BUONE NOTIZIE

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2, 3, 4
Arjuna
00martedì 13 aprile 2010 10:08
Giusto per ricordarci che il mondo non è solo brutto..
Arjuna
00martedì 13 aprile 2010 10:09
La musica del cuore

MASSIMO GRAMELLINI

L’agenzia di notizie Tiramisù, che attinge abitualmente alle lettere di «Specchio dei tempi», segnala la storia di un’anziana signora torinese, entrata nel salone de La Stampa per dettare il necrologio di una persona cara. Triste per l’incombenza affrontata, si avvia verso la porta, costeggiando gli scaffali dell’adiacente libreria. Vede due adolescenti, un maschio e una femmina, che sfogliano un libro da cui esce una musica lieve. Pensa che sarebbe un regalo perfetto per la nipotina e si avvicina allo scaffale dove i ragazzi hanno appena riposto il volume, ma non riesce a individuarlo fra tutte quelle copertine colorate.

Chiede aiuto alla coppia di adolescenti, che subito lo rintracciano e glielo porgono. Il libro suona davvero, però costa 12 euro e 90. Troppo per le tasche di una pensionata. La signora si allontana a passi lenti, ed è già quasi davanti all’uscita quando si sente toccare una spalla. Sono i ragazzi di prima e hanno un pacchetto in mano. «Tenga, per la sua nipotina». Mi dispiace non conoscere i nomi dei protagonisti. Altrimenti li avrei scritti in stampatello, per una elementare forma di par condicio: se invece di regalare il libro alla vecchietta, l’avessero rapinata, sarebbero stati sbattuti in prima pagina come simboli di una gioventù depravata. So bene che due ragazzini in libreria non rappresentano compiutamente una generazione. Ma nemmeno gli altri. Quelli che picchiano, rubano e stuprano. Dei quali però si parla sempre, al punto da indurre noi adulti a credere che esistano soltanto loro.

Fonte
Arjuna
00mercoledì 14 aprile 2010 14:43
Progetto frutta nelle scuole

E’ in pieno svolgimento il progetto “Frutta nelle scuole – Nutrirsi bene, un insegnamento che frutta”. Coinvolti 325 mila ragazzi delle 1700 scuole elementari italiane.accompagnata da materiali ed eventi che educano divertendo, una iniziativa promossa dall’Unione Europea in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e con quello della Pubblica Istruzione, nell’ambito del grande progetto: Frutta nelle scuole – Nutrirsi bene, un insegnamento che frutta.

In questi giorni anche nelle scuole dell’obbligo della nostra Regione sono stati distribuite buste contenenti frutta da degustare nella loro mattinata scolastica.

Sostenuto da fondi comunitari e nazionali (in percentuale del 58% e del 42%), coinvolge quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea e rappresenta la più ampia ed organica iniziativa indirizzata ad una corretta educazione alimentare per i bambini tra i sei e gli undici anni, notoriamente più attratti dagli ipercalorici cibi snack che dall’ottima e salutare frutta.

E’ prevista anche una serie di eventi di animazione teatrale incentrati sul percorso del cibo dal campo alla tavola per valorizzare la matrice culturale ed emozionale che caratterizza l’agricoltura. Una forma di comunicazione alternativa, piacevole, coinvolgente ed incisiva per raggiungere bambini e adulti ed avvicinarli in modo divertente alla cultura del cibo.Le consegne ai ragazzi avverranno lontano dai pasti poiché la “merenda” a base di frutta non è considerata sostitutiva del pranzo e deve coincidere con un momento educativo specifico.

Per ogni ragazzo sono previste venti somministrazioni di almeno 150 grammi di frutta a produzione biologica e integrata già pronta al consumo. Oltreché frutta fresca intera verrà distribuita frutta già sbucciata, tagliata e pronta al consumo in confezioni monodose: in tutto quasi 7 milioni di unità per un totale di circa 1 milione di chilogrammi. Verranno distribuite mele, kiwi e arance intere, mele tagliate in vaschetta, fragole e pere.

Fonte
roadrunner
00venerdì 16 aprile 2010 16:14
Incastrato in auto, salvo dopo 2 giorni
Insolito incidente vicino Porto Rotondo, in Sardegna. La vittima era finita fuori strada, in un dirupo
16 aprile, 13:14


OLBIA - Un automobilista di 37 anni è rimasto incastrato per due giorni nella sua autovettura, finita fuori strada nei pressi di Porto Rotondo e precipitata in un dirupo, prima di essere soccorso questa mattina dal personale del 118 che lo ha trasportato nell'ospedale di Olbia. Nel frattempo la sua compagna, ieri mattina, non vedendolo tornare, aveva presentato una denuncia di scomparsa ai carabinieri.

L'autovettura dell'uomo, Daniele Monteleone, parrucchiere, era nascosta alla vista in una zona impervia e solo questa mattina è stata notata da alcuni automobilisti che hanno dato l'allarme. L'uomo stava tornando a casa mercoledì sera sulla strada che collega con Porto Rotondo quando la Volkswagen Lupo alla quale era alla guida, nella zona di Rudalza, è finita fuori strada. Secondo quanto accertato dai soccorritori l'uomo, ferito, è rimasto incastrato e nell'impossibilità di uscire dall'auto è vissuto due giorni nell'abitacolo. Inoltre nella zona non vi era campo per il segnale del telefonino.

Non vedendolo rientrare mercoledì notte, la mattina dopo la compagna ha deciso di presentare ai carabinieri di Porto Rotondo una denuncia per la sua scomparsa. Questa mattina il suo ritrovamento ed il ricovero nell'ospedale di Olbia.


fonte
Arjuna
00giovedì 29 aprile 2010 11:47
Cluster bomb, dal primo agosto entra in vigore il Trattato per la messa la bando

Con Moldova e Burkina Faso sono arrivati a 30 i Paesi che lo hanno ratificato

La Convenzione che bandisce l'uso delle bombe a grappolo entrerà in vigore il primo agosto. Con Burkina Faso e Moldova il Trattato ha infatti raggiunto le 30 ratifiche necessarie. "Si tratta di un passo fondamentale nell'agenda del disarmo mondiale - ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon -. La ratifica dimostra la repulsione nei confronti di queste armi, inaffidabili e inaccurate". Ban ha poi invitato le nazioni che non hanno ancora aderito alla convenzione a farlo "senza ritardi". La Convenzione, siglata a Dublino a dicembre 2008, vieta la produzione, l'uso e il possesso di bombe a grappolo, ordigni letali per la popolazione civile che spesso vengono lasciati nelle ex zone di guerra per anni. Le 'cluster bomb' sono state usate nella guerra in Vietnam e nei più recenti conflitti in Iraq, Libano e Georgia. Tra i Paesi firmatari figurano Francia, Germania e Spagna che, a differenza di Inghilterra e Italia, lo hanno anche ratificato. Restano fuori dall'accordo potenze come Russia, Cina, Stati Uniti e Israele, paese quest'ultimo accusato dall'Onu di aver disseminato durante la guerra in Libano del 2006 più di quattro milioni di munizioni.

Fonte
strega@rossa
00lunedì 3 maggio 2010 09:34
Reparti maternità: sono in Italia i migliori (epidurale a parte)

Sarah Fraser, inglese che vive in Toscana con marito e figli, in un articolo sul Times Online, "Mamma mia! Perché l'Italia è meglio per le nascite", racconta come a Pistoia abbia partorito con più cure e attenzioni che in Inghilterra

L'Italia è sempre bistrattata dall'opinione pubblica, soprattutto da quella degli altri paesi, spesso denigrata e descritta a rotazione come retrograda, ridanciana, scandalosa, trash e amenità simili.. spesso non a torto lo sappiamo.
Possiamo però riprenderci la nostra rivincita in fatto di parto e reparti maternità, che a detta di una giornalista inglse e di una ricerca autorevole sono i migliori d'Europa.
Sarah Fraser, inglese che vive in Toscana con marito e figli, in un articolo sul Times Online, "Mamma mia! Perché l'Italia è meglio per le nascite", racconta come a Pistoia abbia partorito con più cure e attenzioni che in Inghilterra.

lo conferma anche una fonte autorevole: la rivista medica The Lancet rivela che in Gran Bretagna il tasso di mortalità durante gravidanza e parto è altissima: 8,2 morti ogni mille neonati, il doppio rispetto all'Italia che ne registra 3,9 e per questo è prima in classifica.
"Ho partorito in Gran Bretagna e ho partorito in Italia e non c'era nessun dubbio in cuor mio su cosa preferivo, anche prima di vedere le statistiche", racconta la Fraser, che in Gran Bretagna ha avuto la brutta esperienza di 15 ore di travaglio, quattro ostetriche diverse a occuparsi di lei, e ciliegina finale, una corsa in sala operatoria per un cesareo.

A Pescia, invece, in provincia di Pistoia, magari l'ospedale non aveva l'aspetto moderno però l'assistenza che ha ricevuto, racconta, è stata "eccellente, non sono stata lasciata sola un momento", tanto che è tornata nello stesso istituto per i suoi altri due bambini.
Gli esperti in materia provano a spiegare la minore mortalità in Italia, rispetto agli altri Paesi, considerando anche la maggiore durata del congedo di maternità: un massimo di 24 mesi (ricordiamoci però che non molte possono permettersi questo lusso), contro i 12 concessi in Gran Bretagna. A nostro favore c'è anche da dire che dalla nostra gioca l'importantissimo fattore dello stile di vita, sia alimentare sia di consumo di alcol e fumo: noi beviamo meno alcool e mangiamo meno e meglio delle inglesi.

La mamma inglese racconta come è stata ben seguita e fa un solo appunto: la mancanza di farmaci contro il dolore. "Non sono la sola espatriata scioccata per il limitato uso di antidolorifici negli ospedali italiani".
In Gran Bretagna la gente si aspetta che il parto sia indolore. L'argomento è tuttora controverso. L'articolo riporta il parere di un'ostetrica italiana, Eleonora Bruni, che ha esercitato anche in Gran Bretagna e difende lo scarso ricorso ad antidolorifici: "Il dolore aiuta a capire cosa succede al nostro corpo. Aiuta il corpo a reagire nel modo necessario per portare avanti naturalmente un travaglio sano. In Italia, non diamo nemmeno paracetamolo e l'epidurale è solo per casi estremi" perché – afferma - "con l'intervento dell'epidurale aumenta il rischio di mortalità. A Londra gli ospedali sono spesso a corto di personale e spesso l'assistenza personalizzata non è disponibile".

