digitale dell’Unione Europea.
Attualmente Europeana offre un accesso integrato a 20 milioni di “oggetti digitali” tra libri, film, quadri, opere esposte nei musei, documenti d’archivio provenienti da circa 1.500fornitori di contenuti e relativi ai temi più diversi inerenti la cultura europea.
L’interfaccia del portale è in 29 lingue e, dal marzo 2015, saranno accessibili on-line altri 700.000 “file digitali” questa volta legati alla moda: abiti storici, accessori, fotografie,manifesti, disegni, schizzi, video, cataloghi, eventi, installazioni, spettacoli.
La moda, è stato sottolineato nel corso della riunione, è un settore importante del patrimonio culturale europeo, ed è sempre più riconosciuto il suo importantevalore di ricerca anche in relazione ad altre discipline, tra cui le arti, la cultura, la sociologia e la comunicazione.
Per questo, dall’inizio del XX secolo alcune delle più importanti istituzioni culturali pubbliche e private e alcuni musei di arti applicate hanno iniziato a raccogliere e conservareabiti, accessori, cataloghi, riviste e altri documenti e materiali legati alla moda.
Il risultato di questo lavoro si è tradotto in un numero crescente di collezioni uniche che Europeana Fashion riunirà online, con la creazione di un apposito portale della moda, eche sarà promosso e fatto conoscere attraverso Europeana (www.europeana.eu), la Biblioteca Digitale Europea.
Maggiori informazioni saranno presto disponibili sul sito del progetto: www.europeanafashion.eu.
Questi sono i partners di Europeana Fashion: FondazioneRinascimento Digitale (Italia), National Technical University of Athens (Grecia), ModeMuseum (Belgio), Koninklijke Musea voor Kunst en Geschiedenis (Belgio), Internet Architects(Belgio), Roger Dean Photography (Regno Unito), Victoria Albert Museum (Regno Unito), Nederlands Instituut voor Beeld en Geluid (Olanda), Catwalkpictures (Belgio), StockholmsUniversitet (Svezia), Museum of Applied Arts (Serbia), Les Arts Dècoratifs (Francia), Mude - Museu do Design e da Moda (Portogallo), Peloponnesian Folklore Foundation (Grecia),Stiftung Preussischer Kulturbesitz (Grmania), Archivio Emilio Pucci (Italia), Pitti Immagine e Fondazione Pitti Discovery (Italia),Centraal Museum Utrecht (Olanda), Nordiska Museet(Svezia), Rossimoda (Italia), Museo del Traje (Spagna), Wien Museum (Austria), Archivio Missoni (Italia).



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11/04/2012 21:13

Dior, dal massimalista folle al romantico che mixa gli opposti
Uno, massimalista, esibizionista, filo nazista (John Galliano). L’altro, minimalista, romantico e politically correct (Raf Simons). Come dire? Dalla notte al giorno. Due mondi che corrono paralleli. Con in mezzo un interregno, quello di Bill Gaytten, il fedele e silenzioso braccio destro di Galliano che l’ha faticosamente sostituito chez Dior (lui che era felice di fare il secondo e si è trovato in prima linea per 12 interminabili mesi).
Nella griffe ammiraglia del gruppo Lvmh finalmente tira aria nuova. Arriva ufficialmente il sostituto belga dello scomodo creativo antisemita di Gibilterra che per 14 anni ha fatto impazzire le platee con i suoi show fantasmagorici.
Fra gli indimenticabili quello del 1998 alla Gare d’Austerlitz, dove Naomi & company sono scese da una vera locomotiva sbuffante - la Dior-Express - in una versione glamour di «Pochaontas». Spettacolo senza pari che bloccò per ore la stazione parigina e si concluse con l’uscita finale di John, vestito come Toro Seduto.
Erano tempi di follie, era il «suo» regno indiscusso, dove a seconda del tema scelto nella collezione si calava nei panni di Nelson; Napoleone, Tutankamon... Erano anni in cui la storia del costume scorreva in pedana sublimata (a volte troppo alla lettera) nei dettagli erotizzati dal un genio strabordante e irriverente di Galliano. Impareggiabile sul piano creativo quanto indifendibile dal punto vista politico e morale.
Chi sperava nella sua riabilitazione ha sottovalutato la serietà del gruppo Lvmh. Monsieur Bernard Arnault mai sarebbe tornato sui suoi passi. E ci ha messo un anno per decidere.
Quando a gennaio si dava in pole position Raf Simons, i vertici di Lvmh negavano. Anzi si diceva che Raf aveva chiesto troppi soldi alla Dior e che quindi fosse fuori dai giochi. Falso. Le trattative erano solo all’inizio. Ma Simons non poteva parlarne.
Ce lo ricordiamo a marzo all’ultimo sublime défilé per Jil Sander, in lacrime. Come d’altronde tutta la platea che l’ha richiamato fuori per ben tre volte. Alla griffe tedesca che da una vita sfila a Milano (controllata da Onward e Gibò), deve molto. È stata la sua palestra di lusso per sette anni. Ma deve anche molto al nostro Paese che infatti adora (parla benissimo italiano) e che l’ha lanciato nel 2005 a Firenze, durante il Pitti Discovery con una mega presentazione al giardino dei Boboli.
Raf, 44enne con la faccia da bambino, è un gran lavoratore, simpatico, ma riservato. Non ha fatto scuole di moda specifiche (bensì di design industriale). Ma l’abbigliamento è sempre stato la sua passione che si è concretizzata nella linea che porta il suo nome, una «capsule» per Fred Perry e poi la direzione creativa di Jil Sander. Simons ama mixare gli opposti con parsimonia: il classico maschile e le tendenze giovanili delle strada. Sarà interessante vedere come traghetterà la Dior nel futuro. Sicuramente senza tanti falpalà.



