Il paradosso delle tasse

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Etrusco
00sabato 16 gennaio 2010 14:28
Rivoluzione mancata del PdL: 1994-2011, promesse tradite sulle Tasse

In materia di tasse Silvio Berlusconi ha un grande merito e un altrettanto grande demerito.

Il merito
è che la questione della riduzione drastica delle tasse entrò nella agenda italiana grazie a lui. Ai tempi della Prima Repubblica il tema era tabù. La Lega di Bossi, è vero, ne aveva parlato prima ma, in quel caso, le tasse erano solo un elemento fra gli altri entro la cornice del rivendicazionismo identitario-territoriale.

Il demerito di Berlusconi è di non avere dato seguito alla promessa.

Sergio Rizzo ( Corriere, 11 gennaio) ha ricostruito in modo esauriente la
"Storia degli annunci e delle promesse tradite sulle tasse".


Per arrivare a oggi,
quando nel giro di pochi giorni Berlusconi ha rilanciato il vecchio progetto delle 2 sole aliquote per poi subito accantonarlo.

L’occasione mancata risale al governo Berlusconi del 2001-2006.

Si andò vicino al traguardo con la legge delega, predisposta da Giulio Tremonti, che introduceva le due aliquote.
Poi i contrasti nella maggioranza bloccarono il progetto.
Berlusconi non fu capace di imporre ai suoi alleati una riforma su cui si giocava l’identità politica sua e di Forza Italia.
Perché ora dovremmo credere che la grande riforma fiscale si farà, se non venne fatta allora, in un’epoca di espansione economica internazionale?

Il paradosso delle tasse può essere così riassunto:
la storia di un quindicennio mostra che Berlusconi è inaffidabile quando promette la riforma fiscale.

Al tempo stesso, c’è la quasi certezza che se la riforma non verrà fatta da lui non verrà fatta da nessun altro.
Non dal centrosinistra che sulle tasse ha ereditato gli atteggiamenti della classe politica della Prima Repubblica
e che, per cultura, e per gli interessi della sua constituency elettorale, è ostile a riduzioni generalizzate della pressione fiscale.
Ma nemmeno dal centrodestra, nel quale, tolta la componente di Forza Italia (e neppure tutta) del Pdl, sono presenti tanti politici che sulle tasse non hanno mai condiviso fino in fondo le idee (o i sogni?) di Berlusconi. .

Certo, per ridurre le tasse occorre prima tagliare la spesa pubblica (campa cavallo).
Oppure, come sostiene il «partito liberista» (da Antonio Martino a Oscar Giannino, ad Alberto Mingardi), occorre rovesciare le priorità: fare in modo che sia una drastica riduzione delle tasse a imporre la contrazione della spesa pubblica.
Ci sono nodi tecnici da sciogliere, e conti da far quadrare, come il ministro Tremonti ricorda.
Ma ci sono anche nodi politici.
Ridurre le tasse significa destabilizzare clientele e corporazioni che vivono di spesa pubblica,
colpire gli interessi cresciuti al riparo di un’alta fiscalità.
E favorire cambiamenti di mentalità, fare accettare anche nelle aree del Paese che non ci credono l’idea che un livello troppo alto di tassazione sia un indicatore della scarsa libertà dei cittadini.
Con lodi o biasimi, a seconda degli orientamenti, gli ultimi decenni verranno ricordati nei libri di storia come quelli della «era Berlusconi».
Ma se Berlusconi non riuscirà a rivoluzionare il fisco,
nemmeno il più benevolo degli storici vi aggiungerà mai la parola «liberale».
[SM=x44522]

Fonte: Corriere della Sera - Angelo Panebianco
16 gennaio 2010

Etrusco
00sabato 16 gennaio 2010 15:02
ALIQUOTE E POLITICA
1994-2010, promesse tradite sulle tasse
Due decenni di amnesie, dal contratto con gli italiani agli stop dell’Ulivo


In Principio era l’aliquota unica.
Succedeva nel 1994
, quando Silvio Berlusconi si apprestava a vincere le prime elezioni
politiche e il suo guru fiscale si chiamava Antonio Martino, economista liberal della scuola di Chicago.
Che per la campagna elettorale tirò fuori l’asso nella manica; la Flat Tax.
Ovvero, un’aliquota unica Irpef del 33% per tutti i contribuenti.



«Tutti pagheranno meno tasse e i poveri saranno esentati», spiegò al giornalista del Corriere Dino Vaiano.
Giulio Tremonti, allora candidato dei pattisti, lo stroncò:
«Miracolismo finanziario».
Una volta arrivato al governo, Berlusconi spedì prontamente Tremonti (nel frattempo passato con Forza Italia) alle Finanze,
Martino alla Farnesina
e l’aliquota unica nel dimenticatoio.