Fonte: Times online
Arjuna
00martedì 4 maggio 2010 18:18
Lufthansa, mai più voli per la vivisezione

di Elena Romanello

L'associazione animalista Peta aveva diffuso su Internet la foto di un gruppo di cinquanta cani trasportati su un aereo della compagnia Lufthansa dagli States ad un laboratorio di vivisezione in Scozia: in poco tempo c'è stata una sollevazione generale di animalisti in tutto il mondo e la compagnia aerea di bandiera tedesca ha deciso di vietare d'ora in poi il trasporto di animali vivi sui suoi voli se hanno come destinazione finale gli esperimenti.

Già da tempo la Lufthansa aveva attuato una politica di grande attenzione verso gli animali, controllando accuratamente di non trasportare specie a rischio di estinzione e in generale animali selvatici catturati: evidentemente questo problema le era invece sfuggito e c'è voluta una mobilitazione perché venissero fatti i controlli del caso e si arrivasse ad una proibizione definitiva.

La vivisezione non viene abolita, ma il fatto che una compagnia aerea di primo piano non voglia più rendersene responsabile è indubbiamente un duro colpo, senza contare che si crea un precedente in materia per altre compagnie aeree che volessero poi seguirne l'esempio.

"La decisione di non trasportare cani e gatti destinati alla sperimentazione fornisce un ulteriore segnale che noi siamo concentrati sul benessere degli animali", è stato il commento di Axel Heitmann, Director Competence Center Animals, della Lufthansa Cargo.

Le associazioni animaliste, tra cui l'italiana Oipa, ringraziano.

Fonte
Arjuna
00venerdì 7 maggio 2010 11:26
Vola il bike sharing: la bici condivisa piace agli italiani

La rivoluzione a due ruote ha contagiato 132 città del Paese
CARLO LAVALLE
TORINO
Negli ultimi due anni in Italia il bike sharing, o servizio di bicicletta condivisa, ha preso il volo. La rivoluzione a due ruote ha contagiato 132 città del Paese facendo aumentare in modo improvviso e inaspettato il numero di utenti. Nei centri urbani che utilizzano il sistema elettronico a tessera magnetica dal 2008 la clientela è cresciuta del 206,5%.

Secondo un'indagine di Euromobility i fruitori del bike sharing, in 13 comuni monitorati, sono passati in un anno dalle circa 9.000 unità iniziali alle quasi 29.000 del 2009. Un vero e proprio boom c'è stato a Milano che ha quadruplicato i suoi clienti raggiungendo quota 12.346. Al capoluogo lombardo spetta anche il record delle bici messe a disposizione : 1400, distribuite su 100 postazioni, contro le 230 di Brescia e le 150 di Roma.

La diffusione del bike sharing si è avuta soprattutto nell'area centro-settentrionale. Le regioni dove si è realizzato il maggiore sviluppo sono Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna, cui spetta il primato. A Ravenna, peraltro, nel 2000 è entrato in funzione il primo sistema di bike sharing a chiave codificata, fornito dal circuito C'entro in bici, mentre la prima esperienza di installazione con prelievo elettronico è stata realizzata a Cuneo nel 2004. Da allora la soluzione a card elettronica, che permette la riconsegna in un qualsiasi altro posteggio ad elettroserratura diverso da quello di ritiro, si è andata sempre più affermando attraverso il successo ottenuto da Bicincittà. Questa piattaforma vanta ormai 44 comuni aderenti con 5.100 colonne installate e più di 35.000 utenti attivi.

Nel 2011 in base alle previsioni di Obis (Optimising Bike Sharing in European Cities) il bike sharing italiano continuerà ad espandersi coinvolgendo 195.000 persone che potranno avvalersi di un più consistente parco di biciclette. Torino, Mantova, Sondrio, Catania, Arezzo Savona, Treviso sono le prossime importanti piazze in procinto di attivare il loro servizio, stando alle informazioni rilasciate in anteprima dal Club delle città per il bike sharing. Totem, rastrelliere, cicloposteggi sono dunque termini destinati a diventare ancora più familiari nel vocabolario della mobilità sostenibile nostrana.

Gli italiani dimostrano di conoscere e apprezzare il bike sharing perché rappresenta una modalità di spostamento pulito e un'alternativa all'uso dell'auto privata, fonte di inquinamento e traffico insopportabili. La bicicletta appare un veicolo economico, di limitato ingombro, e valido da usare nei brevi tragitti, massimo un chilometro, che fa risparmiare tempo nel coprire la distanza ed evitare lo stress per trovare parcheggio.

In un'ottica di intermodalità, ossia di integrazione con altre tipologie di trasporto, può essere abbinata al mezzo pubblico, treno o autobus, consentendo alle amministrazioni di razionalizzare gli interventi per migliorare l'ambiente urbano. In questo senso, un esempio particolarmente avanzato è Parma che ha cercato di potenziare il suo schema di bike sharing, dotato di una centrale operativa di telecontrollo in funzione 24 ore su 24, inserendolo in un quadro di sviluppo delle infrastrutture di ciclabilità, di creazione di piattaforme intermodali nei parcheggi di scambio e di promozione ed incentivo all'uso della bicicletta, normale o a pedalata assistita.

Proprio la mancanza di una strategia integrativa programmata in alcune realtà, nonostante i buoni propositi iniziali, è stata causa di progressive difficoltà di funzionamento.

A Genova la carenza di percorsi protetti ha condizionato negativamente il servizio mentre a Roma la mancata implementazione delle stazioni e la loro quasi esclusiva dislocazione nelle zone centrali, per giunta senza logica di interscambio con fermate metro e bus, ha ostacolato il decollo del bike sharing che adesso versa in un stato di abbandono e di degrado. Anche a Bari sono emerse forti criticità nella gestione e nella stessa Milano, malgrado il piano di investimenti per il rafforzamento delle rete di piste ciclabili annunciato dal Comune, rimangono i problemi di accessibilità ciclabile con una circolazione urbana subordinata all'interesse prevalente degli automobilisti.

Fonte
roadrunner
00giovedì 20 maggio 2010 22:14
Guaisce due giorni sull'Arno per chiamare i soccorsi e salva il suo cucciolo

FIRENZE (20 maggio) - Cuore di mamma. Anzi, cuore di bassotta. Ha abbaiato e guaito per due giorni, fino a che un passante non si è accorto che mamma bassotta stava chiedendo aiuto perchè il suo cucciolo era rimasto intrappolato nell'Arno e ha chiamto i soccorsi. Alla fine, la costanza di una femmina di bassotto tedesco è stata premiata: i sommozzatori dei vigili del fuoco sono riusciti a liberare il cagnolino, al termine di un laborioso intervento durato più di un'ora. È successo stamani, nei pressi della pescaia dell'Isolotto, a Firenze.

Il cucciolo di bassotto era rimasto impriogionato in un buco tra alcuni massi e un groviglio di filo di ferro e, nonostante l'acqua bassa, era in serio pericolo di vita a causa della prolungata permanenza nel fiume.

I vigili del fuoco, intervenuti con una squadra di sommozzatori, hanno lavorato per circa un'ora con un martello e un piede di porco: per tutta la durata dell' intervento la cagnetta è rimasta sul greto del fiume, in attesa. Al termine dell'intervento, mamma e cucciolo, che erano entrambi privi della medaglietta di riconoscimento, sono stati affidati al personale della Asl, in attesa che venga identificato il proprietario.


fontefonte


roadrunner
00venerdì 21 maggio 2010 22:31
Megayacht sequestrato, Briatore indagato
Contrabbando ed evasione delle imposte sul carburante sono le accuse ipotizzate. A bordo c'erano Elisabetta Gregoraci e il figlio Falco Nathan
21 maggio, 19:55

Contrabbando ed evasione delle imposte sul carburante sono le accuse ipotizzate dal pm Walter Cotugno a carico dell'amministratore delegato della società proprietaria del megayacht "Forcé Blue", con sede nelle Isole Vergini Britanniche, e di Flavio Briatore, che risulterebbe essere il principale utilizzatore della nave in territorio Ue.

Il megayacht, battente bandiera delle isole Cayman, è stato sottoposto ad un sequestro preventivo ieri pomeriggio, al largo della Spezia, in acque nazionali, dai militari della guardia di finanza del Gruppo Genova in collaborazione con i militari del Gruppo aeronavale ed i tacnici delle Dogane del capoluogo ligure, al termine di oltre un anno di accertamenti, nel corso dell'operazione "No boat, no crime" ed ora si trova in porto alla Spezia. Il provvedimento é stato emesso dal gip di Genova Ferdinando Baldini, su richiesta del pm Cotugno.

Secondo quanto spiegato stamani in una conferenza stampa, il reato di contrabbando viene contestato perché un cittadino comunitario, come Briatore, non può utilizzare un'imbarcazione immatricolata all'estero in territorio Ue se prima non ha provveduto a pagare l'Iva. Dato che il valore approssimativo del "Force Blue" è di almeno 20 milioni di euro (ma la cifra è destinata a crescere), l'Iva evasa si aggirerebbe sui 4 milioni. Sarebbero inoltre state evase le imposte sui rifornimenti di carburante (700mila litri di gasolio da quando la situazione è monitorata), per un ammontare di circa 550mila euro di accise e 250mila euro di Iva. La legge comunitaria prevede infatti che gli yacht immatricolati all'estero possano fare carburante senza pagare l'accisa a condizione che entro le otto ore dal rifornimento siano fuori dalle acque territoriali comunitarie. provvedimento che il "Force Blue" non avrebbe rispettato.