di ANTONELLA AMAPANE
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14/04/2012 06:54

Vi svelo tutti i misteri nelle borse delle donne
Tabù. Ognuno ha i suoi. Quello di Hans Peter Feldmann, artista concettuale tedesco nato a Düsseldorf nel 1941, grandioso senso dell’umorismo, era la borsa della madre. Un tempio inviolabile. Un territorio straniero con check point all’ingresso: da qui non si passa. Come se ci tenesse dentro il segreto della sua vita. O magari della sua femminilità. Un posto troppo intimo persino per far passare il figlio.
Feldmann un po’ ci è diventato matto, poi ha deciso di dedicarci una parte della sua prima mostra londinese. «Io e lo scrigno proibito». Non quello di sua madre. Di tutte le donne. La vera differenza tra noi e loro, gli pare. «Inaccessibile. Un pianeta ostile. Quello era per me la borsa di mia madre». Una specie di trauma infantile.
Così, alla Serpentine Gallery, nel cuore di Hyde Park, dove espone fino al 5 giugno il meglio del suo articolato ultraquarantennale lavoro, ha dedicato una stanza all’oggetto della sua ossessione. Lo ha aperto. E svuotato. «Ho chiesto a sei donne, sei conoscenti, di farlo per me». E per il sacrificio ha ricompensato ognuna di loro con 500 euro.
Sulla vetrine ha scritto il loro nome, la loro età e la città di provenienza - tipo: Stephanie, 43 anni, Parigi - ma non il cognome, perché aveva paura di darle in pasto al mondo come se fossero nude. Del resto anche Julia Peyton Jones, curatrice della mostra, sostiene che le borse sono un posto del tutto privato. «Non sono affascinanti proprio per questo?». Solo se sugli oggetti si è capaci di costruire una storia.
Chi è, per esempio, Oriane, 27 anni, Berlino? Nel contenitore di pelle nera c’erano un cellulare, delle scarpe senza tacco, marroni, una piccola chiave da cassetta delle lettere, molti scontrini, dei trucchi, circa cinquanta euro, un fermacapelli, delle pillole per il mal di testa e una foto con una parte tagliata. Una donna piegata come se stesse ballando un tango.
«Passione e tradimenti in una vita che deve ancora decollare», giura uno spettatore, mentre Feldmann racconta che a un certo punto il tabù l’ha infranto. E che in quell’intimità di casa ci ha guardato dentro.
Non dice che cosa trovò, dice solo che in quel momento sentì di non avere più bisogno di altro. Di essere l’unico abitante del suo reame personale. Più sovrano del Papa, più solo di un guardiano del faro. A b b a n d o n a t o eppure importantissimo, amato e imprescindibile, come se fosse un oggetto della borsa di sua madre. E quindi, in definitiva, lei.



di ANDREA MALAGUTI
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15/04/2012 09:20

