Terraforming

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texdionis
00domenica 6 marzo 2005 21:34
Sempre più precise e dettagliate, le immagini trasmesse dalle sonde spaziali rendono più familiari i pianeti del sistema solare. Dopo la Luna, Marte si trova a portata di razzo e sembra così vicino alla Terra da autorizzare tutti i progetti: trasformarlo in colonia scientifica, installarvi basi militari o industrie minerarie e persino... renderlo abitabile.

Roland Lehoucq LE MONDE diplomatique (dicembre 2004)




Tutti i grandi progetti di colonizzazione dello spazio o dei pianeti del sistema solare si scontrano con un inevitabile problema tecnico. Mantenere nel tempo condizioni favorevoli alla vita umana al di fuori dalla Terra impone la creazione di una versione in miniatura di un ecosistema terrestre capace di evolvere e riprodursi malgrado le condizioni esterne. L'assenza di atmosfera, di acqua e di vegetazione, una temperatura esterna troppo bassa o troppo elevata, un flusso di raggi ultravioletti e X troppo intenso o una radioattività troppo forte sono altrettanti ostacoli allo sviluppo di una colonia umana esterna alla Terra - che sia sulla Luna, su Marte o nelle gigantesche stazioni che fluttuano nello spazio.

Per una futura colonia planetaria, esiste una soluzione ambiziosa: trasformare le condizioni prevalenti della superficie del pianeta per renderle compatibili con la vita umana. Questa colossale operazione di ingegneria planetaria ha un nome: terraformazione.
continua...[SM=x44461]


texdionis
00lunedì 7 marzo 2005 00:36
Tutti i grandi progetti di colonizzazione dello spazio o dei pianeti del sistema solare si scontrano con un inevitabile problema tecnico. Mantenere nel tempo condizioni favorevoli alla vita umana al di fuori dalla Terra impone la creazione di una versione in miniatura di un ecosistema terrestre capace di evolvere e riprodursi malgrado le condizioni esterne. L'assenza di atmosfera, di acqua e di vegetazione, una temperatura esterna troppo bassa o troppo elevata, un flusso di raggi ultravioletti e X troppo intenso o una radioattività troppo forte sono altrettanti ostacoli allo sviluppo di una colonia umana esterna alla Terra - che sia sulla Luna, su Marte o nelle gigantesche stazioni che fluttuano nello spazio.

Per una futura colonia planetaria, esiste una soluzione ambiziosa: trasformare le condizioni prevalenti della superficie del pianeta per renderle compatibili con la vita umana. Questa colossale operazione di ingegneria planetaria ha un nome: terraformazione.




L'idea che si possano volontariamente modificare le condizioni della superficie di Marte si trova, già nel 1917, nel romanzo di Edgar Rice Burroughs, A Princess of Mars (John Carter di Marte, Ed. Nord), il primo di una serie di undici romanzi nei quali una «fabbrica» di atmosfera rende abitabile il pianeta rosso. La stessa idea si ritrova nello scrittore inglese Olaf Stapledon (1886-1950). Il suo romanzo Last and First Men, pubblicato nel 1930, è un monumentale affresco del futuro dell'umanità nei prossimi due miliardi di anni. In questo caso è l'atmosfera di Nettuno che viene resa respirabile grazie a piante geneticamente modificate che assorbono i gas nocivi e liberano ossigeno.




In quanto al termine «terraformazione», vi è accordo nel riconoscerne la paternità a Jack Williamson, uno scrittore americano autore di libri di fantascienza, che ha introdotto la parola «terraforming» in Seetee Ship (trad. it. Il millennio dell'antimateria ed. Nord, 1991), un romanzo pubblicato nel 1951. Terraformazione (1) è il vocabolo con cui Williamson indica l'insieme delle operazioni necessarie per rendere un pianeta compatibile con la specie umana. Da allora, questo tema viene trattato sempre più spesso dagli autori di fantascienza.