BRIATORE: AFFITTO BARCA REGOLARE - Poteva essere evitato il sequestro del 'Force Blue', il megayacht di Flavio Briatore. Ad affermarlo è lo stesso Briatore, che ha in uso il natante fermato dalla Guardia di Finanza per una vicenda di evasione fiscale e contrabbando. Secondo Briatore l'imbarcazione "è stata regolarmente presa in affitto da me, come d'altra parte in passato hanno fatto tante altre persone". "Si tratta di una vicenda paradossale, che sono convinto si risolverà molto presto", aggiunge Briatore. Resta però il rammarico, e l'amarezza, per come è stata trattata la questione: "Il sequestro si poteva evitare - sostiene il businessman - senza forzare una madre e un bambino di due mesi a lasciare bruscamente l'imbarcazione". "Mi rammarico molto - sottolinea ancora Briatore - del fatto che la questione si sarebbe potuta chiarire senza tanta pubblicità e con un tale spiegamento di forze".


fonte


Arjuna
00giovedì 27 maggio 2010 14:19
Nel mondo cala la mortalità infantile

Dal 1990 a oggi la mortalità infantile cala del 2% ogni anno. Merito di vaccini, farmaci contro l'Aids ed educazione sanitaria
MIMMO CÁNDITO
Ismail era un fagottino che quasi non dava spessore al telo bianco che lo copriva. Oggi avrebbe compiuto otto anni, ma quella notte in cui è morto, d’una diarrea che lo aveva asciugato d’ogni carne, lui aveva cominciato appena a correre su gambette magre come stecchi. Due uomini se lo portarono via dalla tenda lercia dove campava la sua famiglia, nella lontana periferia pietrosa di Makallè. Non pesava più d’un soffio d’aria, e quella sorta di barella fatta da due legni intrecciati con un paio di corde lise la portavano leggera come se fosse vuota. C’era un gelo boia, nell’alba grigia dell’altopiano, il freddo ghiacciava perfino il malodore delle montagnole di cacca che coprivano il terreno attorno alle tende di quei poveri cristi, immobili come statue. E nessuno piangeva. Le lacrime hanno bisogno di speranza, e a quel tempo in Etiopia di speranza non se ne trovava molta.

Finanziati da Bill Gates
Forse non ce n’è molta di più nemmeno oggi. Ma oggi i numeri sui bambini che muoiono prima di arrivare ad almeno 5 anni di vita sono cambiati in meglio, «un netto incremento positivo», dice un rapporto pubblicato in questi giorni dalla rivista «Lancet», la più autorevole pubblicazione scientifica. E come l'Etiopia, anche il Malawi, il Ruanda, la Tanzania, lo Zambia, il Botswana, e molti altri paesi ancora. La ricerca, finanziata dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates, ha indagato sulle statistiche della mortalità infantile in ogni angolo del nostro pianeta, dall’Africa più povera all’Asia tormentata di monsoni e inondazioni, alle baraccopoli dell’America Latina, e fino alle ricche nazioni dell’Europa e dell’Occidente industriale; ha letto, fatto verifiche, incrociato numeri e dati, ha interrogato istituzioni ed esperti di 187 Paesi, poi i risultati si sono imposti con la loro evidenza: dal 1990 a oggi, la mortalità infantile ha registrato una diminuzione media del 2 per cento l’anno. Nelle stanze dell’Organizzazione mondiale della Sanità, a Ginevra, tira un’aria di moderato ottimismo: «Possiamo dire che gli sforzi compiuti dagli organismi ufficiali, e dalle associazioni umanitarie, stiano avendo una confortevole incidenza, perfino più veloce di quanto fosse possibile immaginare».

Non sono ancora numeri che possano lasciar tranquilla la coscienza del mondo. Quest’anno, i fratellini di Ismail che non arriveranno ai 5 anni d’età, e gli Ahmed nei deserti del Ciad e del Niger, e i Satyaga nelle giungle del Borneo o gli slums di Calcutta, e i Boycet tra le rovine di Port-au-Prince, quest’anno a morire di fame, di stenti, di diarrea, di polmonite o malaria, saranno comunque 7,7 milioni di bambini. Un infinito esercito di piccoli fantasmi che voleranno lievi nel cielo degli innocenti, puntando il loro ditino fragile contro la nostra indifferenza, spesso sorda, distratta sempre. Ma «Lancet» dice che, però, e comunque, bisogna crederci: nel 1990, quel volo lieve si portava via 11,9 milioni di piccoli angeli, cioè quattro milioni in più di oggi. Quattro milioni che invece ora potranno vivere, crescere, sperare, diventare uomini e donne del loro tempo, e lottare perché ci sia un mondo più solidale.

La lotta alla malaria
«Però, guai a fermarsi nella nota lieta di questi risultati - dice Mickey Chopra, responsabile della sezione Sanità dell’Unicef -. Se soltanto riduciamo il nostro impegno, e l’apporto finanziario che trasferiamo a quanti lavorano in questo campo, la povertà, la miseria estrema, il degrado che travolge speranze e cure, torneranno a prevalere». Le cause che hanno consentito il «netto miglioramento» delle statistiche sono elencate nelle pagine di «Lancet» da uno degli autori della ricerca, il dottor Christopher J.L. Murray, direttore dell’Istituto per lo studio delle statistiche mediche nell’Università di Washington, a Seattle; sono: la possibilità di estendere l’applicazione di vaccini, i farmaci contro l’Aids, una distribuzione allargata di vitamina A, una più efficace terapia contro la polmonite e la diarrea, l’intensificazione dell’educazione sanitaria tra le donne, e l’uso di insetticidi per prevenire le infezioni da malaria. Anche la fertilità in riduzione ha avuto una qualche incidenza, oggi che la maternità ha indici più bassi e sono comunque sempre più le donne che distanziano una gravidanza dall’altra di almeno due anni.

La metà dei bimbi che muoiono prima di arrivare a 5 anni di età vivevano in un qualche posto dell’Africa subsahariana, un terzo nell’Asia meridionale; e di tutti questi piccoli morti innocenti, il 41 per cento erano neonati. La Guinea Equatoriale ha il più drammatico record, con 180 bimbi morti ogni 1000 nati, e vicino le sta il Ciad, con 169 vittime. La situazione migliore è registrata a Singapore (2,5 morti per 1000 nascite) e in Islanda (2,6). Ma a incidere su queste statistiche non sono soltanto i dati del Pil nazionale, se poi negli Stati Uniti muoiono 6,7 bimbi, e 5,3 in Inghilterra, mentre Cuba mette ben in evidenza i suoi indici ancora molto inferiori nonostante un’economia in costante stagnazione.

L'Onu ha posto come obiettivo per il pianeta una riduzione di due terzi della mortalità infantile, prima del 2015. Non sarà facile. Dice il dott. Murray: «E sarebbe una tragedia se, visto che in alcune aree finora disastrate la situazione va migliorando, noi staccassimo la spina. L’equilibrio è fragilissimo, bisogna insistere». Alcune linee aeree, tra le quali l'Alitalia, distribuiscono tra i loro passeggeri dei voli internazionali una busta nella quale inserire qualche euro di donazione volontaria per l’Unicef, l’organismo dell’Onu che cura la condizione dell’infanzia nel mondo. «E’ molto raro, molto, che ci vengano restituite più di 7 o 8 buste, al momento dell’atterraggio», confessa amaramente una delle capocabina di un volo per New York. «E ancor meno nella classe business». Il biglietto della business costa più del doppio del volo in classe economy.

Fonte
strega@rossa
00venerdì 27 agosto 2010 12:02
COCCOLA NEONATO MORTO: LUI TORNA ALLA VITA

Aveva avuto un parto prematuro, al quale il piccolo Jamie Ogg non era riuscito a sopravvivere, a differenza della sorellina gemella Emily. Ma Kate, madre dei due bambini, non poteva rassegnarsi all'idea che uno dei suoi gemelli fosse morto. Così ha tenuto Jamie in braccio per due ore, baciandolo e coccolandolo, finché il neonato, miracolosamente, è tornato alla vita. E' accaduto in Australia, a Sydney, e i genitori del piccolo Jamie sono diventati delle vere e proprie celebrità, intervistati da tutti i giornali e le televisioni locali. Kate e suo marito David hanno raccontato la loro esperienza, che ha a dir poco del miracoloso. "Il medico mi chiese, dopo il parto, se avevamo già dato un nome a nostro figlio. Io gli dissi che si chiamava Jamie, e lui tornò da me con il bimbo in braccio dicendomi: 'Abbiamo perso Jamie, non ce l'ha fatta. Mi dispiace'. E' stata la peggior sensazione che abbia mai provato - ha raccontato la donna alla trasmissione tv Today Tonight, citata dal Daily Mail - presi Jamie in braccio, lo strinsi a me. Le sue braccia e le sue gambe penzolavano dal suo corpo, non si muoveva. Io e David abbiamo iniziato a parlargli, gli abbiamo detto il suo nome e che aveva una sorella, gli abbiamo deto ciò che avremmo voluto che facesse nella sua vita. Dopo un po', ha iniziato a muoversi, a respirare ancora. Ho pensato 'Mio Dio, cosa succede?', e dopo pochi secondi ha riaperto gli occhi. E' stato un miracolo. Siamo i genitori più fortunati del mondo". 



fonte: www.leggonline.it/

fonte: www.dailymail.co.uk/health/article-1306283/Miracle-premature-baby-declared-dead-doctors-revived-mothers-to...
Arjuna
00venerdì 3 settembre 2010 14:30
Annuncia il suicidio su un blog, 30enne salvato dalla polizia postale

Paura per un giovane residente in Trentino Alto Adige
Annuncia l’intenzione di uccidersi attraverso un blog, ma viene salvato in tempo. La segnalazione era pervenuta agli agenti del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni Sicilia Orientale di Catania attraverso il gestore del blog, un ragazzo catanese. Il messaggio scritto dall’utente riportava il proposito di suicidarsi per vicende personali.

Così, i poliziotti, dopo avere costatato il contenuto del messaggio, poichè i dati informatici utili per l’identificazione dell’utente erano detenuti dalla statunitense Google, hanno attivato i collegamenti urgenti con l’estero e sono riusciti in poche ore a risalire al giovane che aveva scritto il post sul blog: un trentenne residente in Trentino Alto Adige.

Immediatamente, con l’ausilio delle forze di polizia del posto, è stato raggiunto e sono stati avvertiti i genitori e i servizi sociali del Comune.

Fonte
Arjuna
00mercoledì 8 settembre 2010 15:08
L'intrusa

Ma chi è? Che cosa vuole? Da alcune ore una donna si aggira per le strade di un paese che la prima domenica di settembre ha spinto quasi tutto nei boschi per la raccolta delle nocciole. A presidiare il territorio sono rimasti i sofferenti di schiena e qualche pensionato. Guardano la tv più vecchia del mondo, quella che si osserva dalle finestre di casa. Ma chi può andare e venire fra le case di questo paese, a un’ora in cui anche la chiesa è già chiusa? La signora misteriosa. Scende da un’utilitaria guidata da un accompagnatore, forse il marito, più probabilmente un complice. Si guarda intorno, estrae un blocco di appunti, prende nota, poi cambia isolato. Artritici e pensionati non hanno più dubbi: trattasi di ladra professionista che prepara un colpo notturno.

