La difficile arte dell'uscita di scena dignitosa
Chi per molti anni si è abituato ad essere un capo assoluto, un tiranno (termine di per sè non necessariamente negativo), si assuefa talmente alla vertigine del potere da non riuscire più fare a meno dell'inebriante estasi dei riflettori e del palcoscenico.
D'altronde la saggezza popolare ha sempre saputo che "comandare è meglio che fottere", niente dà piacere piu intenso di comandare, niente gonfia l'orgoglio come vedere persone inchinarsi ed obbedire, e più l'ordine è insulso ed assurdo, più forte è il gusto nel vedere i sudditi genuflettersi.
Questo rende molto difficile rendersi conto di quando sarebbe opportuno uscire di scena: rinunciare volontariamente ad essere al centro dell'attenzione, permettere ad esseri che si giudicano inferiori di usurpare il trono ben difficilmente è una opzione presa in considerazione.
E schiavi di questa assuefazione spesso i tiranni cadono ignominiosamente, sdegnado un più semplice ed umano rientro nell'ombra.
Alcuni sono riusciti a completare la loro esistenza terrena ancora al potere, senza neanche mai dover prendere in considerazione una uscita di scena: Stalin, Tito, Franco, Mao, e tra poco Castro.
Ma per tanti altri l'uscita di scena è stata addirittura tragica, da Cesare a Ceausescu, fino alla recente morte di Gheddafi.
Per non parlare di Hitler e Mussolini, la cui fine tragica è stata se non altro consolata dalla presenza fedele fino all'ultimo delle donne che li hanno amati (non le mogli!).
Ma abbiamo avuto anche uscite di scena ridicole e infamanti, come Bokassa e Marcos, ed uscite di scena eroicamente tragiche, come Allende.
Ma forse il tramonto del nostro è meglio descritto dal racconto di Buzzati del '58,
Il tiranno malato.
Il mastino Tronk era il cane-boss della zona, che teneva a bada i cani più feroci e delinquenti solo con il suo sguardo. Un giorno il volpino Leo capisce che il mastino non è forte come il solito e si avventa su di lui, seguito da un bastardo e dal cane-lupo Panzer. Quasi lo ammazzano, ma la verità è che il cane sta morendo non per le botte, bensì per una malattia che lo sta uccidendo. E quello che più lo ferisce non sono i morsi, ma il senso di disonore di vedersi assalito da quelli che una volta tremavano al solo vederlo.
O ancora l'uscita di scena di Calvero, il protagonista di
Luci della ribalta di Chaplin.
Il vecchio guitto non fa più ridere, il cerone non basta più a coprire le rughe. Sotto, la maschera un uomo finito, ma almeno lui ha l'affetto di una donna, e solo per lei si esibisce nell'ultimo, tragico ed esilarante spettacolo, prima della fine.
Chissà se il nostro avrà la consolazione di una compagnia femminile non prezzolata.
[Modificato da fabius039 08/11/2011 01:07]