Dillo con un fiore
E' flower power, ancora una volta: la tendenza che vede i fiori protagonisti ogni stagione primaverile torna prepotente anche quest'anno. E con una marcia in più.
Nel giardino floreale delle passerelle, spuntano i classici motivi bucolici su abiti leggiadri e ispirati al peplo greco, come quelli di Laura Biagiotti, che sbocciano anche su gonne plissettate, camicette e borse. Grafici. Tanto da sembrare disegnati con il pennello i fiori monocolore che sceglie Lorenzo Riva per i suoi miniabiti bon-ton. Spuntano maxi fiori anche tra le iconiche mappe geografiche di Alviero Martini.
Ma è la stampa floreale sui pantaloni la vera tendenza dell'anno, che ricorda gli abiti chiassosi degli anni Ottanta ma in chiave ultra-moderna. Philosophy di Alberta Ferretti, Diane Von Furstenberg, Marni nella capsule collection per H&M: tutti hanno scelto i fiori per decorare i pantaloni da donna della primavera 2012.
Sulle passerelle milanesi i veri protagonisti floreali sono stati i total look. Sì perché non solo la natura è di tendenza, ma soprattutto si mixa nelle combinazioni più azzardate. Iceberg ha mandato in defilé gonne a fiori piccoli abbinati con top decorati da fiori maxi. Oppure completi con pantalone, canotta e giacca di fantasie bucoliche molto simili, ma non uguali.
Anche la collezione Blumarine è una vera cascata di petali di margherita. Non solo micro top e hot pants floreali in colori shocking, ma borse, sandali, gioielli tempestati di applicazioni floreali. Per Blugirl invece Anna Molinari propone stampe bucoliche su twin set abbinati al pantalone a tre quarti, a sua volta a fiori, così come i classici abiti leggiadri della maison che dal maculato dell'anno passato virano verso la vegetazione in total look.



di Giulia Mattioli
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15/04/2012 09:55

Re: Dillo con un fiore
killing zoe, 15/04/2012 09.20:

... Iceberg ha mandato in defilé gonne a fiori piccoli abbinati con top decorati da fiori maxi. Oppure completi con pantalone, canotta e giacca di fantasie bucoliche molto simili, ma non uguali.
Anche la collezione Blumarine è una vera cascata di petali di margherita. Non solo micro top e hot pants floreali in colori shocking, ma borse, sandali, gioielli tempestati di applicazioni floreali. Per Blugirl invece Anna Molinari propone stampe bucoliche su twin set abbinati al pantalone a tre quarti, a sua volta a fiori, così come i classici abiti leggiadri della maison che dal maculato dell'anno passato virano verso la vegetazione in total look.



di Giulia Mattioli
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La Clandestina ne sarà entusiasta [SM=x44461]

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17/04/2012 11:19

nella capitale britannica vendite in crescita per modelli molto costosi

Londra scopre il lusso nella moda a 2 ruote [SM=x44499] [SM=g1700005]

Iniziative, testimonial, nuovi stili: la bici fa tendenza, cresce la richiesta di modelli top: «Fa più colpo di una supercar»

 

Il sindaco di Londra Boris Johnson (ap)Il sindaco di Londra Boris Johnson (ap)

LONDRA - Ma dove vai se la bici a Londra non ce l'hai?

Del resto, con un Sindaco come Boris Johnson, che pedala ovunque e bacchetta persino i colleghi italiani perché nelle nostre città non si usano abbastanza biciclette (come ha fatto in occasione di un viaggio a Roma nel novembre del 2010)

e un giornale come il Times che il 2 febbraio scorso ha lanciato la campagna:«Cities fit for cycling», stilando un prontuario in 8 punti per aumentare la sicurezza dei ciclisti in città e un'industria come quella del ciclo, che in Gran Bretagna ha un valore stimato di 1,5 miliardi di sterline,

non stupisce affatto che le 2 ruote siano ormai diventate il vero status symbol dei ricconi della City.

 

La bici studiata da McLaren per Specialized: 12mila sterlineLa bici studiata da McLaren per Specialized: 12'000 sterline [SM=x44486]
 

SUPER BIKE - «Dimenticate la Ferrari, adesso soltanto una bicicletta da 10'000 sterline è quello che serve a chi vuole far colpo» titola oggi un servizio del Daily Mail.

Della serie, se una volta per fare colpo dovevi avere un'auto sportiva, meglio se Ferrari, appunto, o Porsche, oggi basta una bici.

Certo, non una qualunque, perché anche i danarosi amanti delle due ruote sono tipi alla moda e, quindi, non si accontentano di un mezzo qualsiasi, ma vogliono solo il meglio in circolazione e per averlo non si fanno problemi a scucire anche 10mila sterline (12mila euro). E nel caso della “S-Works McLaren Venge, nata dalla collaborazione fra il team britannico di F1 McLçaren e l'americana Specialized, il prezzo sale addirittura a 12mila (oltre 14mila euro).

