«comma 23»: la storia segreta

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Etrusco
00mercoledì 6 luglio 2011 10:06
Lega chiama il Colle: "pronti a aprire Crisi" su norma «salva Fininvest»

la storia segreta del comma 23

Sospetti e veleni sul comma cancellato

Il colloquio Berlusconi-Tremonti, il ruolo degli avvocati: la storia segreta della norma

Il ministro Tremonti
Il ministro Tremonti
La verità sulla norma «salva Fininvest» non esiste, è un intrigo che si basa su alcuni indizi e moltissimi sospetti, rivela la durezza dello scontro tra il premier e il ministro dell'Economia.
La storia segreta del «comma 23» è l'ennesima sconfitta «ad personam» di Berlusconi
, offre la plastica rappresentazione di come i nodi politici, giudiziari e ora anche finanziari si sono intrecciati, trasformandosi in un cappio che rischia di asfissiare il Cavaliere. E non c'è dubbio che sia stato lui a mettere il collo in questa corda, è lui infatti che alla vigilia della sentenza sul Lodo Mondadori ha chiesto uno scudo giuridico da inserire nella manovra per evitare di pagare subito il conto a De Benedetti, nel caso fosse condannato in appello dal Tribunale di Milano.


È Berlusconi al centro della vicenda, ma in pochi nel governo possono realmente dire di non averne mai saputo nulla. Molti hanno solo girato la testa. In principio è l'avvocato Ghedini a spingere perché il premier ottenga dal ministero della Giustizia, dunque da Alfano, un rimedio tecnico al problema. Da un anno se ne discuteva nelle riunioni riservate a Palazzo Grazioli, per un anno la questione era stata accantonata. A tempo scaduto si cerca una soluzione d'emergenza, e sebbene il Guardasigilli si mostri titubante, viene individuato un «gancio legislativo» nella modifica di alcuni articoli del codice civile, con cui si mira a velocizzare i processi.
Non è vero però che la norma «salva Fininvest» viene inserita all'ultimo momento, «non è stata certo aggiunta di soppiatto», racconta un ministro: sta infatti nelle pieghe di questo capitolo della manovra, nell'articolo 37. E c'è un indizio che lo dimostra: il tema viene discusso alla riunione di martedì 28 giugno del pre-Consiglio, e già in quella sede i tecnici ravvisano problemi di costituzionalità. Già in quelle ore scatta l'allarme al Colle. Nel corso dei rituali contatti tra gli uffici legislativi di Palazzo Chigi e dei ministeri con il Quirinale, la presidenza della Repubblica anticipa la propria contrarietà a una simile norma: è un altolà preventivo, il preavviso di un possibile scontro.


E si capisce come mai il Guardasigilli ieri spiegava che non c'era nè ci poteva essere «alcun sotterfugio»: d'altronde non era pensabile che un provvedimento di tale portata sfuggisse allo staff di Napolitano. Se così stanno le cose, non si comprende perché il premier decida di insistere, e con quali garanzie. Regna ancora l'incertezza quando giovedì 30 giugno si arriva al Consiglio dei ministri convocato per la manovra. La riunione viene a un certo punto sospesa in modo da trovare un compromesso sulla norma per i tagli ai costi della politica. Trovata l'intesa, però, il Consiglio non riprende subito, perché nel salone di palazzo Chigi mancano all'appello Berlusconi e Tremonti.
Ricorda un ministro come «in quel momento tutti abbiamo avuto la netta percezione che qualcosa non andasse». Dopo mezz'ora i due rientrano nel salone di Palazzo Chigi. È a quel colloquio che viene fatta risalire l'intesa sulla norma «salva Fininvest». Un indizio, a cui si aggiunge un interrogativo che porta a verità contrastanti: il titolare dell'Economia ha solo accettato quell'articolato o - come sostengono i fedelissimi del Cavaliere - è stato lui a riscrivere il testo, inserendo quel tetto di 20 milioni che l'ha resa una evidente norma «ad aziendam»?


Una cosa è certa, Tremonti sapeva. Il resto sono accuse che Berlusconi gli rivolge contro, intingendo l'ira nel sospetto: «Chiedetevi chi ci guadagna da questo disastro», urlava ieri sera, puntando l'indice contro il padre di una manovra che «ci ha fatto perdere il gradimento del 65% del nostro elettorato»: «Se pensa di arrivare così a Palazzo Chigi può scordarselo».

