Il cinema che verrà

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killing zoe
00martedì 25 dicembre 2012 11:11
Di Caprio mattatore tra Django e Gatsby
Questione di sguardi. Uno beffardo e implacabile, l’altro disperato e sognante. Due espressioni opposte, dipinte sul volto dello stesso interprete, filmate da autori immaginifici e visionari, in due dei film più attesi dell’anno. Sulla faccia di Leonardo DiCaprio, divo fra i più divi del globo, scorreranno, nelle prossime settimane, le emozioni legate a due storie profondamente americane, quasi le due facce della stessa medaglia.
In «.Django Unchained» di Quentin Tarantino (dal 17 nelle sale) Di Caprio è Calvin Candle, feroce proprietario della piantagione dove vive la schiava Broomhilda, moglie di Django che, dopo essersi liberato dalle sue catene, è deciso di riaverla. L’idea di immergere il tema cupo dello schiavismo nell’atmosfera epico-eroica del western è già di per sè una provocazione, e il bello è che Tarantino l’ha sviluppata partendo dal desiderio di rendere omaggio a «Django» di Sergio Corbucci, titolo di punta di uno dei filoni più bistrattati del cinema italiano Anni Sessanta.
Nel « Grande Gatsby» in 3D (uscita prevista nel mese di maggio), regia dell’australiano Baz Luhrmann, DiCaprio indosserà gli smoking impeccabili del protagonista, malinconico simbolo delsogno americano infranto, in mezzo al clamore dei ruggenti Anni Venti. Quarta trasposizione sullo schermo del celeberrimo romanzo di Scott Fitzgerald, costata cifre leggendarie tipo 127 milioni di dollari (più i discussi sforamenti di budget), attesa per Natale e poi slittata, si dice anche per via delle manie perfezioniste dell’autore, la pellicola segna un passaggio di testimone.
L’ultimo ad aver indossato sul grande schermo il candido completo di Gatsby è stato Robert Redford, Di Caprio ne raccoglie in qualche modo l’eredità diventando ufficialmente il bello con l’anima dei tormentosi Duemila. Se sarà una promozione o una maledizione lo deciderà il pubblico del mondo. Per l’attore, che non è ancora riuscito a mettere le mani sull’Oscar, nonostante la lunga galleria di prove importanti, registi famosi, trasformazioni stupefacenti, si apre la scommessa. Riuscirà, finalmente, con due personaggi così forti, densi e romantici, a convincere i membri dell’Academy?
Al suo fianco, nell’universo tarantiniano, si muovono Christoph Waltz nei panni del dentista e cacciatore di taglie tedesco King Schultz (i due insieme hanno già ricevuto la candidatura ai Golden Globe) , Jamie Foxx, che è Django, Kerry Washington, sua moglie, e Franco Nero, protagonista nel 1966 del film di Corbucci, qui in un cameo che è insieme citazione e onore al merito. Si sa che DiCaprio , contattato per la parte del cattivo nel giugno del 2011, ha firmato il contratto dopo soli sei giorni e si sa che l’attesa per il film , girato in California, in parte sugli stessi set utilizzati per le riprese della serie tv «Deadwood», è spasmodica: «Più che un western - ha spiegato l’attore - questo è un film che esplora l’animo umano, la nostra capacità innata di amare e lottare per il bene insieme a quella di fare la guerra e distruggere».
Lo stesso contrasto anima, in fondo, i personaggi del carosello indiavolato di Baz Luhrman, un universo fatto di apparenze scintillanti e tragici peccati, leggerezze fatali e traffici loschi. Guidano le danze, accanto al miliardario Gatsby, perso dietro l’illusione di rivivere un passato irripetibile, Carey Mulligan, languida Daisy splendente di paillettes, Joel Edgerton, suo marito Tom Buchanan e Tobey Maguire, l’aspirante scrittore Nick Carraway che racconta la parabola del protagonista in un misto di rimpianto, stupore e delusione: «Non sapeva - dice parlando di Gatsby - che il sogno era già alle sue spalle... credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggiava davanti a noi...».
In quel tempo drogato e febbrile, l’amore di Gatsby e l’indifferenza di Daisy sono destinati a scivolare via come i fiumi di champagne nelle feste folli della New York del 1922: «Fitzgerald- ha spiegato Luhrman - descrive quell’epoca come un’orgia continua a base di alcool e denaro. Poi è arrivata la crisi del ’29 e tutto si è spento. La gente ha provato vergogna per gli eccessi di pochi anni prima. Vi ricorda qualcosa? Io credo che quel periodo sia particolarmente vicino e simile al nostro». Secondo il regista DiCaprio era l’interprete più adatto a rendere quel misto di superbia e tormento interiore che caratterizza il personaggio di Fitzgerald. L’ultima sfida vinta dal ragazzino coraggioso di «Titanic».



di Fulvia Caprara
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