Giro 2010: Il ritorno di Ivan il Terribile - Basso, l'ascesa, la caduta, la risurrezione
Lo chiamano kaiser lo Zoncolan. Imperatore tra le salite d'Italia e d'Europa, porta dell'Inferno come recita uno striscione diventato ormai consueto all'inizio di quella strada infinita verso il cielo. Kaiser come era soprannominato Jan Ullrich, che se solo avesse voluto ben più di un impero avrebbe instaurato in giro per il mondo. E kaiser avrebbe dovuto essere anche il vincitore di quest'oggi. Magari Gilberto Simoni, col sogno, la voglia di confermarsi dominatore incontrastato di questa salita già conquistata due volte e che gli ha reso comunque l'omaggio che merita un sovrano degno, giunto al tempo della resa. Molto più semplicemente il kaiser avrebbe dovuto esser colui che questo Giro lo vuol vincere sul serio. E forse non poteva essere che lui, chi sovrano del Giro lo era diventato prima che il corso degli eventi prendesse un'altra piega. È tornato Ivan Basso, con quella grinta, quella capacità di lasciarsi tutti dietro come nei giorni belli, distruggendo la resistenza di avversari che i propri distacchi li contavano in minuti.
Non appare neppure un caso che questa vittoria sia venuta quest'oggi, perchè quando i presupposti per la giornata da ricordare ci sono tutti non si può fallire, il trono aspetta per ritrovare il sovrano ferito in battaglia e che pazientemente ha curato le sue ferite. Piegato ma non ucciso dal destino ed ora tornato là, dato che quello che non uccide fortifica. Il sovrano, il Kaiser o semplicemente Ivan il Terribile che torna a prendersi il suo regno lì, nel tripudio di folla straordinario dello Zoncolan, a ricordarci senza che ce ne fosse bisogno quanto la bellezza dellla passione, del sostegno e del tifo genuino del ciclismo non siano secondi a nessuno, proprio come il Basso di quest'oggi, secondo a nessuno. A proposito di passione e di tifo poi non era neppure facile l'ulteriore impresa, che solo i grandi, gli eletti ad imporre la propria legge, sono in grado di realizzare: riportare (o cercar di riportare) l'attenzione su di sè di un intero popolo, riprendendosi le prime pagine dei giornali. Non sappiamo ancora se Ivan quest'oggi è riuscito anche in questo ma se non altro, in un Paese inevitabilmente distratto anche dai tripudi nerazzurri, ha tenuto a ricordare che si sta correndo anche un Giro d'Italia, la festa di popolo per eccellenza e che di fronte ad una squadra di calcio capace di vincer tutto nello stesso anno (sembra tornare il tema del kaiser anche qui), passa quasi mediaticamente in secondo piano (con tanta comprensione per il buon Nibali, che forse ha avuto la colpa di far la sua impresa proprio ieri).
Probabilmente era destino che la disputa si risolvesse tra Basso ed Evans. Tra il vecchio sovrano che risale la strada della gloria e l'aspirante sovrano che il suo regno iridato l'ha già conquistato, a neppure troppa distanza dai confini italici e deciso a conquistare l'Italia intera. Gli otto chilometri o poco meno che restavano al traguardo e soprattutto un'erta assassina e affilata come una lama, al 22%, era solo l'avvio della disputa reale. Tanti pretendenti, poi ancora meno, poi il duello finale finchè non ne resta soltanto uno. Seduto Basso a forzare, in piedi sui pedali Evans a ricordare il biker che era, più serio, lui che col buon umore convive, Scarponi, a chiedersi quanto ancora proseguirà la lotta. Era lotta tra imperatori, di cavalieri piagati dagli scontri ed altri fieri nella loro volontà di non subir l'onta della sconfitta, non lì dove le pendenze della strada creano una cappa ovattata in grado di celar qualsiasi voce, urlo, proveniente da pochi metri. Se la devono giocar loro questa disputa e così Scarponi, quasi in ossequioso rispetto, si defila ai meno sei. E' il momento di Basso ed Evans, di giochi di sguardi, di magliette semi-aperte per contrastar le temperature gradevoli finalmente vissute da questo Giro, di andatura tremendamente efficace e mulinante da seduti opposta a quella ciondolante da scalatore vero. Si è voltato Basso, invitando anche eloquentemente alla battaglia il suo degno rivale, di andar soli un pò più su dove si sarebbe consumato lo scontro decisivo. Una prima stilettata ai cinque chilometri e mezzo, per veder se Evans accusava il colpo. Niente, si va avanti. Si prosegue ai meno 3,8 dall'arrivo. Un istante. Ivan da seduto si alza per una decina di metri, piazza la botta. Evans si siede, china il capo sconfitto. Mancano ancora più di tre chilometri e mezzo ma passa una vita davanti. Immagini che passano davanti a Evans, in cerca disperata di pendenze più dolci dove rianimarsi ma che non gli consegneranno quel trono che svanisce davanti a lui e alla progressione di Basso. Tante immagini che hanno iniziato a passare davanti ad Ivan, a cominciare da quella maglia iridata indosso al suo avversario. La prima maglia che lo fece diventar grande a Valkenburg nel 1998, da Under 23. La maglia di un ragazzo