[SM=x44522]


Poi le aliquote diventarono due: 23% e 33%.
Berlusconi prese l’impegno solennemente
in televisione davanti a Bruno Vespa, firmando il contratto con gli italiani.

E il superministro dell’Economia Giulio Tremonti si mise d’impegno.
Radioso, il Cavaliere annunciò, presentando la Finanziaria 2003: «La riduzione dell’Irpef partirà dal prossimo anno e riguarderà 28 milioni di italiani».
In effetti il Parlamento approvò una legge delega che prevedeva non soltanto le 2 aliquote, ma pure (qualcuno oggi se lo ricorda?) la famosa «armonizzazione della tassazione delle rendite finanziarie».
Ovvero: meno tasse sui depositi bancari, riducendo quell’indecentemente alto prelievo del 27% sugli interessi già inesistenti dei conti correnti, e aumentando quell’indecentemente bassa imposta del 12,5% sugli investimenti finanziari e le speculazioni di borsa.



Ma come, proprio quella riforma che avrebbe voluto fare in seguito la sinistra radicale
e contro cui il centrodestra invece alzò le barricate?

Proprio quella.
Inutile dire che il 3 maggio del 2005 la legge delega con le due aliquote e l ’«armonizzazione» delle imposte sulle rendite era scaduta senza essere applicata:
il governo non aveva mai fatto i decreti legislativi per attuarla.

E Tremonti ammetteva con onestà:
«L’aumento della tassazione delle rendite finanziarie sarebbe un grave errore anche se ideologicamente condivisibile».

Nel frattempo le aliquote Irpef erano già diventate tre:
23%, 33%, 39%.
Poi quattro:
23%, 33%, 39%, 43%.

Pur riluttante, il successore di Tremonti, Domenico Siniscalco, sottoscrisse una riforma che i colonnelli del centrodestra, alle prese con sondaggi traballanti, giudicavano assolutamente necessaria per risalire nei consensi.
L’Irpef fu rimodulata su quelle quattro aliquote e tagliata di circa 6 miliardi di euro.
I contribuenti esultarono. Ma in compenso vennero investiti da una raffica di aumenti per i bolli e altre imposte marginali.
Mentre Berlusconi insisteva:
«L’anno prossimo aboliremo la quarta aliquota».




L’anno seguente, 2006,
nel programma elettorale della Casa della Libertà spuntò invece il Quoziente Familiare.

«Un padre di famiglia pagherà il 30% in meno di tasse», s’infervorò il Cavaliere. Ma al governo tornarono Romano Prodi e Vincenzo Visco.
Intanto 3 professionisti di Bari avevano promosso una causa civile contro Berlusconi per non aver onorato il contratto con gli italiani. [SM=x44452]
Risarcimento preteso: la differenza delle tasse pagate e quelle che avrebbero invece pagato se fossero state rispettate le promesse. [SM=x44493]
Già, le promesse.
Non c’è stato un governo che le abbia rispettate tutte fino in fondo. Prodi, per esempio, ha tagliato il cuneo fiscale alle imprese, come chiedeva la Confindustria di Luca Cordero di Montezemolo. Ma nella breve storia del suo ultimo esecutivo non c’è traccia di quel «grande e sostanziale calo delle imposte per i lavoratori con reddito medio basso e per le famiglie con i figli» che aveva trionfalmente presentato come imminente nella conferenza stampa di fine 2007. C’è invece, eccome, traccia di un inasprimento fiscale per i redditi meno bassi, attuato dopo che lo stesso Prodi aveva dichiarato: «Non si aumentano le imposte per diminuire il cuneo fiscale».
I leader del centrodestra ringhiarono furiosamente contro quella manovra.
Salvo lasciare, una volta tornati al governo, tutto esattamente com’era. Abolendo però come promesso, va riconosciuto, l’Ici sulla prima casa.

Qualcuno ha invece notizie del Quoziente Familiare
(cioè un sistema fiscale basato sulla tassazione del reddito della famiglia diviso per i componenti del nucleo),
di cui Berlusconi ogni tanto parla?
«Introdurremo il Quoziente Familiare prendendo le risorse dall’evasione fiscale», ha promesso di nuovo il 16 marzo 2008.
20 giorni più tardi:
«Porteremo l’aliquota massima al 33%
, con le risorse che verranno dalla cura in profondità che attueremo per diminuire i costi dello Stato».
Nell’attesa sono arrivati il 3° e il 4° scudo fiscale.
Nonostante Berlusconi e Tremonti avessero proclamato prima delle ultime elezioni: «Basta con i condoni».
E nonostante da 10 anni ormai sia stata dichiarata guerra all’IRAP («Quella tassa farà una brutta fine», sparò il Cavaliere l’8 maggio del 2001 ancora a Porta a Porta), quella imposta sopravvive imperterrita.