Un ragazzino scuote la testa: ma quale ladra, è un’addetta di Google Maps che raccoglie informazioni per mettere in rete lo stradario del paese. Sarà, borbotta un anziano, però questi Gulp Mappet sono ridotti proprio male: guarda che macchina le hanno dato. La signora scompare, ma due ore dopo rispunta davanti alla casa del vicesindaco, il quale ha un ruolo e un prestigio da difendere. Esce in strada e la affronta, pronto a tutto. «Desidera?». «Buongiorno! Sono la nuova postina, prendo servizio domani. Sto facendo pratica delle strade per non ritardare la consegna della corrispondenza». Sta facendo pratica delle strade. Per non ritardare la consegna della corrispondenza. Durante il giorno di ferie. Pare che in paese - Lequio Berria, nell’Alta Langa - abbiano già iniziato le pratiche per la canonizzazione.

Fonte
Arjuna
00martedì 14 settembre 2010 15:47
L'uomo che fa evadere il "made in carcere"

Un imprenditore crea la prima rete per le cooperative di detenuti. «Metto in commercio prodotti ottimi che finora non si era mai pensato di vendere»
FEDERICO TADDIA

ROMA
Un tour per le carceri a bordo di un camper Anni 80, acquistato a giugno per 6500 euro alla faccia dei 99 milioni di lire di listino nel 1983. Guai a dubitare sull'affidabilità del mezzo: Paolo Massenzi è orgoglioso della sua casa a quattro ruote. E i numeri gli danno ragione: 15 mila km percorsi in un paio di mesi, da quando ha dato via al «Jail Tour 2010». Un viaggio lungo lo Stivale per raccogliere, censire e mettere in mostra biscotti, abiti, collane, pasta, formaggi, mobili e tanti altri prodotti realizzati esclusivamente da detenuti.

«Il 22 ottobre 2009 ero in macchina e la radio mi ha dato la notizia della morte assurda di Stefano Cucchi - spiega -. Lì è cambiata la mia vita: ho immaginato che Cucchi potevo essere io, o poteva essere un mio figlio tra qualche anno. Mi è nata l'esigenza di scoprire se nel carcere c'era qualcosa di buono. Ho visitato alcuni istituti e, probabilmente sollecitato dalla mia professione di project manager, ho scelto di dedicarmi alla valorizzazione di ciò che viene creato con arte e professionalità nelle prigioni italiane». Massenzi abbandona così il lavoro e apre il portale recuperiamoci, che diventa un punto di riferimento per fare rete tra le cooperative di detenuti ed ex detenuti. L'obiettivo è stilare una mappatura delle realtà che operano nelle carceri per tentare di aprire entro Natale un emporio a Roma, dove mettere in vendita prodotti «made in carcere».

«I dati parlano di 12.376 detenuti lavoranti alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria su 68.345 - dichiara Massenzi -. Ma i veri numeri sono ben più piccoli. Chi partecipa a progetti gestiti da cooperative e quelli che sono ammessi a un lavoro esterno sono poco più di 800. Troppo pochi, se si pensa che la recidiva di chi lavora è solo del 10% contro il 70% di chi non ha lavoro: avere un impiego e imparare un mestiere offre una possibilità di riscatto. E trovare nuovi mercati in cui vendere i prodotti realizzati è essenziale per recuperare risorse per aumentare l'occupazione».

La prima tappa del «Jail Tour» è stata Alba, dove sul camper sono state caricate alcune bottiglie del vino realizzato nella Casa Circondariale: un dolcetto battezzato «Vale la pena». A Verbania, invece, con il marchio «Banda biscotti» nel laboratorio del carcere vengono infornati biscotti per tutti i gusti, mentre la Casa di Reclusione di Fossano propone «Ferro&Fuoco Jail Design», oggetti di arredamento in metallo. A San Vittore, poi, c'è una sartoria dove nasce la linea di abbigliamento casual «Gatti galeotti» e dove le detenute hanno tagliato e cucito le toghe per alcuni giudici milanesi.

A Mantova invece la coop «Parti inverse» è specializzata in gioielli realizzati con materiali di recupero. A «Le Vallette» di Torino spazio alle culle realizzate con cabine telefoniche dismesse e a «Pausa Cafè», laboratorio di torrefazione del caffè. «Ho recuperato 435 prodotti e ho recensito 73 cooperative e associazioni attive nelle carceri - aggiunge Massenzi -. Ma il viaggio non è ancora concluso. Mettere in circolo questi prodotti non è facile, anche perché l'amministrazione penitenziaria non può fare vendita diretta. Quello che nasce nelle 115 aziende biologiche, per esempio, viene consumato nelle prigioni, mentre le cooperative fanno sforzi enormi per realizzare ottimi manufatti ma poi non sanno come muoversi nella distribuzione».

Un mercato che è davvero vario e smisurato: basti pensare all'attività di smaltimento delle lavatrici nel carcere «Dozza» di Bologna, agli abiti del '700 tessuti e disegnati dalle detenute della Giudecca a Venezia, grazie alla cooperativa «Il Cerchio», alla bambola-cuscino «Ninetta» creata al femminile di Sollicciano, ai taralli «Campo dei miracoli» di Trani, alle ricercatissime paste di mandorle de «L'arcolaio» sfornate dal carcere di Siracusa o alle magliette «Made in Jail» che da oltre 20 anni sono il brand di Rebibbia a Roma. A Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), invece, esiste un mobilificio nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario: un'ala è adibita a laboratorio d'eccellenza, dove vengono realizzati arredamenti per banche, hotel e abitazioni, anche se il fiore all'occhiello è un divertente porta flebo per bambini. «Dal carcere può ripartire la speranza, è quello che vedo ogni giorno nel mio tour - conclude Massenzi -. Basti pensare a quello che succede a Locri, dove la cooperativa “Valle del Bonamico” occupa ex detenuti in un progetto di recupero di un maiale nero in via d'estinzione, mentre la carne verrà lavorata dalle donne vedove di ‘ndrangheta. E uno degli ex detenuti mi ha confessato che ora ha finalmente qualcosa in cui credere».

Fonte
Arjuna
00lunedì 20 settembre 2010 16:50
La rivoluzione della spesa "Basta con gli involucri"

I grandi magazzini Sainsbury's di Londra vendono i cereali in buste di plastica. E' la tendenza a risparmiare sul packaging: i prezzi scendono, si riduce l'inquinamento globale e la quantità di rifiuti da smaltire
MATTIA BAGNOLI

LONDRA
Care vecchie scatole di cereali addio. A prendere un bel respiro e consegnare alla storia uno dei simboli della tavola anglosassone è il gigante dei supermercati Sainsbury's. Che dopo un anno di test pilota, conti col pallottoliere, studi di mercato per capire se si rischiasse la rivolta dei clienti (ai britannici impressiona più sostituire il tradizionale doppio rubinetto del lavabo con il miscelatore, che il matrimonio gay) ha deciso di dare il via libera alla rivoluzione.

A partire da dicembre i cereali modello «classico» di Sainsbury's si troveranno solo in busta: l'ecologia lo chiede. E i clienti sono d'accordo. Senza contare che i costi della distribuzione scenderanno. Quindi tutti contenti. Tanto che, col tempo, l'intera gamma di cereali prodotti dal gigante dei supermercati, fatta eccezione per quelli a biscotto, che altrimenti si romperebbero, perderanno il contenitore rettangolare.

«Così si perde un'icona della prima colazione britannica - spiega Stuart Lendrum, capo del packaging di Sainsbury's - ma in questo modo risparmieremo cartone, spazi e ridurremo il nostro consumo di anidride carbonica». Nella grande distribuzione ogni piccolo dettaglio ha una grande ricaduta: i clienti useranno un minor numero di sacchetti di plastica perché il volume occupato dai cereali sarà ridotto. E anche il consumo di carburante dei camion scenderà visto che si potrà caricare più prodotto a ogni viaggio. Senza contare che per ciò che riguarda la sola linea «classic», i risparmi ammonteranno a più di 165 tonnellate all'anno. Vantaggi che hanno spinto Sainsbury's a rischiare. «La risposta dei nostri clienti alla novità introdotta nella linea Rice Pops, venduta per oltre un anno nella sola busta di plastica, è stata ottima - ha sottolineato Lendrum - perciò abbiamo deciso di procedere con gli altri prodotti».

Sainsbury's sta cercando di convincere altri grandi marchi produttori di cereali - uno su tutti, la Kellogg's - a seguire l'esempio. Ma è un tentativo andato a vuoto. Il colosso americano non ha intenzione, quantomeno nell'immediato futuro, di abbandonare la celebre scatola col gallo. «I nostri studi - ha detto al Times un portavoce dell'azienda - mostrano che i fiocchi si rovinano se non c'è la protezione di cartone. Inoltre le nostre scatole e le buste contenitive sono interamente riciclabili. Se si usa solo il sacchetto per impacchettare i cereali bisogna usare una plastica più spessa, più difficile da smaltire». E visto che ogni giorno i britannici consumano 2,8 milioni di scodelle di Kellogg's Corn Flakes non si tratta di numeri da poco.

Non è la prima volta che Sainsbury's decide di compiere una scelta «unilaterale»: anche il latte è stato sfrattato dalle confezioni di plastica per finire in buste sottili. «Eliminare le scatole dei cereali - conclude Lendrum - ci aiuterà a tagliare il packaging di un terzo entro il 2015».

Fonte
Arjuna
00mercoledì 29 settembre 2010 17:13
Buste di plastica addio
I supermercati anticipano il divieto del Comune


Sacchetti «bio» già in uso anche se manca la delibera
ANDREA ROSSI
TORINO

Alle casse di Auchan da un pezzo distribuiscono soltanto buste biodegradabili. Stesso discorso al Pam, Carrefour, Bennet e Conad. Al Crai, invece, usano materiali riciclati. Eataly ci ha già pensato a marzo: via le buste, resta solo la vecchia sporta in tela. Non fa molta differenza. La sostanza è che nei supermercati e nelle grandi catene di Torino, ma sempre più spesso anche nei negozi, il sacchetto di plastica - quello che impiega quattro secoli a distruggersi - sta scomparendo, sostituito da buste prodotte con materiali meno inquinanti. E la metamorfosi sta avvenendo prima ancora che il Consiglio comunale abbia approvato la delibera predisposta dagli assessori comunali Tricarico, Altamura e Mangone che dovrebbe mettere definitivamente al bando gli shopper.

