Giulio Caradonna è morto

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Etrusco
00martedì 24 novembre 2009 17:52
IL COMPAGNO PIZZI ALLE ESEQUIE DI GIULIO CARADONNA, PADRE DI TUTTI I FASCISTONI
- NEL '55 ASSALÌ BOTTEGHE OSCURE, NEL '68 SPARSE TERRORE ALL'UNIVERSITÀ A COLPI DI SPRANGHE
- UNA VOLTA CERCÒ DI BUTTARE L´AMBASCIATORE CINESE, IN MUTANDE, DENTRO LA FONTANA DELLA MINERVA
- DIETRO LA BARA, EIA EIA ALALÀ!: BRACCIO LEVATO NEL SALUTO ROMANO, SFILANO GLI ARDITI DI CARADONNA E CIARRAPICO
- IL GOVERNO BEN RAPPRESENTATO DAL MINISTRO DELLA DIFESA LARUSSA E DA GASPARRI!


saluto al camerata

Foto di Umberto Pizzi da Zagarolo

1- ALL'ADDIO DI CARADONNA SI VEDE POCA AN...
Maria Grazia Greco per "Il Tempo"



Qualche mese fa Giulio Caradonna li aveva definiti «i migliori della loro generazione».
Ieri Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri - unici big da piazza Montecitorio - hanno ricambiato arrivando puntuali al suo funerale. Che non è stato, come c'era da aspettarsi, un funerale qualsiasi. A cominciare dalla bara ricoperta con la bandiera della Repubblica sociale, per finire al saluto romano più volte ripetuto, passando per lunghi, lunghissimi applausi quello di ieri pomeriggio è stato anzitutto il funerale di un camerata.

Probabilmente la cerimonia che si aspettava, col discorso appassionato di Domenico Gramazio, con Ciarrapico (il Ciarra è ormai l'ultimo vero fascista esplicito), con Teodoro Buontempo, con i militanti degli anni Settanta, con qualche fotografo, anche. Niente folle oceaniche, nella piccola chiesa di San Giuseppe in via Nomentana, poiché Giulio Caradonna non era certo di quelli che piacevano a tutti: ruvido, dissacrante, sarcastico, per quelli che oggi occupano il Parlamento non si è mai sperticato in lodi, anzi.


LA RUSSA

Fini? «Non mi convince».
Storace? «Bravo ragazzo, ma con quel partitino non si va da nessuna parte».
Alemanno? «Grande coraggio fisico, poca intelligenza politica» e poi uno spiraglio: «Vedremo cosa farà come sindaco di Roma».

Filoatlantico, filoisraeliano (andò a Gerusalemme a rendere omaggio al muro del pianto una trentina d'anni prima di Gianfranco Fini), il ricordo di Alemanno con la kefiah in testa non l'ha digerito fino al giorno in cui si è convinto che, finalmente redento, alla guida della Capitale poteva far bene.


Otto legislature, dodici processi e sette condanne, Giulio Caradonna era decisamente - decisamente - un attivista: resta memorabile la foto di lui che fa il saluto romano mentre la camionetta della polizia lo porta via, resta memorabile il coro «Se non ci conoscete, pregate la Madonna, noi siam gli arditi di Giulio Caradonna».

Ma resta memorabile anzitutto la carica sessantottina alla facoltà di Lettere per separare il mostro informe nato dall'unione dei militanti di destra con i «rossi».
«Arrivai quando i nostri erano già fuggiti a Giurispudenza», disse poi, ma non ha mai negato di aver diretto le operazioni con la sua inseparabile stampella a fare da bacchetta. Del resto, come ha candidamente ammesso, l'unico suo rimpianto è quello di «non aver menato abbastanza ai comunisti».



Per «sputtanarli», però, fece di tutto, perfino tentare di buttare l'ambasciatore cinese in mutande nella fontana della Minerva. Non manca nulla nel suo curriculum di politico-militante, nemmeno l'iscrizione alla P2 e un film («Vogliamo i colonnelli») ispirato alla sua vita rocambolesca.

Non tutto, comunque, gli piaceva della destra di allora: certi riti pagani con sacrifici di galli - fatti avvenuti in una federazione di Pisa - proprio non poteva ammetterli, tanto da chiedersi se quel gallo toscano di tre mesi «offerto a non so chi cavolo», venisse in fine mangiato. L'idea in sé lo sconvolse poiché se c'era qualcosa in grado di sconvolgere Caradonna era la mancanza di concretezza, le parole inutili, le perdite di tempo. Il suo funerale, quindi, breve e con i pochi amici di sempre, non lo avrà certo deluso.