salito in cima al suo mondo, un reuccio che il mondo, quello delle grandi corse a tappe e forse non solo, lo voleva conquistar davvero. Anni di gavetta, un passo per volta, ad imparar dalle sconfitte che fanno pur parte del percorso di chi un giorno vuol diventare leader. Ivan che un kaiser sulla sua strada l'ha trovato, cominciando ad osservarlo fin da quando una maglia bianca testimoniava che risiedeva in lui la meglio gioventù. Quell'Ivan Basso che sognava di opporsi a un padrone americano, che aveva fatto delle strade di Francia la sua terra di conquista e che, nei suoi duelli in grado di fargli conquistare il rispetto del sovrano ancora al suo posto, tanto da raccoglierne quasi l'ideale investitura. Prima che con Armstrong però il destino si doveva provare a scrivere sulla madrepatria, domando lo Stelvio e tutti i molossi che via via si frapponevano. Il Colle di Tenda si piegò, lo Stelvio e il Colle delle Finestre restarono in piedi maestosi e rinviarono i propositi all'anno successivo. Quando Ivan era più sicuro di sè, condottiero con al servizio compagni in grado a loro volta di regnar per conto loro (Sastre per dirne uno), capace di fermare il tempo, anzi di demolirlo quando ci si doveva lottar contro prima che la salita facesse da giudice supremo. Ivan il Terribile che faceva quel che voleva, che i suoi minuti, marchiati quasi alla maniera di Zorro e della sua spada, li distribuiva in doppia cifra, mulinando a più non posso, asfissiando chiunque volesse provare a contrastarlo. L'Italia era conquistata, restava la Francia. E tale restò, quando l'Operacion Puerto intervenì a cambiare il corso degli eventi. Il guerriero ferito, costretto all'esilio forzato, con la reputazione da ricostruire, a testa bassa, con il volto del pentimento da esibire d'ora in avanti invece di corone luccicanti.
A che pro andare avanti con allenamenti-massacro? A far su e giù dal Cuvignone, simulando chissà quali tappe, immaginando di trovarsi in chissà quale vetta? Ad apparir un Rocky Balboa nella silenziosa attesa dei giorni che contano? Il motivo c'era ma prima c'era da ricominciare a testa bassa, il regno doveva aspettare. Il tempo dell'umiltà e della riconquista di gradi e sostegno doveva necessariamente venir prima. Una piccola contea per cominciare (il Giro del Trentino) ma poi nei regni testa alta ma appena sufficiente a far vedere che era lì, che alla lotta di successione si poteva assistere ma non partecipare attivamente, magari col compiacimento di chi da quel momento in poi l'avrebbe voluto sempre lì, guerriero di seconda linea incapace di riprendersi un regno, di quelli a cui far vivere pochi giorni di gloria per tornar in una dimensione opaca, quasi anonima.
Può accettare una condizione simile chi è stato sovrano? Dubitiamo, fortemente dubitiamo e ora neppure traggono in inganno le settimane in disparte, con gli altri già in prima linea a combattere e lui ad affilar le armi, in attesa di usarle al momento opportuno. Ed intanto scudieri sempre più fidi, altri guerrieri da lanciare all'attacco, compreso il futuro erede alla successione a trovarsi lì sulla strada, a ridar fiducia al sovrano che vuol tornare alla caccia del suo regno. L'umiltà di Agnoli e Szmyd, a cui vanno riconoscenza e rispetto; l'esuberanza giovanile di Kiserlovski, da esporre per procurar pericolo ad altre truppe; l'intesa diabolica con Nibali, gettato all'avanguardia col coraggio di chi sa di poter esser pronto a colpire al momento opportuno. A confondere le idee, a far credere che il sovrano neppure questa volta magari tornerà. E che intanto si fa beffe dei suoi avversari, all'alba della nuova battaglia.
Tante immagini, una miriade ne sono passate davanti allo splendido Ivan Basso di oggi, tornato a vincere alla sua maniera, con gli avversari lasciati a minuti, dilaniati dal ritmo infernale della sua pedalata. Uno solo è giunto alla meta, nel tripudio della folla che il suo tributo non lo fa mancare mai, quali che siano stati o che siano gli eventi. Il pomeriggio va verso la conclusione col sole ancora alto, nitido ad illuminare il ghigno rabbioso di Basso, che torna a vincere una tappa dopo quattro anni. Il pugno nell'aria che sostituisce le braccia al cielo, a testimoniar un successo voluto come non mai. Avevamo lasciato un sovrano che alla gloria del regno appena conquistato abbinava la gioia ben più immensa della nascita di un figlio, l'erede magari sognato, che sul traguardo dell'Aprica mostrava orgoglioso la foto del suo Santiago. Ritroviamo l'uomo tornare sovrano. Kaiser Ivan sul Kaiser Zoncolan e la storia che ricomincia da capo. L'Aprica l'attende anche quest'anno e tra pochi giorni sapremo cosa succederà. E pazienza se la dignità di Arroyo e Porte, splendidi protagonisti in questo Giro folle, ancor si frappone al riconoscimento del primato. Quest'oggi Basso è tornato, ha vinto, ha staccato tutti facendo il vuoto. E' tornato Kaiser e Kaiser vuol restare.
Vivian Ghianni per Cicloweb.it