Torino è la prima città in Italia ad aver deciso di disfarsene. Lo prevede una direttiva europea, che dal primo gennaio 2010 vieta produzione e commercializzazione. L’Italia - tanto per cambiare - non si è ancora attivata per recepirla. Anzi, latita, prende tempo, invoca rinvii. Torino no: gli ingranaggi della macchina amministrativa hanno cominciato a muoversi la scorsa estate, elaborando un piano per eliminare gradualmente gli shopper. Quando il Consiglio approverà la delibera le buste in polietilene saranno vietate, non prima che supermercati e negozi esauriscano le scorte. Nei piani di Palazzo Civico ci sarebbe voluta qualche settimana. Invece no: le scorte - almeno nella metà degli ipermercati e dei supermercati torinesi - sono già esaurite. E, ovviamente, non sono state rinnovate. Le catene hanno già provveduto a mettere in circolo le borse “verdi”: biodegradabili, compostabili o in tela. Insomma, il mondo produttivo ha giocato d’anticipo. L’eliminazione degli shopper è già realtà.

L’assessorato all’Ambiente, insieme con quello alle Attività produttive, nei giorni scorsi ha effettuato un monitoraggio a campione in diversi punti della città. Su una quindicina di catene “ispezionate” soltanto sette avevano ancora sacchetti in plastica, e tutte si erano comunque già dotate anche dei nuovi materiali ecologici. «È il segno dello sforzo che il mondo del commercio si è accollato per venire incontro all’esigenza di ridurre l’inquinamento», dice l’assessore alle Attività produttive Alessandro Altamura. «I tavoli con le associazioni di categoria, la concertazione e la campagna di sensibilizzazione, anche dei clienti, hanno funzionato. E gli effetti cominciano a vedersi anche in negozi e mercati».

Ecco la vera sfida: la piccola distribuzione, più difficile da convincere, più parcellizzata. Il Comune ha lavorato con tutte le organizzazioni - dagli artigiani ai commercianti, dagli agricoltori alle piccole imprese - e lavorerà ancora nei prossimi mesi. «L’importante è che tutti partecipino», ricorda l’assessore all’Ambiente Roberto Tricarico. «a cominciare dai mercati rionali, che sono una risorsa. Sarebbe un peccato se i consumatori attenti all’ambiente dovessero virare solo sulla grande distribuzione perché la piccola continua a utilizzare gli shopper».

Di fronte ai riottosi a Palazzo Civico continuano a sfornare le cifre di un vero disastro ecologico: 400 sacchetti a testa consumati in un anno. Per smaltirne uno servono secoli. Le borse in «mater-bi», invece, sono biodegradabili in sei mesi dalla produzione. Per non parlare di quelle in cotone.

Fonte
caf1one
00mercoledì 6 ottobre 2010 10:37
Una donna ed il figlio di tre anni, travolti dall’impeto delle acque del torrente Lerone, a Cogoleto, nel ponente di Genova, sono stati salvati da varie persone del posto che hanno fatto squadra e li hanno raggiunti e portati a riva. Non sono chiare le dinamiche che hanno portato madre e figlio ad essere travolti dal torrente in piena. Sarebbero sotto choc e fuori pericolo. Sono stati soccorsi anche da personale medico.

[SM=x44459] [SM=x44459] [SM=x44459]
Maltempo: Genova, madre e figlio salvati da polizia in appartamento allagatoGenova, 5 ott. - (Adnkronos) - Rischiavano di annegare, ieri pomeriggio, a Genova, una nigeriana e il figlio di un anno rimasti bloccati in un appartamento di via Campasso, invaso dall'acqua durante il nubifragio. Li hanno tratti in salvo i poliziotti, ieri impegnati nelle operazioni di soccorso soprattutto a Sestri, Sampierdarena e Cornigliano.

Subito dopo il salvataggio di madre e figlio, i poliziotti sono intervenuti in via Ariosto chiedendo l'intervento dei sommozzatori per tirare fuori una decina di auto rimaste sommerse dall'acqua e scongiurare il pericolo che all'interno degli abitacoli qualcuno rimanesse intrappolato.

Sempre nel pieno del nubifragio, un equipaggio della questura ha soccorso un dodicenne uscito da scuola che non riusciva a raggiungere la propria abitazione per l'allagamento delle strade. In serata, intervento della polizia in salita Lagorio, zona dove nel frattempo parte della perturbazione si era spostata, per una frana. A causa delle forti precipitazioni un muro di contenimento ha ceduto ed e' franato nel giardino di una casa, senza conseguenze per le persone.

[SM=x44460] [SM=x44460] [SM=x44460]
caf1one
00venerdì 15 ottobre 2010 08:52
Arjuna
00giovedì 21 ottobre 2010 13:54
E gli alpini aprono la via dello zafferano

Bulbi al posto dell’oppio: così i contadini non vanno con gli insorti
SERGIO MIRAVALLE
TORINO

Silvia Guberti è l’unico tenente donna del primo reggimento di artiglieria da montagna della brigata alpina Taurinense, di base a Fossano. E’ tornata in Italia dopo i sei mesi di missione in Afghanistan. Ha riabbracciato la figlioletta Ginevra e per festeggiare ha cucinato un risotto alla milanese. Molto speciale. Il profumo di spezia e il giallo oro dei chicchi di riso è merito dello zafferano afgano. Non è un semplice souvenir dalla missione. Anzi.

Quello zafferano rappresenta una scommessa di pace per dare un futuro meno incerto alle popolazioni agricole della regione di Heràt. E’ il territorio ad ovest di Kabul, ai confini con l’Iran, dove opera il contingente militare italiano. Su quelle montagne assolate i signori della guerra, impongono ai contadini la redditizia coltivazione del papavero da oppio, che poi viene raffinato e venduto all’estero ed è una fonte illegale di finanziamento di tutto il fronte degli «insorgenti», nome assegnato nel gergo militare al tutte le bande non solo quelle dei talebani.

Per opporsi a questa schiavitù dell’oppio è stato sviluppato il progetto zafferano, finanziato nell’ambito di un Prt (Provincial reconstruction team) che ha visto impegnati la cooperazione italiana allo sviluppo e gli alpini della brigata Taurinense. L’idea è questa: al posto dei papaveri da oppio sono state distribuite 60 tonnellate di preziosissimi bulbi di zafferano che quando fioriscono colorano di viola i campi. Dai pistilli di quei fiori inebrianti si ricava la polvere usata non solo in cucina, ma anche in cosmesi e medicina naturale. E’ un prodotto tipico afgano che finora non aveva mai trovato le vie dell’export internazionale.

Ora potrebbe non essere più così. Al Lingotto di Torino, che ospita da oggi a lunedì il Salone del Gusto ci sarà uno stand particolare. «E’ un segnale di attenzione e solidarietà verso quelle popolazioni» commenta Piero Sardo, il responsabile di Slow Food per i presidi internazionali.

Il tenente Guberti, con i caporali Venusia Fusco e Laura Fortunato e altri commilitoni del primo reggimento della Taurinense offriranno ai visitatori piccoli contenitori da un grammo di puro zafferano afgano, frutto del primo raccolto libero. Costerà otto euro a grammo e le prime confezioni sono stare già acquistate da una fondazione d’arte di Vigevano, grazie all’intervento del giornalista Rai Sandro Vannucci che ha curato un Dvd sull’intera operazione. «Sono arrivato in Afghanistan, pieno di dubbi, ho visto una realtà straordinaria, con i nostri alpini impegnati in operazioni di pace e solidarietà di grande respiro umanitario ».

I numeri aiutano a capire. Le coltivazioni di oppio nella provincia di Heràt erano stimate in oltre duemila ettari nel 2005 sono scese a meno di 500. Il prezzo che i talebani pagano ai contadini per avere l’oppio è di 3000 dollari ad ettaro, un piccola fortuna. Lo zafferano però vale ancora di più, almeno il triplo, ma per coltivarlo ci vuole sicurezza e condivisione della scelta.

Due camion di bulbi destinati ad una della province più lontane da Herat nelle settimane scorse sono stati attaccati, uccisi gli autisti e bruciato il carico. Gli alpini non sono dati per vinti. Nei villaggi più lontani, dopo gli incontri con i consigli degli anziani, i bulbi sono arrivati con gli elicotteri. A Gorian c’è una cooperativa di 480 donne che lo estrae dai pistilli. Gli ettari bonificati a zafferano sono saliti dai 16 del 2004 a oltre 300.

Sabato mattina il comandante della Taurinense generale Claudio Berto e il colonnello Emmanuele Aresu saranno al Salone del Gusto, con dieci giornalisti afgani, per raccontare il viaggio dello zafferano al sapore di pace.

Fonte
Arjuna
00giovedì 18 novembre 2010 12:23
North Dakota, il miracolo fatto in casa

