l’Italia e ciò che ci ha fottuto.
Silvio Berlusconi, The Economist, The Man Who Screwed An Entire Country
L’Economist, l’Italia di Berlusconi e ciò che ci ha fottuto.
In
Economia su
giugno 9, 2011 a
10:00 pm
Nel lungo rapporto dell’Economist sull’Italia di Silvio Berlusconi intitolato «L’uomo che ha fottuto un intero Paese», non mi aspettavo di trovare, tra le conclusioni, questo argomento:
«Attribuire [a Berlusconi] troppe lodi o colpe per lo Stato in cui versa oggi l’Italia significa esagerare il potere di un uomo, perfino quello di un miliardario che ha usato i suoi soldi per creare il suo partito politico, raggiungere la carica elettiva più alta del Paese e poi usarla per preservare i propri interessi. Se l’Italia è un paziente con alcune precise lamentele, Berlusconi è più il sintomo che la causa».
Se davvero questa è la valutazione complessiva del settimanale, più corretto (o meglio, ugualmente scorretto) sarebbe stato titolare «Un intero Paese che ha fottuto se stesso». A meno che non si pensi che a uccidere siano i sintomi. E che per salvarsi, basti rimuovere questi ultimi, e non ciò che li scatena.
Invece si legge che «soltanto Zimbabwe e Haiti hanno avuto un Pil più basso dell’Italia nella decade fino al 2010». Che il debito pubblico è al 120% del Pil. Che le tasse sono al 45,6% – ma per chi le paga, sono anche più alte. E ancora: che la giustizia non funziona, la scuola non è meritocratica, i giovani non hanno lavoro, le Caste restano tali e delle liberalizzazioni promesse non si è vista l’ombra.
Insomma, una lunga sequela di sintomi (e nemmeno particolarmente sconosciuti, anzi). E la malattia? Perché non cresciamo? Perché non si riesce ad ammodernare il Paese? L’Economist cerca di tenere insieme i due piani: da un lato l’incapacità di Berlusconi, troppo impegnato a fare i propri interessi per curarsi davvero del Paese e dunque sempre più unfit to lead Italy; dall’altro i nostri difetti endemici. Lo scarso rispetto della legge, l’egoismo, la furbizia. Che perpetuano evasione fiscale e corruzione, ammazzano la meritocrazia e i tentativi di riforma.
Perché Berlusconi ha indubbiamente fallito, a partire dal fisco e dalla giustizia. Ma, parafrasando l’Economist, non è stato soltanto lui a fotterci:
«l’Italia è una foresta selvaggia di piccoli privilegi, rendite e chiusure. Ciascuna ha il suo gruppo di pressione; insieme cospirano per rendere le riforme pressocché impossibili».
Quanto alla giustizia, «riformare le corti è impossibile», scrive il settimanale, «perché le ragioni di tutti sono discutibili». Anche quelle degli ex magistrati che fanno politica, come Antonio Di Pietro. «I giudici», infatti, «perfino quando hanno combattuto la corruzione politica, non dovrebbero diventare politici».
Lungi da me dunque mettere in discussione la bontà dei tre motivi principali che spingono l’Economist a bocciare sonoramente la vicenda politica del Cavaliere. Ossia il giudizio dal punto di vista istituzionale (prima che giudiziario) sul Rubygate; l’essere Silvio sfuggito alla legge cambiandola a suo uso e consumo; e soprattutto la sua radicale incapacità (che diventa «disinteresse») a comprendere e migliorare la situazione economica del Paese. Tuttavia forse, questa volta, i titolisti hanno voluto calcare un po’ la mano, anche a costo della fedeltà al messaggio, ben consci dell’effetto che avrebbe avuto. E questo, caro Economist, ti rende tanto, troppo simile a ciò che ci ha fottuto.
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Lo speciale dell’Economist:
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.