Nel 1952, Arthur C. Clarke pubblica Le sabbie di Marte (in Italia, primo romanzo di Urania, Mondadori), nel quale propone di riscaldare il pianeta scatenando la combustione della luna Phobos, tramite una reazione nucleare. In Dune, il miglior romanzo di Frank Herbert (1965) (pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer), i fremen, aiutati dal planetologo imperiale Liet Kynes, progettano di rendere fertili gli immensi deserti del loro pianeta, Arrakis. Ma l'opera di riferimento sull'argomento resta la trilogia di Kim Stanley Robinson (Red Mars, Green Mars e Blue Mars, 1993-1996, di cui trad. in it. solo Il rosso di Marte, Mondadori, 1995), dove l'autore narra la trasformazione di Marte in pianeta abitabile e ne descrive le conseguenze umane, sociali e politiche...


[Modificato da texdionis 07/03/2005 0.37]

Peppinox
00lunedì 7 marzo 2005 09:36

Anche i libri di Lois Bujold McMaster, quelli di fantascienza e non fantasy, sono basati proprio sul Terraforming, soprattutto Komarr.
texdionis
00lunedì 7 marzo 2005 14:11
Re:

Scritto da: Peppinox 07/03/2005 9.36

Anche i libri di Lois Bujold McMaster, quelli di fantascienza e non fantasy, sono basati proprio sul Terraforming, soprattutto Komarr.



allora dovrò mettermi a cercarli,perchè l'argomento mi affascina molto [SM=x44462] [SM=x44515]
texdionis
00lunedì 7 marzo 2005 14:12
La terraformazione però non eccita solo l'immaginazione degli autori di fantascienza, interessa anche gli scienziati. Il primo ad essersi occupato dell'argomento è stato addirittura il celebre astrofisico americano Carl Sagan. Nel 1961, egli propone un meccanismo per rendere più clementi le condizioni atmosferiche del pianeta Venere, il quale, oltre ad avere già una sua atmosfera, ha dimensioni simili a quelle della Terra. Sulla sua superficie, però, regna un vero e proprio inferno: la temperatura raggiunge 480 °C e la pressione atmosferica è 92 volte più elevata di quella della Terra. Le sonde sovietiche Venera, che vi si sono posate tra il 1975 e il 1982, ne sono la prova: in quelle condizioni estreme hanno funzionato solo poche decine di minuti!

A seguito di questo primo lavoro di Carl Sagan, la terraformazione è stata studiata con maggior interesse e uno dei ricercatori più attivi è Christopher McKay, dell'Ames Research Center della Nasa, in California (2).

Il processo è lento. Fa passare il pianeta interessato attraverso diversi stadi di abitabilità. Per fortuna, ci sono varie correzioni ambientali che possono facilitare l'insediamento umano, ben prima che la terraformazione sia completata. Per esempio, un'atmosfera più densa, meno irrespirabile, fornirà un ottimo scudo contro le particelle cosmiche e le radiazioni di alta energia, renderà più facile mettere in orbita vascelli terrestri con sistemi aerei di frenata, permetterà di utilizzare veicoli volanti, di costruire insediamenti non pressurizzati o di passeggiare sulla superficie senza scafandro, grazie ad una semplice maschera a ossigeno...

texdionis
00lunedì 7 marzo 2005 18:26
La prima tappa di una terraformazione riuscita passa per quello che il biologo canadese Robert Haynes chiama «ecopoiesi». Si tratta di trasformare un pianeta sterile in un luogo capace di accogliere la vita e di sostenere un ecosistema completo. Si potrebbe ingenuamente immaginare che basti diffondere sul pianeta interessato una buona quantità di batteri accuratamente selezionati o geneticamente modificati.

Non è così semplice. Consideriamo il caso di Marte. La temperatura della sua superficie varia notevolmente durante la giornata, da -140 °C a +20 °C, con una media ben al di sotto dello zero. L'atmosfera ha una pressione molto bassa e non vi è alcuno strato di ozono per filtrare i raggi ultravioletti del Sole. Affinché i batteri terrestri, anche quelli più resistenti, possano sopravvivere, bisogna realizzare le seguenti modifiche: ¥ aumentare la temperatura di superficie di almeno 60 °C; aumentare la pressione atmosferica; ¥ fare in modo che l'acqua liquida possa scorrere sulla superficie; ¥ ridurre drasticamente i flussi di radiazione ultravioletta e di particelle cosmiche che colpiscono la crosta del pianeta.