Qual è lo Stato che può vantare una disoccupazione al 4,4%? E aumenti del Pil a due cifre con incrementi dei redditi delle persone fisiche pari al 23% tra il 2006 e il 2009? Uno pensa: non può essere che la Cina. Sbagliato. Anche nell’ansimante America c’è chi va alla grande. L’autore di questo miracolo è il North Dakota, ovvero uno dei piccoli e in apparenza marginali tra i 50 che compongono la federazione statunitense.
La sua fortuna? Aver dato retta, tra il 1915 e il 1920, alla Nonpartisan League, un movimento locale che l’establishment tentò di fermare bollandolo come populista, ma che in realtà era lungimirante. Quel movimento indipendente propose agli elettori del North Dakota di non aderire al Federal Reserve System ovvero al circuito finanziario imperniato sulla Fed, la Banca centrale americana. Pensavano, i contadini dello Stato, che non ci si potesse fidare dei banchieri di Wall Street e che fosse più saggio avvalersi di un Istituto indipendente. Il tempo ha dato loro ragione.
Il successo del North Dakota è tutto qui: pur usando il dollaro come valuta di scambio, oggi è l’unico Stato americano che non dipende dalla Federal Reserve. A garantire le sue riserve sono i cittadini, i quali, in caso di dissesti finanziari non potrebbero avvalersi dell’assicurazione federale sui depositi. Lo Stato corre un rischio, ma ipotetico: in oltre 90 anni di vita l’istituto non è mai stato in difficoltà ed è passato indenne attraverso ogni crisi.
Per legge lo Stato e tutti gli enti pubblici devono versare i fondi nelle casse della Banca centrale del North Dakota, che li usa non per ottenere utili mirabolanti, né per oliare indebitamente le banche private, ma per aiutare la crescita dello Stato. Di fatto agisce come un’agenzia di sviluppo economico e dunque sostiene progetti d’investimento, concede finanziamenti a tassi molto bassi, nonché un numero impressionante di prestiti agli studenti a condizioni eque.
Sarà per la mentalità contadina di quella gente o per le virtù civiche sia degli amministratori della banca che dei cittadini, ma il tasso di spreco e di inefficienza è bassissimo. Per dirla in altri termini: quegli investimenti non sono sprecati in progetti insensati o improduttivi, dunque non producono carrozzoni parapubblici con interessi e prospettive clientelari, ma producono ricchezza nel territorio e dunque nuovo gettito fiscale, nuovi fondi per la banca; insomma, generano un ciclo virtuoso.
Sembra l’uovo di Colombo, ma altro non è che il trionfo del buon senso. In ultima analisi lo scopo della banca centrale di un Paese dovrebbe essere quello di agevolare uno sviluppo economico armonioso e senza squilibri finanziari o inflazionistici. La Bank of North Dakota ci riesce a tal punto da chiudere ogni anno in utile (nel 2009 per 58 milioni di dollari), denaro che torna ai legittimi proprietari ovvero ai contribuenti. Il sistema funziona così bene che diversi Stati americani vogliono imitarlo. E mica solo staterelli, anche colossi come California, Ohio, Florida, stufi di un meccanismo che negli ultimi trent’anni ha creato una ricchezza illusoria.
La Federal Reserve, infatti, non appartiene ai cittadini americani, ma alle banche, che pertanto sono i suoi azionisti di riferimento, così come, peraltro, avviene per la Banca d’Italia. Il liberista Ron Paul da anni sostiene, inascoltato, che una Banca centrale non è nemmeno contemplata dalla Costituzione americana e che di fatto tradisce lo spirito dei fondatori degli Stati Uniti d’America. Furono gli ambienti di Wall Street, nel 1914, a indurre il presidente Wilson a creare la Fed, la quale, però, nel corso dei decenni ha assunto compiti e generato dinamiche devianti, sottraendo al popolo la sovranità finanziaria.
Contrariamente alla Fed, la North Dakota Bank non ha bisogno di considerare interventi straordinari a sostegno di un’economia asfittica, né di comprare i Buoni del Tesoro invenduti, per la semplice ragione che lo Stato non ha debiti ed è addirittura in surplus. La North Dakota Bank non ha seguito la moda dei subprime, né della cartolarizzazione dei debiti, né delle altre diavolerie finanziarie escogitate negli ultimi anni dai dissennati e avidissimi manager delle grandi banche d’affari. Ha continuato ad essere una banca centrale al servizio della comunità, capace di mettere a disposizione dei privati le risorse necessarie per avviare imprese che poi non vivono di sussidi, ma secondo le regole di mercato. È la rivincita di un’America semplice e vincente, ma di cui nessuno parla mai.

Fonte
Arjuna
00venerdì 26 novembre 2010 14:04
Persi nel Pacifico per 50 giorni

Tre ragazzi su una barca, sopravvissuti con carne di gabbiano e acqua piovana
MARINA VERNA

Da quarantasette giorni non li cercavano più. Erano partiti il 3 ottobre per un'impresa che doveva dimostrare a tutto il villaggio che non erano più ragazzi ma veri uomini - coprire a remi un centinaio di miglia tra due atolli delle Tokelau, un arcipelago neozelandese nel Pacifico del Sud -, ma dopo tre giorni non erano ancora arrivati. Per rintracciarli si erano mobilitate la Marina militare e la Guardia costiera, due aerei della Royal Air Force e due barche private di Samoa. Ma di Samuel, Edward e Filo - 44 anni in tre - non c'era traccia. Dopo qualche giorno li hanno dati per morti, inghiottiti da una tempesta o da un pescecane, oppure sfiniti dalla fame e dalla sete. Hanno celebrato un funerale senza bare e amen. Invece i tre erano vivi.

Inesperti e impreparati, erano finiti fuori rotta e andavano alla deriva sulla loro barchetta in alluminio a centinaia di miglia dal punto di partenza. Dopo cinquanta giorni in alto mare, li hanno trovati a mille miglia dal punto di partenza, in una zona raramente battuta dalle navi, tra le Figi e il possedimento francese di Wallis e Futuna. Famelici, smunti e bruciati dal sole tropicale, ma vivi. E passabilmente in buona salute. Per cinquanta giorni avevano stretto i denti e pregato, bevuto l'acqua piovana e mangiato pesce crudo. Non volevano morire, e la fortuna li ha premiati: un peschereccio per tonni ha avvistato il loro guscio in una zona dove non aveva nessun senso che fosse e si è avvicinato. «Abbiamo capito subito che c'era qualcosa di strano - ha raccontato il capitano Tai Fredricsen alla tv neozelandese -. Quella barchetta non poteva essere a pesca di tonni. Quando abbiamo urlato: “Avete bisogno di aiuto?”, quelli hanno ritrovato la voglia di scherzare e ci hanno risposto: “Beh, forse sì”. Erano pazzi di gioia. Ormai erano alla fine».

Da tre giorni bevevano l'acqua del mare. «La cosa peggiore che potessero fare», ha detto il capitano, che per loro fortuna è pure medico. E li ha salvati una seconda volta, tenendoli lontano dal cibo: sarebbero morti di indigestione. Invece ha dato loro solo un po' d'acqua da bere, si è fatto raccontare la storia e li ha sistemati in cabina a guardare cartoni. Il cibo arriverà un po' per volta, anche se i tre fremono per un vero pasto. «È un miracolo che li abbiamo trovati - ha raccontato uno dei marinai del peschereccio -. Erano in una zona dove normalmente le barche non vanno, perché lì è raro trovare tonni». Certi di arrivare a destinazione in poche ore, i tre avevano caricato sulla barca solo qualche noce di cocco e un po' di carburante per il motore fuori bordo. Senza strumentazione e senza carte, incapaci di orientarsi, senza rendersene conto avevano invertito rotta, il che ha complicato anche i soccorsi, perché li cercavano dalla parte sbagliata.

Per bere, avevano raccolto l'acqua delle piogge. Per mangiare, si erano arrangiati con il pesce che riuscivano a prendere con le mani e che trangugiavano crudo. Una volta avevano catturato un gabbiano che si era posato sul bordo della barca, e avevano divorato crudo pure quello. Ma si arrovellavano sul fatto che fosse stata una buona idea, magari era malato. E infatti è stata una delle prime cose che hanno chiesto al capitano: dottore, quella carne non ci avrà fatto male? Fredricsen li ha rassicurati: meglio il gabbiano del pesce, fa venire meno sete. Comunque, appena il peschereccio sarà arrivato a Suva, li spedirà in ospedale per controlli.

Fonte
Arjuna
00venerdì 3 dicembre 2010 11:23
Eredità a sorpresa dalla "zia d'America" che viveva a Torino

Un milione e 600 mila euro a due ignari fratelli inglesi

RAPHAËL ZANOTTI
TORINO

Dopo quattro anni due fratelli inglesi della middle class stanno per diventare gli eredi della cospicua eredità lasciata da Elizabeth S., anziana signora deceduta a Torino nel 2003. In oltre settant’anni di vita, i due fratelli non l’hanno mai incontrata. Non sapevano nemmeno della sua esistenza. Hanno scoperto di essere suoi lontani parenti un giorno del 2006, quando alla loro porta ha bussato un «cacciatore di eredi» della Coutot-Roehrig, società specializzata nel settore delle ricerche genealogiche. «Le nostre ricerche sono durate tre anni - spiega Nadia Spatafora, responsabile per l’Italia della Coutot-Roehrig - La signora Elizabeth, di origine ebraica, prima di stabilirsi a Torino aveva girato mezza Europa per sfuggire ai campi di concentramento nazisti».

Una fatica, quella dei «cacciatori», che è valsa la pena. L’eredità consiste in un milione di euro depositati su un conto corrente di una banca tedesca e due case, una a Torino e una a Rapallo, del valore stimato di circa 600mila euro. Un patrimonio che faceva gola a molti. Cercò di metterci le mani sopra persino un’ex cancelliera del tribunale di Torino, Adele Proto. In combutta con un esecutore testamentario, il commercialista Vincenzo Franco, e con altri inventò un falso testamento. Franco fece finta di ritrovarlo miracolosamente durante le operazioni di sgombero della casa della signora Elizabeth. Un trucchetto che il gruppo di malfattori aveva già utilizzato in altre occasioni per impossessarsi delle eredità giacenti di persone decedute senza parenti stretti.

Proprio il caso della signora Elizabeth, però, ha permesso di smascherare la banda. Lei, ebrea, sembrava voler lasciare tutto a un’associazione cattolica. Un particolare che ha incuriosito la procura. Grazie alle indagini del pm Gianmaria Pellicano, sono spuntati fuori altri casi. Alla fine gli indagati hanno patteggiato pene tra i due anni e dieci mesi e i quattro anni, restituendo parte del maltolto.

Ma che fine ha fatto nel frattempo l’eredità della signora Elizabeth? Dopo aver letto un articolo sulla stampa che parlava del caso, la Coutot-Roehrig ha offerto i suoi servigi al tribunale di Torino e si è messa sulle tracce dei legittimi eredi delle eredità giacenti. «Trattiamo circa cento casi all’anno - spiega ancora Spatafora - Da quando siamo nati ne abbiamo presi in carico circa 480. Il caso della signora Elizabeth è stato piuttosto difficile per la sua particolarità». Nata a Vienna da genitori originari di un piccolo paesino della Germania, la signora Elizabeth è scampata all’orrore nazista ma ha visto la sua famiglia decimata nei lager. Per questo, al momento della sua morte, non aveva più nessuno. Per rintracciare gli eredi, i «cacciatori» hanno fatto ricerche in molti Paesi, finendo addirittura negli Usa.

«Quando abbiamo trovato i fratelli inglesi abbiamo spiegato loro che potevano far valere un diritto sulle eredità della signora Elizabeth - racconta Spatafora - Riveliamo il parente e il valore dell’eredità solo se ci viene firmato un contratto di rivelazione. Noi ci occupiamo di tutte le faccende burocratiche e in cambio chiediamo una parcella che varia tra il 10 e il 30% netto del patrimonio». I due fratelli attendono da quattro anni la loro eredità perché il patrimonio è diviso tra Italia e Germania. Per una volta la nostra burocrazia è stata più veloce di quella tedesca. Mentre il tribunale di Torino ha già dato il via libera per la sua parte riconoscendo l’affidabilità del lavoro della Coutot-Roehrig, gli uffici giudiziari tedeschi stanno concludendo solo ora gli accertamenti.