2 - ADDIO A CARADONNA UN FASCISTA DA FILM
- BOTTE, PROCESSI E SLOGAN SUI MURI
- MAI CON ALMIRANTE MA FAN DI ISRAELE. E SCETTICO SU AN


Filippo Ceccarelli per "la Repubblica - Roma"



È morto Giulio Caradonna, che certo era un gran fascistone, ma anche un uomo a suo modo eccentrico, un personaggio senza dubbio: per cui non solo l´occasione, ma ormai anche la lontananza consentono qui di ricordarlo ben vivo al centro di un´epopea romanzesca e cinematografica, una turbinosa temperie di pugni e duelli che sta fra I tre moschettieri e Bud Spencer. Anche se la leggenda vuole che proprio su di lui, nei primi anni settanta, Mino Monicelli ritagliò la figura del protagonista di "Vogliamo i colonnelli", interpretato da un indimenticabile Tognazzi.


CIARRAPICO:
"son fascista e te lo dico!"

La commedia all´italiana, come è noto, non disdegna i toni drammatici, e anche drammatica, per forza di cose, è stata di vita di Caradonna, che fin dall´inizio dovette tenere testa alla fama del padre, pure lui gran fascista del Tavoliere, per giunta inventore degli squadristi a cavallo, nonché amico di Padre Pio.

Giulio era basso, rotondetto, portava baffi ferrigni, un occhio gli andava un po´ per conto suo; in più da un certo punto in poi era anche claudicante, eppure anche con l´inseparabile stampella riuscì a farsi valere nelle centinaia di scontri ingaggiati in piazza, fin dai tempi delle manifestazioni su Trieste, con gli attivisti del «Raggruppamento» che addirittura prese il suo nome, i migliori dei quali provenienti dall´Accademia Pugilistica Romana di cui fu a lungo presidente. C´era anche una specie di inno che faceva:
«Se non ci conoscete,
ohé, per la Madonna,
noi siamo gli Arditi
di Giulio Caradonna!».



IL RICORDO DI GRAMAZIO

Ricorda Adalberto Baldoni nella sua recente «Storia della destra» (Vallecchi), autentica e meritoria bibbia missina,
che fra costoro c´erano «tipici personaggi avventurosi dai nomi esotici, tipo "il Cobra", "il Caimano" e "lo Sceriffo"», quest´ultimo distintosi per aver tenuto a bada una folla di cento comunisti con due rasoi presi in una bottega di barbiere. Ma la loro fama crebbe anche grazie al "Gatto", che perse una mano per via di una bomba, e al "Postino" di cui lo stesso Caradonna ha raccontato che era così grande da poter mangiare 50 uova sode.

Tra i giovani del grazioso vivaio vanno pure annoverati Sbardella e il Ciarra.
Otto legislature in Parlamento, una dozzina di processi, sette condanne, mille scritte nere «vota Caradonna» sui muri di Roma, la stagione più densa di botte tra il 1955, quando alla testa dei suoi soliti artisti della scazzottata (e non solo) diede l´assalto alle Botteghe Oscure, e il 1968 universitario, di cui resta una foto di lui che fa il saluto romano mentre su una camionetta la Polizia se lo sta portando via. Una volta cercò di buttare l´ambasciatore cinese, in mutande, dentro la fontana della Minerva.

Nella vecchia fiamma non fu mai con Almirante («Mi guardava con l´occhio porcino»)
e sempre si mostrò diffidente nei riguardi delle correnti esoteriche, sociali, rautiane e ye-ye.
Era anzi molto atlantico e sinceramente filo-israeliano.
Lo pizzicarono nella P2, ma giudicava Gelli «un saltapicchio» di regime.
Sosteneva che il Msi era stato a lungo «la sputacchiera amica» della Dc.
Guardava ad An con un certo scetticismo - e dal suo punto di vista non è che avesse tutti i torti.


Fonti: Maria Grazia Greco per "Il Tempo", Filippo Ceccarelli per "la Repubblica - Roma"
[23-11-2009]


RIP

+tag+
00mercoledì 25 novembre 2009 10:36
one less!
bremaz
00mercoledì 25 novembre 2009 10:42
Ma davvero bisogna dedicare articoli di giornale a sta gentaglia quando finalmente si leva dai coglioni?
+tag+
00mercoledì 25 novembre 2009 14:00
Re:
bremaz, 25/11/2009 10.42:

Ma davvero bisogna dedicare articoli di giornale a sta gentaglia quando finalmente si leva dai coglioni?


cacchio!!
pensavo di essere stato troppo cinico io!!!! [SM=x44499]

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