Il premier - a proposito del provvedimento - sostiene di aver chiesto al superministro di «avvisare la Lega sui dettagli», come a dire che sulle linee generali i rappresentanti del Carroccio erano a conoscenza dell'operazione.
Ecco come si giunge alla stesura definitiva della manovra, ed è in questo passaggio che compare sulla scena Gianni Letta, fino ad ora rimasto formalmente ai margini della trattativa sulla «norma salva Fininvest». Ma è possibile che il braccio destro di Berlusconi, l'uomo che conosce tutti i risvolti del Lodo Mondadori, non sapesse della mossa disperata del Cavaliere? Anche se così fosse, è stato l'ultimo a leggere il testo della manovra prima di inviarla al Colle. E se è vero che ieri il sottosegretario alla Presidenza rimarcava come la vicenda fosse stata gestita «malissimo», dato che «non si presenta una simile norma senza averla concordata con il Quirinale», come mai non ha bloccato anzitempo il premier?

A Letta è toccato gestire l'ultima trattativa con Napolitano, quando ormai si trattava solo di recuperare i cocci. A Letta è toccato informare Berlusconi che per il capo dello Stato non c'era altra soluzione che ritirare la norma. A Letta è toccato sentire lo sfogo del Cavaliere, che si sente vittima del «banditismo politico-giudiziario» dei magistrati milanesi, che sente approssimarsi una «sentenza di condanna già scritta», e che - in un moto di sfida - ha commentato: «E se ora io non firmassi la manovra?».
La storia segreta del «comma 23» è l'ennesima sconfitta «ad personam» del premier, una sconfitta che ha molti padri ma alla fine un solo colpevole: Berlusconi.

Francesco Verderami
Fonte: Corriere della Sera - 06 luglio 2011 09:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA


Etrusco
00mercoledì 6 luglio 2011 10:07

Il retroscena

E la Lega chiamò il Colle: non ne sapevamo nulla. Pronti ad aprire la crisi

La rabbia di Maroni: «È una vicenda che ci imbarazza»

Maroni
Maroni
ROMA - Nella bozza di decreto consegnata al termine del Consiglio dei ministri e inviata all'ufficio legislativo del Viminale, l'articolo 37 non c'era. Ma soprattutto non c'era alcun altro articolo che contenesse la norma ormai ribattezzata «salva Fininvest», come hanno potuto verificare gli esperti giuridici incaricati da Roberto Maroni di controllare il testo. La stessa cosa si può dire per il dicastero delle Riforme guidato da Umberto Bossi e per quello alla Semplificazione di Roberto Calderoli.

Ed è proprio quando arriva la conferma dei «tecnici» su questa «mancanza» che l'ira dei leghisti esplode. Perché la scelta di Palazzo Chigi di inviare al Quirinale un provvedimento diverso da quello concordato durante la riunione dell'esecutivo di giovedì scorso viene vissuta come uno schiaffo, l'ennesimo, agli alleati. E dunque è bastato un rapido giro di consultazione telefonica tra i leader del Carroccio per decidere la linea: o la norma viene ritirata o si va a casa.


La decisione presa dai leghisti ieri di primo mattino è quella di fare quadrato contro l'iniziativa del premier, soprattutto tenendo conto che nessuno di loro era stato neanche preavvisato dell'intenzione di Silvio Berlusconi di inserire nella manovra economica quel codicillo che lo può mettere al riparo - almeno fino al giudizio della Corte di cassazione - dal pagamento del risarcimento danni alla Cir dell'ingegner Carlo De Benedetti. Si discute di tattica, ma anche di strategia. E si stabilisce di procedere senza prendere alcuna posizione pubblica, dunque evitando dichiarazioni.
Maroni vola a Zagabria per un bilaterale su traffico di droga, immigrazione e terrorismo, ma rimane costantemente in contatto con i colleghi di partito e in particolare con Bossi. Il «capo» dispone le mosse, ma preferisce restare in retrovia. È Calderoli a incaricarsi di tenere aperta la linea con il Colle per manifestare la contrarietà forte del Carroccio. Le indiscrezioni parlano di un suo colloquio con il capo dello Stato Giorgio Napolitano subito dopo il funerale solenne del militare italiano ucciso in Afghanistan per confermargli come la Lega sia stata tenuta all'oscuro fino alla fine. Una conversazione nella quale il presidente della Repubblica sarebbe stato informato della volontà di appoggiare la sua eventuale scelta di non firmare la norma, ma soprattutto della determinazione ad arrivare anche a una crisi di governo qualora Berlusconi avesse deciso di non fare marcia indietro.
«È una vicenda che ci imbarazza
- si sfoga Maroni con i suoi - perché è l'ennesima volta che ci troviamo di fronte a una legge che i cittadini non possono comprendere, ma soprattutto che noi non possiamo in alcun modo far passare». Parla di imbarazzo, ma si capisce che il suo stato d'animo è ben diverso. Perché gli impegni presi a Pontida con la «base» del Carroccio sono chiari e non si può rischiare di perdere ulteriore consenso. Ma anche perché i leghisti si sentono letteralmente «truffati», visto che nessun cenno a questo provvedimento è mai stato fatto durante le riunioni degli ultimi giorni, comprese quelle ufficiali.