«Recuperare quell’eredità non è solo una questione economica - conclude la Spatafora - I due fratelli inglesi hanno intrapreso una ricerca personale per ricostruire la loro famiglia. Quando a settembre siamo stati da loro per aggiornarli, è stato un momento anche emozionante».

Fonte
strega@rossa
00venerdì 3 dicembre 2010 11:29
Re: Eredità a sorpresa dalla "zia d'America" che viveva a Torino
Arjuna, 03/12/2010 11.23:


Un milione e 600 mila euro a due ignari fratelli inglesi

RAPHAËL ZANOTTI
TORINO

Dopo quattro anni due fratelli inglesi della middle class stanno per diventare gli eredi della cospicua eredità lasciata da Elizabeth S., anziana signora deceduta a Torino nel 2003. In oltre settant’anni di vita, i due fratelli non l’hanno mai incontrata. Non sapevano nemmeno della sua esistenza. Hanno scoperto di essere suoi lontani parenti un giorno del 2006, quando alla loro porta ha bussato un «cacciatore di eredi» della Coutot-Roehrig, società specializzata nel settore delle ricerche genealogiche. «Le nostre ricerche sono durate tre anni - spiega Nadia Spatafora, responsabile per l’Italia della Coutot-Roehrig - La signora Elizabeth, di origine ebraica, prima di stabilirsi a Torino aveva girato mezza Europa per sfuggire ai campi di concentramento nazisti».

Una fatica, quella dei «cacciatori», che è valsa la pena. L’eredità consiste in un milione di euro depositati su un conto corrente di una banca tedesca e due case, una a Torino e una a Rapallo, del valore stimato di circa 600mila euro. Un patrimonio che faceva gola a molti. Cercò di metterci le mani sopra persino un’ex cancelliera del tribunale di Torino, Adele Proto. In combutta con un esecutore testamentario, il commercialista Vincenzo Franco, e con altri inventò un falso testamento. Franco fece finta di ritrovarlo miracolosamente durante le operazioni di sgombero della casa della signora Elizabeth. Un trucchetto che il gruppo di malfattori aveva già utilizzato in altre occasioni per impossessarsi delle eredità giacenti di persone decedute senza parenti stretti.

Proprio il caso della signora Elizabeth, però, ha permesso di smascherare la banda. Lei, ebrea, sembrava voler lasciare tutto a un’associazione cattolica. Un particolare che ha incuriosito la procura. Grazie alle indagini del pm Gianmaria Pellicano, sono spuntati fuori altri casi. Alla fine gli indagati hanno patteggiato pene tra i due anni e dieci mesi e i quattro anni, restituendo parte del maltolto.

Ma che fine ha fatto nel frattempo l’eredità della signora Elizabeth? Dopo aver letto un articolo sulla stampa che parlava del caso, la Coutot-Roehrig ha offerto i suoi servigi al tribunale di Torino e si è messa sulle tracce dei legittimi eredi delle eredità giacenti. «Trattiamo circa cento casi all’anno - spiega ancora Spatafora - Da quando siamo nati ne abbiamo presi in carico circa 480. Il caso della signora Elizabeth è stato piuttosto difficile per la sua particolarità». Nata a Vienna da genitori originari di un piccolo paesino della Germania, la signora Elizabeth è scampata all’orrore nazista ma ha visto la sua famiglia decimata nei lager. Per questo, al momento della sua morte, non aveva più nessuno. Per rintracciare gli eredi, i «cacciatori» hanno fatto ricerche in molti Paesi, finendo addirittura negli Usa.

«Quando abbiamo trovato i fratelli inglesi abbiamo spiegato loro che potevano far valere un diritto sulle eredità della signora Elizabeth - racconta Spatafora - Riveliamo il parente e il valore dell’eredità solo se ci viene firmato un contratto di rivelazione. Noi ci occupiamo di tutte le faccende burocratiche e in cambio chiediamo una parcella che varia tra il 10 e il 30% netto del patrimonio». I due fratelli attendono da quattro anni la loro eredità perché il patrimonio è diviso tra Italia e Germania. Per una volta la nostra burocrazia è stata più veloce di quella tedesca. Mentre il tribunale di Torino ha già dato il via libera per la sua parte riconoscendo l’affidabilità del lavoro della Coutot-Roehrig, gli uffici giudiziari tedeschi stanno concludendo solo ora gli accertamenti.

«Recuperare quell’eredità non è solo una questione economica - conclude la Spatafora - I due fratelli inglesi hanno intrapreso una ricerca personale per ricostruire la loro famiglia. Quando a settembre siamo stati da loro per aggiornarli, è stato un momento anche emozionante».

Fonte




mi sa che faccio una ricerca fra i miei parenti...chissà che non ce ne sia uno ultra milionario [SM=x44473]
Arjuna
00lunedì 13 dicembre 2010 10:55
Medio Oriente, ebrei e arabi a scuola insieme: i bambini insegnano la pace

Nel villaggio Nevé Shalom, a Gesulamemme Est, giovani allievi occupano gli stessi banchi.

Pace in Medio Oriente? Si potrebbe cominciare a costruirla dai bambini. E’ questo il messaggio lanciato da una scuola frequentata sia da giovanissimi allievi ebrei che arabi palestinesi e da un libro per bambini britannici che racconta della storia di piccoli amici, di religione diversa, che crescono insieme sui territori martoriati dal conflitto. Ne parla Hugh Sykes su Bbc News.

VILLAGGIO DI PACE - A Gerusalemme Est può accadere che ad una manifestazione contro gli sfratti di alcuni palestinesi ci siano soprattutto ebrei a cantare e alzare striscioni, e che ci siano scritte in ebraico e in inglese. Un cambiamento radicale. Che lascia ben sperare. Qualche anno fa era diverso, dice Sykes. Alle manifestazioni anti-occupazione gli slogan erano scritti in ebraico e c’era bisogno di chiedere aiuto per tradurle. Ci sono molti più contatti tra ebrei e arabi, ora. “Siamo una azienda di successo”, dice Raida, una insegnante palestinese di storia in una scuola in cui bambini arabi ed ebrei giocano insieme. E aggiunge: “E’ per questo che il governo non ci piace”. L’istituto si trova a Wahdat al Salaam/Neve Shalom (Oasi di pace), un villaggio dove arabi ed ebrei. vivono volentieri insieme. Dal 1970. Si divertono insieme, sono vicini di casa, vanno al cinema insieme. Preparano gli insieme gli aquiloni quando c’è da accogliere tra i banchi un ospite speciale come Michael Morpungo, autore di libri per ragazzi.

GLI AQUILONI – La sua ultima opera narra una storia di bambini nelle terre del conflitto arabo-israeliano. E’ la storia di un ragazzo palestinese che fa volare aquiloni con la scritta “salaam” al di là di un muro di cemento che circonda un insediamento israeliano. Quando cambia il vento gli aquiloni tornano indietro con su la scritta “shalom”. Morpungo è convinto che la pace può realizzarsi partendo dai giovani ebrei ed arabi che vivono insieme. Imparando da loro.

Fonte
roadrunner
00venerdì 14 gennaio 2011 23:41
Volpe “spara" al cacciatore che l'ha ferita e riesce a fuggire

MINSK (14 gennaio) - Una volpe ferita ha “sparato” al cacciatore che aveva cercato di ucciderla spedendolo in ospedale con un proiettile nella gamba. È accaduto nella regione di Grodno, in Bielorussia, e la notizia viene pubblicata oggi dai principali media russi che ricostruiscono con abbondanza di particolari la dinamica di un incidente che ha dell'incredibile.

Dopo aver colpito la volpe, il cacciatore si è avvicinato cercando di finirla a mani nude. L'animale però ha reagito e ha involontariamente azionato il grilletto del fucile con una zampa facendo partire il colpo in canna. Il cacciatore è stato costretto a rivolgersi al pronto soccorso per farsi estrarre il proiettile da una gamba, mentre la volpe è riuscita a fuggire.


fonte


Arjuna
00martedì 18 gennaio 2011 11:09
Cultura, un business per ventenni

Quattro idee per liberare la nuova creatività
GIUSEPPE BOTTERO

TORINO
Da un vecchio cinema può rinascere una sala hi-tech che proietta film di artisti emergenti e introvabili pellicole Anni Sessanta. In un vecchio borgo che si affaccia sul Monte Rosa può sorgere una città abitata solo da teatranti, con la gente che va a fare la spesa in maschera e in costume d’epoca. Una rivista può essere concepita in treno, un festival internazionale nella cucina di mamma.

Mentre il tasso di disoccupazione giovanile schizza a livelli record e le piazze si riempiono di ragazzi che protestano contro i tagli alla cultura, c’è qualcuno checon la forza delle idee, della Rete e del gruppo- riesce a cambiare le cose, a riprendersi gli spazi. Ecco quattro storie di under 30 che provano, nel loro piccolo, a costruire un’Italia diversa.

Il laboratorio di teatro nel paese fantasma
Campsirago era un paese fantasma, vuoto, abbandonato, patrimonio storico e culturale di un’talia che non c'è più. Un paese agricolo, un nucleo di case isolato geograficamente e storicamente». Quando alla fine degli Anni Ottanta se ne sono andati anche gli ultimi figli dei fiori, che avevano occupato le case dei contadini, sembrava che per il vecchio borgo che guarda il Monte Rosa non ci fossero più speranze.

Non è andata così, perché Campsirago, nel giro di pochi anni, è diventato il paese dei teatranti e adesso è la sede della compagnia «Scarlattine», che ha creato un laboratorio per far crescere i ragazzi che si affacciano sul palco per la prima volta. «Abbiamo una residenza in cui si trasferiscono per mesi i ragazzi di compagnie italiane e internazionali - spiega il direttore Michele Losi -. In cambio dell’ospitalità non chiediamo nulla, ma spesso il gruppo che ha provato da noi tutto l’inverno mette in scena lo spettacolo nel festival che organizziamo ogni estate».

Il borgo vive di nuovo, e negli uffici della «Scarlattine» piovono richieste: i prossimi ospiti saranno turchi. «Il nostro orgoglio - così Losi - è aver messo in piedi una città del teatro. Un laboratorio per le compagnie del futuro».

Seicento euro a testa per il cinema high tech
Al bar, al posto di Coca Cola e pop corn, ci sono barrette biologiche e bicchieri di vino rosso. Invece dei blockbuster sullo schermo scorrono le immagini in bianco e nero della Nouvelle Vague, i documentari indipendenti lanciati dai Festival, i b-movie che hanno fatto innamorare Tarantino.