 

Bike sharing a Londra (Ansa)Bike sharing a Londra (Ansa)

I DATI - Non a caso, secondo i dati resi noti da Halfords, uno dei maggiori rivenditori di biciclette del Paese (una media di 1 su 4), le vendite in Gran Bretagna sono aumentate del 5,7% solo nell'ultimo anno e a trainare questa spinta alle 2 ruote sono soprattutto i modelli di lusso. Un trend confermato anche da un'indagine della società di analisi Mintel, in base alla quale è emerso che 1 inglese su 2 fra i 35 e i 45 anni e con un reddito elevato è più propenso a mollare il volante di un'auto sportiva per salire sul sellino di una sofisticata premium bike rispetto invece ad un coetaneo che però guadagna meno e a muovere il riccone verso le due ruote è tanto il desiderio di stare in forma quanto il tentativo di darsi un'immagine ecologica, così di moda di questi tempi.

 

 

 

Fonte: Corriere della Sera - Simona Marchetti 16 aprile 2012 | 17:28© RIPRODUZIONE RISERVATA

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21/04/2012 21:48

29/04/2012 09:36

I pneumatici diventano fashion riciclati in borse e cinture
Ogni anno, solamente in Italia oltre 380.000 tonnellate di pneumatici arrivano a fine vita. Secondo i dati Ecopneus, ogni anno vengono immessi per il ricambio circa 30 milioni di pneumatici derivanti da autovetture, 2 milioni derivanti da autocarro, 3 milioni da mezzi a due ruote e 200.000 da mezzi industriali ed agricoli. Materiale destinato ad accumularsi nell’ambiente trasformandosi in rifiuto, oppure a fornire preziosa “materia prima seconda” che si presta a diverse realizzazioni.
Perché se è vero che gli pneumatici non sono biodegradabili perché contengono polibutadiene (o C4h8), e che se bruciati sprigionano gas tossici nell’atmosfera rilasciando metalli pesanti e benzene, è altrettanto vero che questo materiale è resistente all’acqua, ai cambiamenti di temperatura anche estremi, agli acidi e ai raggi Uv. Caratteristiche che lo rende adatto a vivere una seconda vita sotto forma di materiale per arredi urbani, pavimentazioni stradali, opere di ingegneria civile. M c’è anche chi ha deciso di contribuire riutilizzando pneumatici e copertoni di biciclette come fossero stoffe o pelle, per realizzare capi d’abbigliamento e accessori.
L’italiana Cingomma, per esempio, realizza una serie di originali cinture utilizzando gomme destinate alle discariche, accompagnandole a un solo tipo di etichetta, quella che indica quanti copertoni sono stati rimessi in vita. Per farlo, l’azienda va a cercare i copertoni usati o scartati dalle aziende, li sottopone a lavaggio e lavora i diversi battistrada. Il risultato è che ogni cintura è unica per tonalità di colore, trama del copertone e vita che ha “percorso”.
Si può scegliere il grado di usura della propria cintura: leggera, significa che il copertone è stato scartato presto; mediamente usurati sono quei copertoni che non hanno espresso tutte le loro potenzialità; un grado di usura alto significa invece che il copertone ha molto da raccontare; infine, i segni delle sgommate e un materiale particolarmente secco sono indice di una vita vissuta fino in fondo. Per sapere quanti copertoni sono stati riciclati basta guardare il numero che identifica e rende unica la cintura. Le scatole che contengono le cinture vengono realizzate con carta riciclata e sono prive di colla.
In Colombia, a Bogotà, c’è invece la Cyclus che dal 2000 realizza borse e zaini da pneumatici usati meritandosi diversi riconoscimenti, tra cui il premio come Miglior Eco-prodotto Industriale al Bioexpo Colombia 2005 e il Premio Nazionale “Produzione Pulita”. Loro realizzano soprattutto zaini e borse così belli e originali che in poco tempo hanno varcato i confini colombiani per guadagnarsi un posto sul mercato internazionale che ne apprezza soprattutto il sofisticato design.
La stilista Doreen Westphal con copertoni e camere d’aria realizza accessori “eco-fashion” di ogni genere e grandezza, da borse e borsette a portachiavi e braccialetti. Ma chiunque può scegliere di riutilizzare, ad esempio, i copertoni usati della bici. Invece di buttarli via si possono trasformare in originali sottobicchieri, manici antiscivolo, elastici e presine imbattibili per aprire i coperchi dei barattoli.



