Jim Clark, un fenomeno. L'addio quarant'anni fa
Il 7 aprile 1968, durante una corsa di F.2 a Hockenheim, perdeva la vita uno dei più grandi piloti mai visti in F.1. Dai Mondiali e gli altri successi conquistati con la Lotus alle sue imprese esaltanti
Jim Clark in trionfo a Monza dopo l'arrivo del GP d'Italia 1967
MILANO, 7 aprile 2008 - E' stato uno dei piloti più forti visti in F.1, a detta di molti il più forte di tutti, compresi Senna e Schumacher. Se n'è andato quarant'anni fa esatti, il 7 aprile 1968, durante una gara di F.2 sul circuito di Hockenheim. Ma il ricordo di Jim Clark, tra gli appassionati, è ancora vivissimo.
CONQUISTE - Nato a Kilmany, Fife, in Scozia, il 4 marzo 1936, Jim disputò la sua prima corsa in automobile nel 1956 e quattro anni dopo era già in F.1, notato dall'occhio lungimirante di Colin Chapman, patron della Lotus. L'esordio, nel GP d'Olanda 1960 concluso con un ritiro, segnò l'inizio di un legame con il team inglese interrotto solo dalla sua scomparsa. Insieme, Clark e la Lotus, conquistarono due Mondiali di F.1 (nel 1963 e 1965), 25 vittorie, 33 pole. In più, impresa notevolissima per quegli anni, la 500 Miglia di Indianapolis edizione 1965.
IMPRESE - Ma non sono solo i risultati a raccontare Clark. Perché a rendere indimenticabile lo scozzese sono stati il suo stile di guida, la sua classe e semplicità fuori dall'abitacolo e certe imprese straordinarie come quella nel GP d'Italia 1967. Partito in pole, era in testa quando fu vittima di una fortatura. La sosta ai box gli fece perdere un giro e lui iniziò una rimonta incredibile che gli permise di recuperare il giro perso e andare addrittura al comando, prima di rimanere senza benzina all'inizio dell'ultimo giro. Finì terzo, ma il pubblico lo portò in trionfo come se avesse vinto.
TRAGEDIA - Fu estremamente beffardo, per un asso del suo calibro, trovare la morte in una corsa per lui minore come quella in programma in Germania quel giorno. Al quinto giro, con la sua Lotus F.2 a metà gruppo, uscì di pista e finì tra gli alberi che costeggiavano il circuito morendo sul colpo. Non ci furono testimoni ma le cause puntarono subito a un guasto, della vettura o - più probabilmente - di un pneumatico. Restò lo sgomento enorme, anche quello dei colleghi che credevano impossibile potesse capitare al più bravo di tutti.
Gianluca Gasparini per
gazzetta.it