Non resta, a questo punto, che sperare almeno nella
cancellazione del Bollo per l’Auto, le moto e i motorini:
l’ultima promessa che Berlusconi ha fatto in campagna elettorale.

Incrociamo le dita. [SM=x44465]

Fonte: Corriere della Sera - Sergio Rizzo
11 gennaio 2010



Etrusco
00giovedì 17 novembre 2011 17:52

Il risanamento

Dossier casa, il ritorno dell'ICI e tasse più alte per chi possiede più immobili

Si pensa di portare in cassa circa 10 miliardi l'anno (contro i 3,5 certificati da Giulio Tremonti). Le ipotesi


ROMA - Il ritorno dell'Ici, la tassa sulla prima casa abolita parzialmente da Prodi e poi da Berlusconi nel 2008, è quasi sicuro, magari sotto forma di anticipo dell'IMU, l'imposta municipale unica prevista dal federalismo fiscale. E forse sarà rafforzata sia aggiornando le rendite catastali ferme a 15 anni fa sia aumentandola in modo progressivo in rapporto al numero di appartamenti posseduti.

Quindi andando oltre il concetto della prima casa, pensando di portare in cassa circa 10 miliardi l'anno (contro i 3,5 certificati da Giulio Tremonti per la vecchia Ici) che andrebbe a compensare l'introduzione della cedolare secca per gli affitti introdotta l'anno scorso a tutto vantaggio dei proprietari. A seguire il governo Monti potrebbe introdurre la Patrimoniale su rendite, contanti, azioni, fondi e obbligazioni - molti i progetti in campo da versioni soft a stangate in grado di ridurre il debito pubblico di un quarto - una condizione pregiudiziale per conquistare il consenso sindacale e passare a toccare le pensioni e il mercato del lavoro. Uno snodo importante che Monti e Corrado Passera vogliono risolvere aprendo un tavolo con sindacati e imprenditori.

La logica con cui si muove Palazzo Chigi è quella dell'«azzeramento del deficit, riavvio della crescita e riduzione del debito» come spiegava l'allora numero uno di Intesa durante i lavori del workshop Ambrosetti a settembre. Utilizzando l'esperienza del nuovo ministro per i Rapporti col Parlamento Piero Giarda, nei prossimi giorni partirà una sorta di due diligence sull'effettivo stato del federalismo. Poi si passerà alle dismissioni del patrimonio immobiliare dello Stato, alla privatizzazione e liberalizzazione delle società controllate dagli enti locali come da anni chiede Confindustria. Altro capitolo centrale sarà quello della deregulation su molti settori finora poco esposti alla concorrenza come gli ordini professionali, le reti dei servizi tra cui i distributori dei carburanti, quella del gas, i trasporti regionali. Molti i dossier pronti ma semplicemente bloccati dalla rissosità del vecchio esecutivo.

Roberto Bagnoli per il Corriere della Sera 17 novembre 2011 | 9:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Etrusco
00domenica 4 dicembre 2011 16:45


I ticket sanitari -  possibile un tributo sui ricoveri

Ceto medio dal ritorno dell'ICI ai ritocchi Irpef Così l'effetto manovra sulle famiglie

 l'aumento di 2 punti, potrebbe concentrarsi sull'aliquota del 43% per redditi oltre 75 mila €


 

A poche ore dal varo della manovra di bilancio, che forse vedrà la luce stasera stessa a mercati chiusi, c'è ancora incertezza sui contenuti. Tra le novità dell'ultima ora, in attesa però di conferma, ci sarebbe anche un inasprimento di due punti dell'aliquota Irpef del 43%, con un'escalation che finirebbe per aggiungersi all'incremento sostanzioso dell'imposizione immobiliare, ormai dato per sicuro. Appare invece tramontata l'ipotesi di una manovra di analoga entità anche sullo scaglione inferiore, quello del 41% che riguarda i redditi tra i 55 e i 75 mila euro. Una scelta probabilmente indotta da considerazioni di buon senso: un reddito imponibile da 75 mila euro lordi in apparenza farebbe pensare alla possibilità di un tenore di vita da benestante, ma già con gli scaglioni attuali in una città come Roma, tenendo conto delle addizionali comunale e regionale, comporta il pagamento di circa 27.200 euro di imposte. Significa che al netto di euro ne rimangono meno di 48 mila: se si ha famiglia e un affitto da pagare si tira avanti decorosamente ma certo non si può fare una vita da nababbi. Se poi non si è in affitto ma si è proprietari di una casa per cui si paga il mutuo peggio ancora: dalla cifra netta che rimane dopo le tasse e dopo le rate del finanziamento bisognerà decurtare anche il costo dell'Ici in arrivo.