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14/05/2012 20:23

Richard Mille cronometrista de Le Mans 2012

Richard Mille Le Mans

Tourbillion, cronografi, titanio ed edizioni limitatissime: addio superfluo e benvenuto lusso da competizione. Si parte a luglio... Segue »

Zagliani alla conquista del Far East

Zagliani

Primo punto vendita nel continente asiatico per la maison milanese... Segue »

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19/05/2012 21:16

Il senso dello Stato? E' tutto nelle scarpe
Da Cenerentola a «Sex and The City» le donne sono sempre state ossessionate dalle scarpe. E’ una questione strettamente legata all’autostima, che nessuno psicologo ha indagato a fondo. La scarpodipendenza, detta anche Sindrome di Imelda (da Imelda Marcos, ex first lady filippina, 3000 paia) spiega il boom degli acquisti on line: ampia scelta, prezzi scontati, occasioni tutto l’anno. Da Siviglia a Helsinki, lo scambio calzature/denaro vale 50 miliardi di euro, e guai a liquidarlo come superfluo. Spartoo.com, leader europeo dell’e-commerce scarpaceo (15.000 modelli, 400 firme) annuncia di aver venduto un milione e mezzo di paia nel 2011: con le scatole vuote si potrebbe costruire un’altra piramide di Cheope. Nel flusso ininterrotto di ballerine, sandali, décolleté, espadrillas, si esprime, sostiene Spartoo, anche il carattere di una nazione. Credete che le tedesche portino soltanto Birkenstock o scarpe nere tacco cinque/sei come Angela Merkel? Che lo stiletto non sia smerciabile in Lapponia? Sbagliato. Che le italiane siano le più spendaccione? Sbagliatissimo. Sono le francesi, almeno secondo National Trade Sources and Research specialists, Euromonitor, Mintel (dati 2010) con sei paia l’anno, superate soltanto dalle americane. Perché, come insegna Inès de la Fressange, si può risparmiare su tutto, ma non sulle scarpe. Bisogna averne del tipo scenoso, come le Cadillac shoes di Prada sfoggiate dall’ormai emersa Lèa Seydoux, e del tipo comodo, le ballerine, raccomandate oltre che da Inès, da Carla Bruni in versione signora Sarkozy. Una Louboutin, discreta, non troppo alta, alla Christine Lagarde. Poi ci vogliono: una open-toe, un sandalo, una décolleté con il plateau e una senza.

Le inglesi (5,4 paia l’anno) hanno una doppia anima, ben rappresentata da Kate Moss che alterna le Pretty Ballerinas rasoterra alle taccutissime Manolo Blahnik, le Loafer (genere pantofola) borchiate o leopardate agli stivaletti con cinturini e spuntoni punk. Cool Britannia ha un’anima rock, perciò le Dr.Martens non passano mai di moda.

Le italiane, che arrivano poco dopo (5,2) sono folli compratrici di tacchi alti: il 12 è normale. Applicazioni, fiocchi, stringhe, strass, materiali insoliti, mix di vernice e pitone sono graditi. E si spiega perché abbiamo il record europeo (8 per cento, contro il 6,3 delle tedesche e il 7,6 delle francesi) nell’acquisto di scarpe «eleganti», da sera. Le mettiamo anche per un qualunquissimo happy hour. Fa lusso, fa sexy, e studiamo per starci su, al punto che Roberta Rossi, addetta ai lavori e collezionista (2000 paia) si è vista costretta a scrivere «A lezione di tacchi» (Sonzogno), vademecum indispensabile quando si osano i 15 centimetri e oltre.

Le spagnole, coerenti, continuano a preferire zeppe, espadrillas, sughero e corda. Mentre in Olanda e Belgio sono tutti «ciclisti dentro», bio, eco (preferiscono tinte e i materiali naturali, concia vegetale, forme morbide e confortevoli) in Finlandia, quando osano, osano. Fiocchi a pois su tessuto stampato a fiori, ganci, chiodini glam rock. E in Polonia? Comprano meno (tre paia l’anno) e low cost. Amano le scarpe di plastica, oggi decisamente in tendenza, ma da loro di più. Sono coloratissime, ipoallergeniche, alcune al profumo di marshmallow. Il marchio più famoso, «Melissa», è brasiliano. Il materiale, (melflex), riciclabile al cento per cento, è modellato grazie a un processo che riduce i rifiuti quasi a zero. Così, anche con la sostenibilità, siamo a posto.