Terraformare il sistema solare: se è facile redigere la lista dei cambiamenti, realizzarli concretamente sembra più difficile. Due fenomeni permettono di ridurre le difficoltà...


Asgeir Mickelson
00lunedì 7 marzo 2005 23:26
Interessante! [SM=x44462]
texdionis
00martedì 8 marzo 2005 00:22
Primo, i mutamenti sono strettamente intrecciati: modificare una condizione ne può correggere un'altra nella direzione desiderata. Così, l'aumento della pressione atmosferica migliora la protezione della superficie contro le radiazioni e crea contemporaneamente un effetto serra che aumenta la temperatura. Secondo, il sistema è dotato di una «retroazione positiva». Dietro questo termine tecnico si nasconde un circolo virtuoso per la nostra impresa: il miglioramento della situazione crea condizioni favorevoli a una nuova trasformazione positiva. Ad esempio, non sarà necessario importare gas su Marte per rendere più densa la sua atmosfera, né costruire enormi radiatori per riscaldarlo.

Un forte impulso iniziale dovrebbe permettere di avviare un'evoluzione spontanea delle condizioni del pianeta verso un regime di alte temperature - che si spera stabile. La cosa assomiglia maledettamente a ciò che l'umanità sta già facendo sulla Terra, ma con non auspicabili conseguenze.


Sembra ormai certo, grazie all'osservazione di molti rilievi del terreno, che sostanze liquide, acqua in particolare, abbiano percorso un tempo la superficie di Marte. Si ritiene anche che un'atmosfera densa, molto probabilmente formata per lo più da biossido di carbonio (CO2), abbia ricoperto il suolo. Gli scenari di ecopoiesi in questo caso si basano sull'idea che sia possibile ricreare il vecchio habitat. L'ipotesi forte è che una grande quantità di CO2 sia ancora presente nel pianeta e che sia disponibile in forma facilmente estraibile, imprigionata in «serbatoi» di superficie. Liberandola, si giocherebbe su due tavoli. Come prima cosa si determinerebbe un aumento della pressione atmosferica, con conseguente formazione di un embrione di atmosfera. Poi, visto che il CO2 - che intrappola gli infrarossi - è un gas a effetto serra, ne deriva che più l'atmosfera ne contiene più si riscalda, e la macchina termica s'imballa. Una temperatura elevata favorisce la liberazione del gas per sublimazione (passaggio diretto dallo stato solido allo stato gassoso) dal ghiaccio delle calotte polari o per degassamento dal suolo marziano, il regolite. Questa produzione supplementare aumenta la pressione e la temperatura atmosferica, di conseguenza si libera una maggiore quantità di biossido di carbonio, il che a sua volta fa innalzare pressione e temperatura, e così via...

texdionis
00martedì 8 marzo 2005 12:28
È bene sottolineare che lo sfruttamento delle calotte polari o del regolite per liberare il biossido di carbonio non è un'utopia. Nel corso di un anno marziano ( pari a circa 2 dei nostri), la pressione atmosferica può aumentare del 20% quando, in primavera, la calotta polare sublima per effetto delle radiazioni solari. Ugualmente, la pressione atmosferica diminuisce in inverno, quando il biossido di carbonio gassoso si condensa passando allo stato solido.
È anche vero, però, che abbiamo solo un'idea approssimativa di quanto gas sia intrappolato nelle calotte polari e nel regolite. Secondo alcune stime, le prime conterrebbero abbastanza CO2 da moltiplicare l'attuale pressione atmosferica per 10 o per 20. Le riserve di regolite consentirebbero di guadagnare ancora un fattore 4 o 5, il che permetterebbe di raggiungere una pressione finale vicina alla metà della pressione atmosferica terrestre.