Non a caso nelle telefonate del mattino, oltre a decidere la linea dura, si concorda sulla necessità di conoscere l'identità di chi abbia materialmente provveduto a scrivere il testo e soprattutto chi fosse stato informato. «Tremonti - insiste Maroni - deve per forza averlo saputo visto che è toccato a lui trasmettere il decreto al Quirinale. Come può aver dato il via libera? Non ha compreso quali conseguenze poteva avere? E Berlusconi, come poteva pensare di farla franca?».

La scelta del ministro dell'Economia di annullare all'ultimo momento la conferenza stampa per la presentazione della manovra fa ben comprendere il suo disappunto e questo ammorbidisce i leghisti nei suoi confronti. Ma ancora ieri sera appariva chiaro come la decisione del premier di annunciare il ritiro della norma, spiegata in una telefonata a Maroni, non sarà sufficiente a placare gli animi e a spegnere le tensioni che questo tentativo di colpo di mano dello stesso Berlusconi ha provocato nel governo e nella maggioranza.

Fiorenza Sarzanini
06 luglio 2011 07:28© RIPRODUZIONE RISERVATA

http://www.corriere.it/politica/11_luglio_06/lega-colle-lodo-crisi-sarzanini_48e7270c-a790-11e0-80dd-8681c9f51334.shtml
Etrusco
00mercoledì 6 luglio 2011 14:11
Lodo Mondadori, la rabbia leghista:
“Ma Berlusconi ci è o ci fa?”


Sembra che nessuno ne sappia niente, da Tremonti a Ghedini:
la norma sembra sia apparsa quasi da sola. Di sicuro non l’ha inserita qualcuno della Lega che da ieri non fa altro che attaccare Berlusconi: [..] dal partito di Bossi ieri è arrivato un vero e proprio attacco al premier: da Salvini a Tosi non sono certo mancati i commenti duri. È andato giù pensante l’europarlamentare che dal suo profilo Facebook si domanda “Ma Berlusconi ci è o ci fa?”, per poi aggiungere ” Forse è meglio che pensi solo al Milan”. Duro anche il commento del sindaco di Verona che in un’intervista a Repubblica ha espresso la convinzione che la cancellazione della norma non è servita a cancellare anche la figuraccia fatta dal governo: “Ritirare una norma che era stata messa lì di soppiatto e a nostra insaputa non attenua la pessima figura rimediata dal presidente del Consiglio. Non doveva presentarla, punto”.

Continua qui...
binariomorto
00venerdì 8 luglio 2011 00:39
Berlusconi: "Salva Fininvest, Tremonti sapeva"
Bossi replica: "Tutti all'oscuro, anche Giulio"

La cosiddetta "salva Fininvest" era "sacrosanta e equilibrata", afferma il premier. "Anche per Tremonti, che non l'ha sottoposta al voto in Cdm perché credeva fossero tutti d'accordo". "Potremmo ripresentarla dopo la sentenza su Fininvest: non sarebbe più considerata ad personam"

ROMA - Fininvest si salva anche senza la norma rimossa dalla manovra, che Tremonti considerava "sacrosanta". Così Silvio Berlusconi, intervenuto a Montecitorio alla conferenza stampa di presentazione del libro di Domenico Scilipoti. Secca replica di Umberto Bossi: della norma sul lodo Mondadori "non sapeva nessuno, nemmeno Tremonti".

La cosiddetta "salva Fininvest", il "comma 23" inserito e poi rimosso dal decreto sulla manovra, "non l'ho scritta io - tiene a precisare il premier -, mi sono astenuto da tutto. Della cosa si è discusso in Cdm. Il ministro Tremonti, che la considerava sacrosanta, non ha ritenuto di portarla al voto del Consiglio dei ministri. Era sicuro che tutti i membri del governo sarebbero stati d'accordo. Per esempio, Calderoli che mi ha detto che avrebbe voluto aiutarmi a scriverla meglio. Non c'è nessun giallo. Io e la Fininvest non abbiamo bisogno di nessuna norma per salvarci".

Berlusconi, inoltre, non considera affatto chiusa la partita. "Non c'è nulla - ha affermato - che ci impedisce di ripresentare" quella norma, "si può pensare di inserirla durante il percorso parlamentare". Osserva ancora il premier: "Su Fininvest ci sarà una sentenza prossimamente, a quel punto non si potrebbe più considerarla una norma ad personam".