Resta da capire come mai tanti acquisti on line: le scarpe hanno la paradossale abitudine di far male soltanto fuori dal negozio, e mai dentro, mentre le provi. La formula è semplice: puoi restituirle gratis entro trenta giorni, puoi prendere tre numeri dello stesso modello (36-37-38 ad esempio) e trattenere soltanto la misura giusta. Male che vada, ti fai un giro in salotto, una foto effetto vamp, condividi su Facebook il tronchetto leopardato con cui non usciresti mai e lo rimandi indietro, senza intasare la scarpiera. Oppure lo tieni, visto che è lì. Poi ti fiondi sul sito a cercare qualcosa più portabile. Lavinia Biagiotti, figlia d’arte, autrice del manualetto «Pronto e indossato» (Mondadori) la chiamerebbe Fashion Therapy. O Shoes Therapy, chissà.



di Roselina Salemi
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03/06/2012 21:44

Tutti pazzi per la Regina

Dal cuscino commemorativo allo stampo per dolci. Dagli scacchi con i personaggi di Buckingham Palace al profumo più caro del mondo. Ecco una gallery con gli oggetti, le stranezze e le curiosità pensati per celebrare il Giubileo di Elisabetta II. La fantasia degli inglesi, in fatto di festeggiamenti reali, raggiunge davvero vette molto, molto divertenti.
di Simone Marchetti
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04/06/2012 20:15

Vezzo o mania tutte folgorate da un foulard
Sembrava fuori moda, un accessorio per signore-bene d’altri tempi. Un reperto degli anni ormai lontani di Audrey (Hepburn) di Grace (Kelly) di Jackie (Kennedy) o dell’imbronciata Brigitte Bardot. Invece il foulard, riesumato dal fondo dei cassetti, non è più ziesco, ma tremendamente cool, meglio se vintage, rubato alla mamma che lo portava intonato al tailleur e legato alla borsa.
Da quando Charlotte Casiraghi esibisce una lussuosa bandana nella pubblicità di Gucci Forever Now, da quando Kate Moss infila il foulard come una cintura nei passanti dei jeans o se lo arrotola al collo stile kefiah, da quando Lady Gaga ne fa un uso disinvolto come chador o fermaacconciatura e Jennifer Lopez lo lega dietro la nuca, le ragazze hanno smesso di s n o b b a rl o. Anzi, si chiedono come hanno potuto farne a meno. E sospirano per il fluttuante abito -foulard di Ferragamo portato in passerella da Bianca Balti. Fi o r i s co no sui blog i consigli su tutti gli usi possibili, con disegnini esplicativi per le negate. Ci sono istruzioni per legare il quadrato di stoffa in versione hippie o piratessa, per farne un top, una gonna, un vestitino, o un fiocco decorativo, come suggerisce Carolina Herrera.
Si discute sulle misure giuste: il mood Audrey o Grace richiede il carré 90x90, mentre da annodare al collo è più comodo il 70x70. Poi basta copiare Inès de la Fressange (procurarsi il libro La Parigina ) e ricordare con Nina Garcia ( The Black Book of Style ) che un foulard con i teschi firmato Philipp Plein attira l’attenzione sul più banale dei tubini nero.
Tutti i brand, dal lusso al low cost, sono stati folgorati dalla stessa ispirazione. Per le romantiche c’è il cappello con sciarpa di seta di Miu Miu, per le spiritose il turbante di Anna Sui a fiori stilizzati, per le fashioniste da spiaggia il costume di Fisico, per le sportive le sneakers di Soisire Solebleu, rivestite di foulard vintage, per le patite della Ferrari c’è il carré con i sospirati modelli di auto da acquistare sul sito ( i carré, non le Testarossa).
È mania. È un capriccio, una moda trasversale, per duchesse (Kate Middleton) attrici (Cameron Diaz si dichiara foulard addict) ex veline (Elena Barolo) modelle (Liz Hurley) e statiste. Anche il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ha trovato il suo, nel reparto souvenir della Reggia di Venaria.
Piace ai curiosi, frequentatori di outlet, la mostra itinerante «Giro del mondo in 80 foulard», più che in 80 giorni, con tre tappe, dal 4 al 24 giugno nei centri retail McArthurGlen (Castel Romano, Barberino, Serravalle Scrivia). Dall’Alaska al Cile, dalla Cina alla Tasmania, senza dimenticare l’Italia, i carré, degli anni ’40, ’50 e ’60 sono incorniciati come quadri e in molti casi lo meritano. Non è una sorpresa trovarne una collezione su Pinterest, il più femminile dei social network.
La spiegazione? Questo dettaglio moda è adorabile perché democratico (l’ha detto anche Jean Paul Gaultier). Non serve un mutuo. Sete e pezzi vintage si scovano nei mercatini: l’importante è il gusto, o si scivola sulla famosa «buccia di banana» (titolo anche del manuale di consigli moda appena pubblicato da Giusi Ferrè). Se il bellissimo Kachinas di Hermès, ispirato alle bambole portafortuna dei nativi americani Hopi è fuori portata (twill di seta estivo, 580 euro) non è vietato rubare a Kenzo l’idea del cappello, a Emilio Pucci quella della cintura, alla geniale e matta Vivienne Westwood quella del foulard-collana, con perline e catene. Sostituire con sciarpe i lacci delle espadrillas o il cinturino dell’orologio (l’ha fatto Moschino) è più difficile, ma si può provare. Certo, le zeppe-foulard di D&G, fiorite e squillanti ,restano difficili da imitare, come le rasoterra Shelight luccicanti di Swarovski. Ma basta poco (un paio di occhiali scuri e un bel foulard) per far rivivere lo stile Audrey, nascondere i capelli bisognosi di parrucchiere, e darsi un tono. Davvero, è l’uovo di Colombo.