Resta comunque il timore di qualche delusione, visto che lo spettrometro Omega della sonda europea Mars Express ha recentemente scoperto, precisamente nel gennaio 2004, che, contrariamente a quanto si credeva, la calotta polare è per lo più composta da ghiaccio di acqua. È anche possibile che il biossido di carbonio sia presente sotto forma di carbonati, come sulla Terra. Sul nostro pianeta il biossido di carbonio, imprigionato nel carbonati marini, torna nell'atmosfera grazie all'attività vulcanica, dopo aver fatto una piccola deviazione nelle viscere della Terra. Su Marte, per vaporizzare i carbonati si dovrebbero utilizzare mezzi particolarmente brutali: esplosioni nucleari, impatti di asteroidi, tiri di laser. Cominciare a bombardare un pianeta per prenderne possesso sarebbe certo un comportamento tipico della nostra specie, ma questa evidente mancanza di finezza potrebbe non suscitare entusiasmo...
texdionis
00martedì 8 marzo 2005 21:39
Come procedere? Uno studio di Christopher McKay e Robert Zubrin dimostra che basterebbe un aumento di 4° C della temperatura della calotta polare per scatenare il processo, l'amplificazione naturale permetterebbe di ridurre il tempo, l'energia e i mezzi tecnici necessari per modificare le condizioni climatiche marziane. Per ottenere questo risultato, gli autori propongono semplicemente di riscaldare la calotta polare con un immenso specchio spaziale che focalizzi la luce del Sole. Dovrà essere grande (un buon centinaio di chilometri di raggio), leggero e abilmente collocato, in modo che la gravità marziana compensi la pressione, debole, ma non nulla, esercitata dalla luce solare sulla sua superficie: lo specchio dovrà inoltre mantenere una posizione stazionaria rispetto alla zona da illuminare. In pratica dovrebbe essere una versione gigante dello specchio orbitale russo Znamya, posizionato nel febbraio 1999 e costituito da una vela di Mylar di 5 millesimi di millimetro di spessore e di 25 metri di diametro.

C'è un'altra soluzione per aumentare la temperatura di una calotta polare: cospargerla di una sostanza nera, tipo polvere di carbone, che, assorbendo più efficacemente la luce solare, determina un aumento della temperatura. Secondo uno studio della Nasa, la tecnica di annerimento permetterebbe di fare fondere le calotte in poco più di un secolo. Vi è però un inconveniente: il vento marziano, benché molto debole, potrebbe interferire con lo spargimento o portar via lo strato nero già collocato.


Per quanto riguarda il regolite, il problema è più complesso perché il biossido di carbonio, fissato sulla superficie dei minerali, è più difficile da liberare. In questo caso, l'aumento della temperatura dovrebbe interessare un grosso spessore del regolite (200 metri), e non solo lo strato superficiale. Per aggirare l'ostacolo, si può prevedere di introdurre nell'atmosfera dei gas a effetto serra più efficaci del biossido di carbonio...

texdionis
00mercoledì 9 marzo 2005 00:35
Grandi fabbriche, del tipo dei «processori atmosferici» che James Cameron ci mostra nel suo film Aliens (1986), potrebbero produrre decine di miliardi di tonnellate di clorofluorocarbonio (Cfc), le cui molecole offrono un contributo all'effetto serra diecimila volte più efficace di quello del biossido di carbonio. Sulla Terra, i Cfc liberati dall'attività industriale hanno svolto un ruolo non trascurabile nel riscaldamento climatico e nella formazione del buco nello strato di ozono. Un problema che non si porrà su Marte... solo perché non esiste uno strato di ozono.



Una volta che le condizioni del pianeta Marte saranno un po' migliorate, si potrà pensare di introdurvi alcuni microrganismi. Se questi esseri viventi sono capaci di produrre ammoniaca e metano, ottimi gas a effetto serra, potranno anche partecipare al riscaldamento del pianeta.

