Quando la moda sfilava con gli impressionisti
A Parigi sarà la mostra dell’autunno ed è talmente attesa che, benché apra fra tre settimane, è stata presentata ieri. «L’Impressionisme et la mode», dal 25 settembre al Musée d’Orsay, poi in tournée al Met di New York e all’Art Institute di Chicago, si annuncia infatti come una di quelle grandi esposizioni «trasversali» in grado di compiacere molti e piacere a tutti.
In primo luogo, ovviamente, gli appassionati d’arte in generale e degli impressionisti in particolare, anche perché tornano a Parigi quadri celebri partiti dalla Francia da sempre, come «Madame Charpentier et ses enfants» (tre, compreso quello si direbbe più simpatico, cioè il cane) di Renoir, in arrivo da New York, «Nana» di Manet da Amburgo o «La loge» di Renoir dal Courtauld di Londra. Ma si divertiranno anche gli appassionati di moda, visto che ai quadri vengono affiancati i vestiti coevi. E qui si può subito segnalare il clamoroso «caso» di «Dans la serre» di Albert Bartholomé, perché esiste ancora e sarà esposto l’abito bianco e lilla che indossa la signora del ritratto, che è poi madame Bartholomé (dando ragione una volta di più, se ancora ne esistono, alle nonne di una volta, quelle che ammonivano: in questa casa non si butta via niente! Mai!).
Infine, la mostra, modaiola di nome e di fatto, anche perché ad allestirla è stato chiamato il più celebre regista d’opera del mondo, Robert Carsen, appaga il gossip postumo, visto che in posa per noi posteri ci sono molti soliti noti delle cronache mondane del favoloso Ottocento parigino.
Il punto, spiega Guy Cogeval, presidente del Museo d’Orsay, è che gli anni dal 1860 al 1880 sono quelli in cui Parigi inventa non solo l’arte impressionista ma anche la moda. O almeno in cui la moda, che è sempre esistita, diventa un fenomeno forse non di massa ma certamente nemmeno d’élite. È l’epoca in cui nascono le riviste specializzate (compresa «La dernière mode» diretta nientemeno che da Mallarmé, ma purtroppo effimera), i grandi magazzini, la réclame. Per la prima volta, l’interesse per come ci si veste è un fenomeno collettivo.
Certo, gli impressionisti non hanno la precisione millimetrica e un filo pedante degli accademici coevi, che ritraevano implacabili fino all’ultima frappa della crinolina di madame o la più piccola medaglia sul petto del maresciallo. Ma se, come notava appunto Mallarmé a proposito di Manet, figure e vestiti «perdono un po’ della loro sostanza e della loro solidità» o, come dicevano i Goncourt, «sono trasfigurati dalla magia delle ombre e delle luci», però i gesti, le pose, il gioco delle stoffe sui corpi fanno sì che, alla fine, questi francesi dell’Ottocento ci sembrino più veri e presenti di molti di quelli attuali. Prendete Renoir ritratto da Bazille in una posa assolutamente insolita e scandalosa, accovacciato con i piedi sul bordo della sedia.
Carsen ha immaginato l’esposizione come una sfilata: «A parte madame Bartholomé, sarebbe stato banale affiancare i quadri ai vestiti. Ho preferito procedere per temi». Ecco allora il capitolo sul «deshabillé», con Nana in sottoveste guardata, da destra, da un signore col cilindro abbastanza attempato ma probabilmente assai ricco (segue cena elegante?). Oppure la sezione «Voir et être vu», vedere ed essere visti, con la coppia giovane e brillante di Renoir in un palchetto di teatro: probabilmente gli Italiens, il più chic, alla peggio l’Opéra, quasi certamente non l’Opéra-Comique, così terribilmente qualunque...
Le signore sono colte nell’epocale passaggio dalla crinolina alla «tournure». Dai depositi del Museo Galliera e delle Arts Décoratifs escono abiti incredibili, restaurati per l’occasione grazie allo sponsor Lvmh, ma anche tutta la panoplia degli indispensabili accessori: corsetti e ombrellini, scarpine e ventagli. Tutti scelti ovviamente Chez la modiste, in questo caso di Degas. Con risultati di grande chic e indiscutibile seduzione come nella «Parisienne» tutta in nero di Manet, e speriamo che qualcuno si ricordi di far sentire i couplets che alla parigina dedicò, appunto nella «Vie parisienne», il grande Jacques Offenbach.
Però, per una volta, in una sorta di par condicio alla rovescia, non sono stati dimenticati i signori. Se il loro look è assai più uniforme, già allora la vanità non era solo femminile. Guardare per credere «Le cercle de la rue Royale» del non impressionista (e infatti precisissimo) Tissot, con dodici incredibili soci dell’omonimo club, ancora più esclusivo del Jockey, affacciati alla terrazza della sede, l’attuale Hôtel Crillon di place de la Concorde.
Nella dozzina di dandy che esibiscono i loro molti titoli di nobiltà e i pantaloni meglio stirati della storia dell’arte, attenzione all’ultimo a destra. È Charles Haas, frequentatore dell’atélier di Degas, amico di Robert de Montesquiou, amante di Sarah Bernhardt e soprattutto «ritratto» da Proust come Charles Swann della Recherche. Più chic di così...
di ALBERTO MATTIOLI
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