di ROSELINA SALEMI
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11/06/2012 23:51

Da mezzo secolo con il Brasile ai piedi
Un tempo erano le uniche scarpe che i poveri delle favelas potevano permettersi. Oggi sono un «must-have» da sfoggiare nelle spiagge più chic del mondo. In mezzo c’è mezzo secolo: ebbene sì, le Havaianas compiono 50 anni, che racchiudono tutte le trasformazioni sociali, economiche e culturali che il Brasile ha vissuto e continua a vivere.
«Era un prodotto destinato alle persone più povere - spiega Mario Utschil, presidente di Alpargatas, la società che le produce-. Poi l’azienda ha deciso di riposizionare il marchio per venderlo in tutto il mondo e a tutte le fasce di mercato».
L’avventura comincia nel 1962. Le prime Havaianas fanno il verso alle Zori, le tipiche infradito giapponesi di stoffa nera con la suola fatta con la canna della pianta di riso: avevano la soletta bianca e l’infradito blu. Ma negli Anni 70 un errore tecnico trasforma una scarpa povera in una forma di pensiero. Un lotto viene prodotto per sbaglio in verde. L’errore dà avvio a una produzione multicolore, l’inizio del successo. Tanto che negli Anni 80 il governo brasiliano arriverà a catalogarle come «beni di necessità». I colori si moltiplicano, le esportazioni anche, vengono creati modelli speciali per celebrare la Coppa del Mondo e nel 2003 la consegna dei premi Oscar.
Nel 2004 il gioielliere Stern realizza addirittura un modello arricchito di diamanti. «Abbiamo iniziato con la creazione di un prodotto solido - continua Utsch - poi abbiamo aggiunto elementi emozionali, la passione per i colori, per il brand, per lo spirito brasiliano».
E il successo ha subito bussato alla porta. Nel solo 2011 Alpargatas ha realizzato 1,4 miliardi di dollari di ricavi e nel 2015 punta a raddoppiare il risultato, vendendo ancora di più sul mercato estero. Tra i Paesi nei quali l’azienda vuole crescere anche India, Cina e Pakistan, che già usano le flip-flop ma non quelle del marchio brasiliano.
Riuscirà il marketing a compiere il miracolo anche qui? Gli esperti di moda brasiliani pensano proprio di sì. Le Havaianas sono un simbolo del modo di vivere allegro e rilassato di città come Rio de Janeiro, in cui si entra e si esce dall’acqua in ogni momento.
E la conferma la si trova proprio in spiaggia. Da Copacabana a Ipanema è la scarpa più indossata. «Io non posso vivere senza di loro», spiega Janaina, 25 anni, che ha scelto il fucsia. «Sono comodissime e costano poco», le fa da contrappunto l’inglese Rosy in vacanza nel Paese del Samba.
Il costo delle Havaianas ha sicuramente inciso sul loro successo. Le più semplici partono da 7 euro, le più lussuose possono sfiorare i 130.
«Abbiamo capito - aggiunge il presidente Utsch - che l’Havaiana è un modo di vivere. Dalla spiaggia alla sera, con i modelli super chic». Basta fare un salto in una delle boutique più famose del gruppo, quella di San Paolo. Dalla vetrina sulla lussuosa via Oscar Freire, con vicini come Louis Vuitton e Giorgio Armani, dove decine di turisti ogni giorno non mancano di scattare la tipica foto dietro al marchio riprodotto a caratteri cubitali e coloratissimi, fino all’atmosfera che si respira entrando nel negozio, con i commessi trasformati in ciabattini. Prima si sceglie il modello, ce ne sono perfino alcuni realizzati in collaborazione con Missoni. Poi la decorazione per personalizzarlo, decorazione che viene realizzata al momento e su misura.
Dal design e dal colore brasiliano, insomma, alla conquista del pianeta. «Sbarcheremo ovunque - conclude Utsch- ma le nostre Havaianas saranno sempre e solo prodotte in Brasile». Perché il sole e il cuore dei brasiliani è forse il vero segreto di questo successo.