Nelle nostre tabelle abbiamo cercato di calcolare che cosa potrebbe succedere ai bilanci familiari con l'aumento delle rendite catastali, il ritorno dell'Ici sulla prima casa e un aumento Irpef limitato allo scaglione oltre i 75 mila euro. Per quanto riguarda le rendite abbiamo presupposto un incremento secco del 15% sugli estimi in vigore mentre per l'Ici abbiamo, forse prudenzialmente, ipotizzato che sulla prima casa venga applicata un'aliquota pari alla metà di quella prevista per l'Imu (l'Imposta municipale unica che entrerà in vigore nel 2013) e per le seconde case invece l'aliquota intera, pari, salvo possibilità di aggiustamenti a livello municipale, al 7,6 per mille sul valore catastale.

Abbiamo considerato cinque profili di contribuente e cercato di calcolare di quanto bisognerà diminuire il Pil familiare per far crescere le entrate dello Stato. Nel computo delle tasse di Milano abbiamo tenuto conto dell'addizionale comunale dello 0,2%, che sarà introdotta a partire dal prossimo anno.

Partendo dal primo caso dei nostri esempi, dove si prevede un contribuente con 60 mila euro lordi e una sola casa, il maggiore esborso annuo sarebbe ipotizzabile in 537 euro a Roma e 557 a Milano, in termini reali, cioè di disponibilità effettiva di reddito spendibile, significa perdere l'1,3% a Milano e l'1,1% a Roma, questo perché al netto delle tasse con le regole in vigore oggi 60 mila euro diventano 41.055 netti nella metropoli lombarda e 40.242 nella Capitale. Se si introducessero le aliquote della nostra simulazione il reddito netto scenderebbe rispettivamente a 40.498 e a 39.805 euro.

Seguendo la stessa metodologia di calcolo, nel secondo esempio, che presuppone un reddito lordo da 80 mila euro e il possesso di una seconda casa, il maggior carico fiscale si tradurrebbe in una diminuzione di reddito di 1.046 euro nella metropoli lombarda e di 884 nella Capitale. Rispetto al 2011 le disponibilità in termini reali scenderebbero del 2,1% e dell'1,8%. I medesimi calcoli effettuati sulle altre ipotesi che abbiamo fatto danno come risultato una diminuzione media di circa il 2% (2,2% a Milano, 1,9% a Roma) nel caso del pensionato con 50 mila euro di reddito e una seconda casa mentre sul reddito da 30 mila euro del quarto scenario il calo è limitato all'1,1% in entrambe le città ed è tutto dovuto al peso dell'Ici.

Il quinto esempio grafico merita un discorso a parte: abbiamo ipotizzato un contribuente con 150 mila euro di reddito dichiarato e due belle case oltre a una barca di 12 metri, un bene che potrebbe rientrare tra quelli su cui saranno introdotte nuove tasse. Qui la percentuale di perdita di reddito tocca il 4,8% a Milano e a Roma il 4,7% ma in realtà è molto più sopportabile perché non intacca in termini sostanziali il tenore di vita.

Il nostro calcolo dell'imposta sulla barca in assenza di elementi certi è arbitrario e potrebbe risultare molto diverso dalla realtà, ma la cifra che abbiamo ipotizzato non è messa a caso: per quanto è dato sapere il nuovo tributo sulla nautica non dovrebbe colpire la barca in sé ma il suo stazionamento. Fino al 2000 esisteva un'apposita imposta, tarata sulla lunghezza del natante; abbiamo preso i valori in vigore fino all'abolizione e li abbiamo incrementati del 26%, pari all'inflazione di periodo.

Non abbiamo invece considerato nella nostra analisi, per l'impossibilità di dare numeri sostenibili, un altro aggravio che colpirà presumibilmente le famiglie: i nuovi ticket sanitari. Si è fatta l'ipotesi ad esempio di introdurre un tributo sui ricoveri (le ipotesi sono di 10 euro al giorno) e di incrementare quelli sulle prestazioni ambulatoriali, di pronto soccorso e farmaceutiche, che peraltro le Regioni in ordine sparso hanno già provveduto a inasprire sostanziosamente nell'ultimo anno. In questo caso la stangata finirebbe per colpire soprattutto chi non ha un reddito tanto basso per avere diritto all'esenzione né tanto alto da poter fare fronte senza problemi a nuovi balzelli. O bypassarli, rivolgendosi ai privati.

Corriere della Sera - Gino Pagliuca 4 dicembre 2011 
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