Ugo Magri per “la Stampa”
Se non un grazie, i Ds si sarebbero attesi dal Cavaliere quantomeno un attestato di correttezza, la conferma che nella maggioranza ci sono persone serie con le quali l’opposizione dialoga serenamente. Con grande sorpresa del Botteghino, invece, da Berlusconi sono arrivati solo insulti: killer, golpisti, dementi e perfino (sia pure in chiave scherzosa) maiali.
Tutto per la decisione di mandare in aula il 14 maggio la legge sul conflitto d’interessi, che Berlusconi considera alla stregua di un colpo basso per farlo politicamente fuori. «Fassino e D’Alema fingono di dialogare, ma nei fatti si dimostrano complici di Prodi», è lo sfogo privato berlusconiano, «perché al dunque non alzano un dito in mia difesa».
La realtà, però, è un po’ diversa da come il Cavaliere e i suoi la dipingono. Non solo i Ds si sono battuti per spegnere i furori antiberlusconiani più accesi. Ma addirittura Violante, cioè colui che i «berluscones» considerano il peggior nemico, è arrivato a minacciare le dimissioni da relatore del provvedimento, nel caso in cui fosse passata la linea estremista.
E’ accaduto durante la riunione di maggioranza di giovedì scorso: tra i capigruppo dell’Unione è andato in scena un duro scontro, con Violante che ha stoppato il tentativo di Verdi e Pdci che volevano inserire l’ineleggibilità di chi ha beni al sole per oltre 15 milioni di euro. In questo caso, Berlusconi non si sarebbe più potuto nemmeno ricandidare alle elezioni.
C’è dell’altro. Quando l’ex presidente Rai e ora deputato della Margherita, Zaccaria, ha suggerito in Commissione un’altra trappola anti-Silvio (vendita obbligatoria dell’impresa da parte del blind trust), tanto Violante che il rappresentante del governo, Paolo Naccarato, hanno espresso parere contrario. L’emendamento è stato messo ai voti e bocciato con il concorso (udite udite) dei terribili comunisti mangia-bambini di Rifondazione.
Il risultato è dunque una pallida controfigura della legge che il fronte antiberlusconiano avrebbe gradito. Fassino l’ha ripetuto ieri: «La legge va fatta, ma deve essere percepita dai cittadini come equilibrata, giusta e non come uno strumento per punire qualcuno». Perché allora, si chiedono sotto la Quercia, Berlusconi strepita tanto? Bonaiuti, il quale segue dappresso la vicenda per conto del Cavaliere, punta l’indice contro la decisione di portare in aula alla Camera il provvedimento: «I moderati della maggioranza arrivano sempre tardi, quando la sinistra radicale ha già ottenuto il suo scopo».
Obiettano dall’altra parte: la scadenza del 14 maggio, data di inizio del dibattito, era nota da tempo. E allora, dicono gli «ambasciatori» Ds accreditati a via del Plebiscito, non c’è che una spiegazione: Berlusconi alza i toni perché si vota in Sicilia, e poi alle amministrative. Vuole attirare su di sé i riflettori recitando la parte della vittima. Con il ministro Gentiloni che già si concede una profezia: «Vedrete che, passate le elezioni, questa legge “liberticida” gli andrà benone...».