Tuttavia, esso sarà ancora ben lontano dall'essere un paradiso. I microrganismi selezionati dovranno essere campioni di sopravvivenza in ambienti estremi. Simulazioni in laboratorio hanno già dimostrato che alcune specie di batteri produttori di metano possono adattarsi ad una pressione atmosferica ridotta e trovare sul suolo marziano il nutrimento necessario alla propria sopravvivenza. Potremmo anche trarre vantaggio dalle notevoli capacità di resistenza dei batteri Deinococcus radiodurans (che possono sopravvivere a dosi molto elevate di radiazioni ionizzanti) o Matteia (capaci di sopravvivere senza acqua).
Una volta resa più densa l'atmosfera di Marte, sarà possibile che in alcuni luoghi la temperatura si alzi abbastanza da permettere all'acqua liquida di scorrere nuovamente in superficie. L'aria sarà sempre irrespirabile, ma microrganismi o licheni potranno sopravvivere.

Un essere umano potrà camminare senza tuta pressurizzata - anche se dovrà comunque proteggersi contro il freddo e indossare una maschera a ossigeno. Mentre il riscaldamento e la condensazione dell'atmosfera possono essere effettuati con mezzi straordinariamente modesti, la tappa successiva è più lunga: si tratta di riattivare l'idrosfera per ritrovare quel ciclo completo dell'acqua che il pianeta sembra aver conosciuto alcuni miliardi di anni fa. Le calotte polari sembrano essere le riserve più evidenti. Ma, secondo i dati raccolti dalla sonda americana Mars Odyssey , sarebbe presente in grande quantità, sotto forma di ghiaccio, anche nel sottosuolo del pianeta.

texdionis
00giovedì 10 marzo 2005 00:25
Infine, l'acqua potrebbe essere imprigionata in alcuni minerali del regolite. Se le riserve di Marte si rivelassero insufficienti, bisognerebbe risolversi ad importarla: catturare un nucleo di cometa o un gigantesco blocco di ghiaccio negli anelli di Saturno, per poi farlo precipitare sulla superficie del pianeta rosso, potrebbe essere una soluzione quantitativamente soddisfacente. Ancora un bombardamento, ma per una buona causa.

Si può supporre che in alcune zone il vapore acqueo liberato si condensi sotto forma di nuvole: per la prima volta da miliardi di anni la superficie di Marte sarà bagnata dalla pioggia. Si formeranno laghi, torrenti e fiumi; l'acqua serpeggerà di nuovo attraverso le terre rosse. Il fondovalle di Valles Marineris sarà inondato e nascerà un immenso fiume, di una larghezza fuori dal comune, che scorrerà tra vertiginose pareti a strapiombo. Le basse pianure dell'emisfero nord, oggi due chilometri al di sotto del livello medio della superficie, si trasformeranno in un oceano che circonderà il polo Nord...

texdionis
00giovedì 10 marzo 2005 14:17
Per aumentare la quantità di ossigeno dell'atmosfera e renderla respirabile, bisognerà servirsi dei cianobatteri, microrganismi che possono sopravvivere in condizioni estreme, e la cui attività di fotosintesi capta il biossido di carbonio e libera ossigeno. Sulla Terra, essi hanno regnato da dominatori per due miliardi di anni. Cianobatteri selezionati dovranno, in un primo tempo, portare la pressione parziale di ossigeno al valore soglia di 1 ettopascal affinché le piante possano svilupparsi liberamente. Piante che probabilmente dovranno essere modificate geneticamente sia per farle adattare alle difficili condizioni ambientali che per renderle migliori produttrici di ossigeno. Quando la pressione parziale supererà i 120 ettopascal, i primi coloni potranno permettersi brevi passeggiate senza le maschere a ossigeno.


