Fonte
Piaceva a pochi, Carlo Petrini.
Non piaceva sicuramente a chi vuole crogiolarsi nell'illusione che tutto va per il meglio nel campionato più bello del mondo, anzi, nel migliore dei campionati possibili.
Non piaceva a chi si bea ripetendo che certi risultati di fine stagione o certe strani movimenti in campo sono solo frutto del caso, o che gli arbitri sbagliano sempre in buona fede, o che se qualcuno viene scoperto positivo all'antidoping è solo una mela marcia cresciuta su un albero sano o che certi eventi sono solo frutto del destino cinico e baro...
Piaceva ai suoi compagni di squadra, ai suoi allenatori e dirigenti finché ha fatto parte del circo, truccando partite, incassando gli introiti delle scommesse e organizzando orge.
Non è più piaciuto quando si è messo a parlare e a scrivere dei suoi quasi vent'anni di carriera professionistica accusando in primo luogo se stesso: in ogni pagina del suo primo libro,
Nel fango del dio pallone, ha dichiarato di essere stato un essere spregevole, un falso e spergiuro.
Un uomo che non ha avuto il coraggio di rientrare in Italia, dove era ricercato per bancarotta, per star vicino a suo figlio gravemente malato e poi deceduto.
Una vergogna abissale, da cui si è parzialmente redento indagando sulla morte oscura di un altro ragazzo, il centrocampista del Cosenza Donato Denis Bergamini (cfr il libro
Il calciatore suicidato) e contribuendo a far riaprire, alcuni mesi fa, il caso sul suo presunto suicidio da parte della magistratura
Pochi giornalisti l'hanno preso sul serio: Xavier Jacobelli, Oliviero Beha, Alessandro Gilioli, i soliti noti.
Gli altri, quelli sempre a braccetto del potere, i paladini dell'insabbiamento della stirpe dei Cucci,lo hanno ignorato o bollato come mitomane.
Vorrei ricordarlo citando le ultime frasi di
Nel fango del dio pallone:
Poi mi si aprì sul naso un'escrescenza di carne viva larga come una moneta da cento lire.
Era un tumore, dovevo operarmi subito, ma non c'erano più soldi, occorrevano 3 milioni di lire.
Così feci un'altra delle cose per le quali proverò vergogna fino al mio ultimo giorno di vita: chiesi aiuto ai "vecchi amici" del calcio, avevo bisogno di 3 milioni.
Scrissi a Giovanni Trapattoni (mio ex compagno nel Milan e nel Varese e ora allenatore del Bayern Monaco) e a Riccardo Sogliano (dirigente del Bologna quando ci giocavo e ora nel Parma).
Telefonai a Giorgio Morini (allenatore in terza del Milan) e a Ariedo Braida (mio compagno nel Varese e ora dirigente del Milan). Mandai una raccomandata al direttore generale della Juve, il mio compaesano Luciano Moggi.
Nessuno rispose.
L'ospedale accettò un pagamento a rate, mi operarono, il mio tumore al naso era benigno
Per la cronaca i fatti risalgono al 1996, quattro anni
prima che Petrini vedesse pubblicato il suo primo libro.
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