di PAOLO MANZO
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23/06/2012 07:46

Al Pitti sfila l'ottimismo "Il made in Italy seduce"
La buona notizia è che nel mondo ci sono un miliardo di nuovi clienti del Made in Italy, che vengono dai Paesi emergenti ma anche dalle Americhe. La cattiva notizia è che in Italia, negli ultimi quattro anni, 66 mila persone del settore hanno perso il lavoro. La buona notizia è che siamo ancora il Paese più competitivo al mondo nei tre comparti del tessile, dell’abbigliamento, e della filiera cuoio-pelletteria-calzature secondo uno studio della Fondazione Edison, presentato ieri all’inaugurazione di Pitti Immagine Uomo dall’economista Marco Fortis.
La cattiva notizia è che il sistema-Paese non è competitivo: energia troppo cara, burocrazia, inefficienze, infrastrutture obsolete. Insomma, è un po’ come avere un talento nelle mani e decidere di tagliarsele.
E nonostante questa tendenza autodistruttiva del sistema, le imprese della moda, come spiega Fortis, sono comunque competitive. Un quadro che disegna un’Italia che ce la fa nonostante le crisi, e che purtroppo spesso ce la fa solo bussando all’estero.
Tante le aziende che moltiplicano i loro fatturati oltre confine. Kiton, alta sartoria napoletana, ne è un esempio mantenendo però in Italia non solo lo stabilimento ma anche una scuola che sforna sarti e artigiani della moda. Continua la sua espansione anche Etiqueta Negra, brand di abbigliamento sportswear chic. Roberto Cucinelli, brand di super lusso nel cachemire, è ottimista: «Il peggio è passato e in tutto il mondo se parlano di moda, o anche di altre cose, sono sempre affascinati dai nostri prodotti. Qui a Pitti si respira un’aria di grandi progetti. E le persone che vengono dall’estero mi dicono che siamo un Paese credibile. Ci vuole positività».
Massimo Tassinari, a.d. di Dekker, storia di successo made in Tuscany, spiega che non esiste un solo antidoto alla crisi. Non basta puntare sui mercati Brics (Brasile, Russia, India e Cina): «Per quanto ci riguarda - spiega - io la competitività la misuro con la forbice immagine-prezzo. Aumentare la prima e diminuire il secondo».
Francesco Moreschi, che si occupa del marketing e della comunicazione dell’azienda di famiglia, racconta che dei 400 dipendenti dell’azienda a Vigevano, tutti della zona, nessuno è stato mandato a casa. E che in questi tempi di Cassandre economiche, nel 2012, la Moreschi è andata benissimo: «Come nel 2011, che ci ha visto crescere di un dieci per cento». In questo caso il successo viene dall’estero (80 per cento del fatturato).
Anche Edoardo Fassino, a.d. di P.T. (Pantaloni Torino) racconta il successo in tempi di crisi. Nel 2007 decidono di cambiare abbandonando il mass market per il lusso. Nasce il marchio e i fatturati volano dai 3 milioni e mezzo di euro di allora ai 21 milioni di oggi (60 per cento estero). Secondo l’imprenditore torinese «dai momenti di crisi possono venire cose buone. Si rimescolano le carte e se sei bravo emergi».
C’è poi che ce la fa anche a casa propria. Come Giuseppe Colombo, titolare della Gallo, azienda nata con le calze di lusso (oggi total look): «Nonostante la crisi cresciamo con il 90 per cento del nostro fatturato in Italia. Questi momenti, che sono difficili, possono essere superati bene. E in questo caso rinforzano. L’importante è essere portatori di idee».
Insomma l’Italia non va, ma le aziende della moda tirano. E c’è la speranza che riescano a trascinare il carrozzone verso la fine del tunnel.
A Pitti si respira ottimismo. Gaetano Marzotto, presidente di Pitti Immagine, prevede buone chance per l’export grazie al prezzo del petrolio che è sceso, e al cambio euro/dollaro migliorato.
Ottimismo anche dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, arrivato a Pitti in forma (fa un’ora di corsa ogni mattina) e con un vestito di alta moda firmato Stefano Ricci. Striglia i politici (quelli da rottamare): «Non c’è la consapevolezza dell’importanza, del valore economico e culturale che ha la moda. Anche perché consente all’indotto di salvarsi. Intorno alla moda c’è un pezzo della scommessa del sistema Paese. E oggi troppo spesso i politici, quando parlano di moda, dicono spregiativamente “quella roba li”».
E invece proprio da «quella roba lì» magari l’Italia riparte.



di MARIA CORBI
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