La nostra descrizione a grandi linee di questo scenario termina però con una nota pessimistica rispetto alle possibilità di riuscita. Il pianeta rosso è afflitto, infatti, da due gravi handicap che potrebbero impedire qualsiasi tentativo di terraformarlo. Prima di tutto, essendo Marte un pianeta più piccolo e meno massiccio della Terra, la sua gravità è più debole. Così debole che si è rivelata incapace di impedire la fuga della maggior parte della sua primitiva atmosfera verso lo spazio. Se si ricrea artificialmente un'atmosfera marziana, è del tutto plausibile che i gas liberati o iniettati svaniscano nuovamente nello spazio interplanetario, vanificando tutti gli sforzi precedenti.
Il secondo problema nasce dal fatto che Marte non ha più un suo campo magnetico, perché il meccanismo che lo ha generato si è spento con il raffreddamento del cuore (anch'esso legato alle piccole dimensioni del pianeta). Sulla Terra, il campo magnetico forma una sorta di scudo che, insieme all'atmosfera, protegge la superficie dalle particelle ad alta energia di origine solare o cosmica. È assolutamente certo che non potremo mai riattivare il campo magnetico di Marte. Il pianeta non potrà contare su questo straordinario ombrello naturale, che protegge la superficie e limita l'evaporazione dell'atmosfera...[SM=x44468]
Asgeir Mickelson
00giovedì 10 marzo 2005 19:24
Una telenovela conclusa male! [SM=x44470]

E allora come si fa a colonizzare Marte?
texdionis
00giovedì 10 marzo 2005 21:47
Re:

Scritto da: Asgeir Mickelson 10/03/2005 19.24
Una telenovela conclusa male! [SM=x44470]

E allora come si fa a colonizzare Marte?



ricordi quella canzoncina antifascista?

" Fascistiiii su Marteeeee
pianeta bolscevico e traditorrrr....."

vedi che qualcuno riuscirà prima o poi a colonizzarlo [SM=x44456]
texdionis
00giovedì 10 marzo 2005 21:49
Conclusione
Terraformare Marte è un progetto grandioso, forse uno dei più straordinari mai immaginati dal cervello umano. Si potrebbe anche tacciarlo di assurdità o di arroganza. Nella sua famosa trilogia marziana, Kim Stanley Robinson descrive molto dettagliatamente un metodo credibile per cambiare il volto di Marte. Tenta anche di rispondere ad una domanda difficile: l'umanità deve terraformare il pianeta rosso? Due gruppi, con idee radicalmente diverse, si fronteggiano nel romanzo.
Per i Verdi, la terraformazione non è altro che la logica conseguenza della conquista dello spazio. Per i Rossi, Marte è un santuario geologico che racconta la storia del nostro sistema solare e come tale deve essere assolutamente protetto. Si tratta, al fondo, della contrapposizione tra un antropocentrismo che difende l'idea che l'umanità si debba diffondere in tutti i luoghi che può raggiungere, e un biocentrismo che riconosce il valore intrinseco della natura e cerca di preservarla a tutti i costi.

L'estensione al cosmo dell'etica ambientale che prevale sulla Terra apre incontestabilmente nuove prospettive ai dibattiti politici e filosofici: se terraformare è possibile, deve essere autorizzato? È accettabile modificare il volto di un pianeta?
Eppure, colonizzare Marte è forse inevitabile.

Dopo tutto, il nostro pianeta è fragile e isolato, un impatto d'asteroide può, in pochi istanti, cancellare l'umanità e la sua storia. Rendere Marte compatibile con la vita, vorrebbe dire in qualche modo migliorare le possibilità di sopravvivenza a lungo termine dell'umanità nel sistema solare e, più in generale, nella Galassia.

Una cosa è certa: la trasformazione di Marte è credibile e potrebbe essere avviata grazie alle tecnologie di questo XXI secolo appena iniziato - al prezzo, è vero, di alcuni approfondimenti teorici e di un notevole sforzo tecnico.
Al di là di un possibile ruolo in quell'obiettivo a lungo termine che è l'esplorazione dello spazio, lo studio della terraformazione (naturale o artificiale) resta anche un eccellente stimolo intellettuale, che favorisce interdisciplinarità, condivisione delle conoscenze e riflessione sull'azione di una umanità diventata «ingegnere planetario».


Perché se è possibile, forse anche facile, rendere Marte abitabile, è vero anche che è altrettanto facile destabilizzare e distruggere irrimediabilmente la biosfera terrestre.[SM=x44458]

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