Salta il taglio delle mini-province L'opposizione: "Un balletto ridicolo"
Soppresso l’articolo della carta delle autonomie che prevedeva la cancellazione di quattro enti
ROMA
Dietrofront di maggioranza e governo sul taglio delle “mini-province” ventilato in manovra e poi entrato nel ddl sulla Carta delle Autonomie ma con una serie di “paletti” per cui la “tagliola”, alla fine, ne avrebbe colpite solo quattro. L’impatto dell’intervento, si spiega dal governo, sarebbe stato dunque minimo, di qui la decisione di stralciare la misura con un emendamento soppressivo del relatore al provvedimento, Donato Bruno (Pdl). Ieri anche il leader della Lega Umberto Bossi aveva in osservato che di fatto l’intervento non serviva a niente.
Ma l’opposizione ha gioco facile ad attaccare un balletto definito quantomeno «ridicolo». Mentre i finiani preannunciano un emendamento alla manovra per la soppressione di quelle sotto i 400mila abitanti con il vice capogruppo del Pdl alla Camera, Italo Bocchino, che sottolinea che sulla vicenda «il Pdl non ha fatto una bella figura».
Intanto, in ogni caso, stappa una bottiglia il sindaco di Fermo, Saturnino Di Ruscio del Pdl («la nostra volontà è stata ascoltata») e festeggia anche il collega di partito vicepresidente della regione Piemonte, Roberto Rosso, per il salvataggio in corner di Vercelli («grazie per la sensibilità dimostrata»). Così come il presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione che parla di una «scelta molto saggia».
Il taglio entrato e poi uscito dal Codice delle Autonomie avrebbe avuto effetto solo su queste due province, insieme a quelle di Vibo Valentia e Isernia. Rispetto all’ipotesi uscita dalla manovra, infatti, la soglia minima per una provincia era stata abbassata da 250mila a 200mila abitanti. Non solo, province come Rieti o Biella, erano state “graziate” perchè per quelle a prevalente conformazione montana il tetto veniva abbassato a 150 mila abitanti.
A conti fatti, come spiega il sottosegretario alle Riforme Aldo Brancher «il relatore, dai calcoli sulla normativa vigente si è reso conto che il taglio si sarebbe ridotto a un numero molto ristretto di province per cui, di fatto, non aveva un forte significato mantenere questa norma».
Di qui L’emendamento di Bruno, con il quale dal ddl è stato stralciato l’intero articolo 14 riguardante, appunto, il riordino delle province. «Vicenda ridicola», dice il capogruppo del Pd in commissione Affari Costituzionali alla Camera, Gianclaudio Bressa, eppure conclusasi bene visto che «a nostro avviso il taglio delle province fatto in questo modo lede l’articolo 133 della Costituzione».
«È dimostrato che era un bluff», concorda il centrista Amedeo Ciccanti. «Anche il taglio delle mini-province - attacca il capogruppo Idv alla Camera, Massimo Donadi - si conclude, com’era prevedibile, nell’ennesima buffonata». Bruno si è riservato, in ogni caso, un’ulteriore riflessione sulla questione in vista dell’Aula dove il testo approderà lunedì prossimo e dato che, come spiega il sottosegretario all’Interno Michelino Davico, «ci sono anche altri nodi da sciogliere». Tra questi quello della possibilità prevista nel testo per un presidente di Regione di affiancarsi, per le funzioni istituzionali, un magistrato ordinario, amministrativo o contabile o un avvocato dello Stato collocato fuori ruolo sulla quale, vista la carenza di organico nella magistratura, la commissione Giustizia della Camera ha posto un “paletto”. Lunedì il testo sarà all’esame della Camera per la discussione generale.
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Ecco, avevo pochi dubbi...