Poi Berlusconi torna ad attaccare, duramente, l'opposizione. "Non si rassegna, e non riesce a giocare una partita all'interno delle regole democratiche, ma è pronta a usare ogni mezzo per ostacolare il governo, dalle manovre parlamentari alla strumentalizzazioni dei risultati dei referendum e delle elezioni amministrative".
"L'opposizione - ha aggiunto Berlusconi - strumentalizza la manovra, i referendum e le elezioni amministrative. Non esiste in nessun altro paese europeo che se si perdono le elezioni di medio termine si chiede di andare a votare. Non è accaduto alla Merkel e nemmeno a Zapatero nonostante la debacle".

Ma "la crescita non dipende da noi, non dipende dal Governo - si difende Berlusconi -. E' un'illusione statalista della sinistra. A far crescere l'economia sono le imprese e chi nelle imprese lavora, è lo spirito di sacrificio con cui i cittadini sono disposti alla revisione di un welfare obsoleto, che per garantire tutti non garantisce più nessuno". Berlusconi aggiunge che per la crescita bisogna anche fare in modo che il sistema della giustizia sia più veloce e la burocrazia più snella: "Tutte queste cose in parte dipendono anche da noi, e infatti stiamo lavorando con impegno, ma resto convinto del vecchio slogan 'meno stato più società".

Per questo, Berlusconi ha ribadito, "noi siamo al governo e resteremo fino alla fine della legislatura. Non consegneremo l'Italia a Bersani e Di Pietro nonostante i giornali, il fango e i fantomatici salotti dei poteri forti". "Penso che nessuno più di me sia stato oggetto di tanta violenza denigratoria - è l'accusa che il presidente del Consiglio muove all'opposizione -. Per noi l'avversario è un avversario e basta, lo contraddiciamo ma lo rispettiamo. Per loro un avversario è da distruggere e ridicolizzare con qualsiasi mezzo. E' un nemico persino da odiare. Quello sofferto da Mimmo (Scilipoti, ndr) è stato impressionante. Chi ha coraggio merito stima. Scilipoti è stato aggredito e offeso persino negli affetti più cari".

Bossi: "Salva Fininvest, nessuno sapeva". Tremonti sapeva della norma sul lodo Mondadori? "Non lo sapeva nessuno. Nemmeno Tremonti". Così il ministro delle Riforme, Umberto Bossi, ha risposto ai giornalisti lasciando Montecitorio. Sull'ipotesi che la norma salva Fininvest venga ripresentata in Parlamento, il Senatur ha detto: "Non so niente".

Il presidente del Consiglio in conferenza stampa ha affrontato altri temi dell'attualità politica, economica e giudiziaria. Ecco le sue risposte.

Manovra. "Completeremo la legislatura facendo le riforme necessarie per ridurre i costi della politica. Sono riforme che si possono fare senza allentare il controllo dei conti". Quanto alla manovra, il presidente del Consiglio ha ribadito che "il governo è assolutamente aperto a cambiamenti della manovra, purché non si tocchino i saldi".

"Libia, costretto all'intervento da Napolitano". "Ero e sono contrario" all'intervento bellico in Libia, ha spiegato ancora Berlusconi, "ma ho dovuto accettarlo non solo per la decisione dell'Onu, ma anche per un intervento preciso del capo dello Stato e per il voto di due commissioni alla Camera e al Senato. Sono stato costretto ad accettare". Comunque, ha detto il premier, l'intervento in Libia "non è attribuibile alla volontà degli americani. Credo che l'input più forte sia venuto da un governo europeo. Sono andato a Parigi, mi sarei affiancato alla signora Merkel...". Come finirà? "La conclusione nessuno la conosce - risponde Berlusconi -. Nell'ultimo Consiglio europeo Sarkozy e Cameron hanno detto che la guerra finirà quando a Tripoli ci sarà una rivolta dei ribelli contro Gheddafi".

Tasse: "Troppe incitano all'evasione". "La pressione fiscale è eccessiva, e questo comporta una giustificazione morale di chi evade" ha detto Berlusconi. Essendo il primo contribuente in
Italia, credo di non poter essere accusato di far le lodi di chi evade". Chi paga, ha spiegato il premier, ha la consapevolezza di pagare in cambio di servizi. Ma se fra queste due cose "non c'è proporzione si instaura nel cittadino una forma di giustificazione nel tentare di pagare meno imposte". Se invece, ha aggiunto, il cittadino "ha un giusto sentimento dei servizi" ci sono molti meno evasori. L'attenzione del governo è dunque "verso una pressione giusta che dovrebbe ridurre l'evasione".

P4 e Papa: "Sono garantista, aspetto". "Credo non ci sia ancora nulla, non conosco il caso concreto, aspetto di sentire cosa dirà la Giunta. Io sono naturalmente un garantista". Così, a margine della presentazione del libro di Domenico Scilipoti, il premier Silvio Berlusconi risponde ai cronisti che gli domandano un parere sull'inchiesta P4 e la posizione del deputato Pdl Alfonso Papa.

Fonte: Repubblica
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