E’ il mondo sottosopra, quello che dal 3 febbraio andrà in scena al vecchio Crauco, il cinema incassato nel quartiere popolare del Pigneto, Roma Est, a due passi dai bar in cui Pasolini girò «Accattone». E’ il mondo sottosopra, e il motore sono sessanta trentenni che hanno affittato la sala chiusa dal giugno scorso e dopo un autunno passato con la cazzuola in mano per rimetterla a nuovo adesso sono pronti all’inaugurazione. Il nome, «Kino», l’hanno rubato un locale di Berlino.

I soldi li hanno sborsati da soli: seicento euro a testa, con la prospettiva concreta, dice Cristiano Gerbino, «di non rivederli mai più. Sappiamo benissimo che la nave può affondare nel giro di sei mesi, ma per quei centottanta giorni noi saremo vivi e pulsanti». Molti dei soci del «Kino» si sono conosciuti in piazza, mentre protestavano contro i tagli. Poi Facebook ha fatto il resto. Riunioni, appelli, idee. Adesso è tutto pronto, si parte. Prima proiezione: «Altrimenti ci arrabbiamo». Praticamente una dichiarazione d’intenti.

La rivista che scopre i romanzieri
Si sono accorti che le cose stavano cambiando quando in libreria hanno trovato gli autori lanciati dalla loro rivista. Il primo è stato Marco Drago, che ha pubblicato con Feltrinelli. Poi è stato il turno di Giorgio Fontana, con Mondadori. Prima era tutto un gioco da studenti. «Abbiamo fondato “Inutile” perché le riviste letterarie che conoscevamo non ci piacevano», raccontano Matteo Scandolin e Alessandro Romeo.

L’idea è del 2005: avevano appena 23 anni. Un lustro dopo il magazine è ancora in piedi e nei mesi scorsi è sbarcato anche su Internet, senza abbandonare il formato cartaceo, un gigantesco foglio ripiegato in otto parti che si trova in libreria, nei circoli Arci e nelle stazioni. «Il Web? La nostra presenza è molto attiva e attenta. Grazie alla Rete siamo riusciti a conoscere autori stranieri con cui sarebbe stato difficile rapportarsi», spiega Matteo.

Ma come funziona una rivista auto-prodotta? «Facciamo quasi tutto via e-mail e al telefono- dice Alessandro-. Poi, quattro o cinque volte all’anno ci troviamo di persona, a Venezia o a Torino». Di soldi ne girano pochi, ma non è un motivo per mollare. «Spesso ai ragazzi manca la voglia di andare oltre le prime difficoltà - dice Matteo -. Magari si prova a organizzare qualcosa, ma ci si ferma quasi subito».

Nella masseria i writer diventano artisti
Se durante l’anno il centro di Grottaglie è invaso da signore di mezza età a caccia di ceramiche da collezione, a marzo il piccolo comune pugliese si riempie di punk e graffitari in arrivo da mezzo mondo, tutti ospiti di Angelo Milano, il ventottenne che organizza «Fame Festival», kermesse che - in tre edizioni - ha lanciato alcuni degli artisti più quotati a livello europeo. Da Grottaglie - 30 mila abitanti, a mezz’ora di macchina da Taranto - c’è passato il re dei writer Blu, una manciata di mesi prima di finire alla Tate Modern di Londra.

Gli sono bastati un paio di giorni per trasformare le case abbandonate in pezzi da museo post-moderno. Con lui, i gemelli brasiliani Os Gemeos, l’americano Momo e il fotografo francese Jr, che nel 2010 si è portato a casa il «Ted Prize», il premio che una super-giuria assegna alle persone «che cambieranno il mondo». Prima di lui l’avevano vinto anche Bill Clinton, Bono e il fondatore di Wikipedia Wales.

«Qui gli artisti vengono gratis, sulla fiducia - dice Milano - anche perché il festival non riceve nessun finanziamento. Dormono a casa di amici, mangiano da mia madre. A fine settembre organizziamo una mostra: la metà del ricavato va a pittori e illustratori. L’altra finisce nelle casse di “Fame”, che così riesce a sopravvivere».

Fonte
Arjuna
00venerdì 21 gennaio 2011 10:19
Il miracolo di Carlina: rapita 23 anni fa ritrova la mamma grazie a Internet

Ragazza riabbraccia la famiglia "Insospettita da una foto in Rete quella neonata scomparsa ero io"

Lieto fine per una terribile saga, iniziata nel 1987 con il rapimento di una bimba di tre settimane appena, da un ospedale di Harlem: la protagonista, una ragazzina ormai 23enne, ha risolto l’enigma e potuto riabbracciare la sua famiglia biologica.

Carlina White fu portata via a 19 giorni di vita da un ospedale di Manhattan, dove era stata ricoverata insieme alla madre perchè febbricitante, il 4 agosto del 1987. Circa due ore dopo l’ammissione, Carlina scomparve dalla culla del reparto di pediatria dove riposava.

Gli inquirenti si concentrarono sulle tracce di una donna misteriosa che aveva consolato la madre, preoccupata per Carlina, e che era stata vista circolare nel reparto vestita da infermiera. Carlina fu portata in Connecticut e poi in Georgia, tirata su da una donna che le cambiò il nome in Nejdra Nance. Ma i sospetti di Carlina cominciarono subito, innescati dal fatto che non assomigliasse a nessuno della famiglia: «Aveva sempre avuto la sensazione di non appartenete a quella famiglia», ha spiegato martedì un portavoce della polizia, Paul J. Browne, raccontando alla stampa la vicenda. Finchè ad un certo punto la ragazzina non si mise a studiare il sito web del National Center for Missing and Exploited Children; e fu proprio lì che trovò la foto un neonato che le sembrava le assomigliasse particolarmente. Preso coraggio, la ragazza ha chiamato la madre biologica, Joy White, che non sapendo se la giovane donna fosse davvero la figlia, si è rivolta alla polizia. Gli inquirenti hanno prelevato i campioni del DNA di Joy White e Carl Tyson, che nel frattempo si erano separati. «E l’istinto naturale della figlia è stato confermato dal tampone del Dna», ha spiegato ancora Browne.

Il referto ufficiale è arrivato solo martedì notte; ma nel frattempo Carlina e la sua famiglia biologica si erano già incontrati, venerdì notte nel Bronx, e abbracciati. La protagonista non ha parlato con la stampa ma sul suo profilo di Twitter ha scritto che si sta trasferendo a New York City. La madre, che non aveva mai creduto alla morte della figlia, aveva persino usato il nome di Carlina nel suo indirizzo di posta elettronica. «Sono sopraffatta dalla gioia. Abbiamo parlato e avuto modo di conoscerci e lei sembra identica a mia madre. Ci sentivamo come se ci conoscessimo da tempo», ha raccontato la sorellastra, Sheena, 18 anni, al New York Times. Adesso la polizia indaga sulla donna che ha tirato su Carlina.

Fonte
roadrunner
00giovedì 27 gennaio 2011 22:04
Etrusco, 27/01/2011 21.09:




ad una mia amica la figlia glielo ha chiesto come regalo di Natale,
ma lei glielo ha concesso solo dopo averne parlato a lungo e avergli fatto capire cosa significasse




...che ci sia una bimba che nel 2011 chiede un simile regalo per natale....mi sembra una buona notizia...una di quelle che lasciano intravvedere che puo' esserci fiducia nelle future generazione nonostante un evidente imbarbarimento della societa'.... [SM=x44459]
Arjuna
00venerdì 4 febbraio 2011 11:13
Recupera la voce dopo undici anni

L’emozione della voce. Un suono che si articola attraverso i nostri organi e che si riversa all’esterno per raccontare emozioni, desideri, sogni. Brenda Jenson da oltre 11 anni non parlava più a causa di un errore chirurgico. Ma grazie ad un trapianto unico al mondo, i cui risultati sono stati resi noti in settimana al St. David Medical Center a Sacramento in California, ha ora recuperato la voce. Nel team di medici che ha compiuto quest’eccezionale operazione, c’è anche l’italiano Paolo Macchiarini.

E’ il primo trapianto completo di faringe, trachea e tiroide a dare la possibilità alla Jenson di tornare ad una vita normale. Fino ad ottobre, mese dell’operazione, esprimersi le era possibile solamente attraverso un dispositivo elettronico, che dava alla voce una chiara impronta metallica.

Un lungo calvario, culminato in un intervento durato ben 18 ore, compiuto da un team internazionale composto da 24 esperti, che ha studiato il caso della Jensen per oltre 2 anni. Una tipologia di operazione che, prima di questo intervento, aveva fatto registrare solo un altro caso simile, nel 1998 a Cleveland, sempre negli Stati Uniti, che tuttavia non era stato eseguito in modo completo come nel caso di Sacramento. Oltre alla voce, il grave danno della trachea e della faringe della donna aveva anche reso la Jensen incapace di percepire sapori e odori, oltre che di respirare autonomamente.

Gregory Farwell, che ha capitanato il team che ha eseguito l’operazione, ha sottolineato l’eccezionalità del trapianto: “Siamo assolutamente soddisfatti dei risultati di questo caso straordinario. La laringe è un organo estremamente complesso, dotato di un articolato intreccio di nervi e muscoli in grado di emettere la voce e consentire la respirazione”.

Un risultato che è stato possibile, sempre secondo quanto affermato da Farwell, grazie anche allo straordinario team di professionisti che ha eseguito l’operazione tra cui figura anche l’italiano Paolo Macchiarini, professore di chirurgia rigenerativa al Karolinska Institutet in Svezia ed uno dei pionieri del trapianto di trachea, che ha così commentato l’evento: “Essere in grado di ripristinare i nervi e ricollegare i vasi sanguigni dentro e intorno alla laringe e alla trachea è stato un vero banco di prova”.

Il percorso verso la riabilitazione, cioè la riconquista completa delle facoltà di parola e di deglutire sarà lungo ma sta già dando i primi risultati. Nella conferenza stampa che ha presentato al mondo i risultati di quest’operazione, la Jensen ha affermato: “Quest’operazione ha dato un nuovo senso alla mia vita”. E non ha dimenticato neppure di ringraziare la famiglia dello sconosciuto che ha permesso la donazione degli organi, senza i quali tutto questo non sarebbe stato possibile.

L’operazione dona anche una speranza in più a quanti affetti da patologie simili.

Fonte
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:17.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com