Mante, balene e squali elefante i giganti buoni del Mediterraneo

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killing zoe
00martedì 7 agosto 2012 22:24
"Camminate in un bosco e vi trovate di fronte un cervo o un capriolo: cerchereste per caso di catturarlo? Di toccarlo? Provereste mai a portarvelo a casa?": il biologo marino Leonardo Tunesi, capo del dipartimento Tutela degli habitat e della biodiversità dell'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale), è preoccupato. Qualche giorno fa nelle acque liguri è stata avvistata una manta Mobula mobular (Bonnaterre, 1788), animale marino che nuota con l'eleganza di un albatro, splendido, rarissimo. Da non avvicinare, toccare o molestare per nessun motivo. E lui teme che a qualche animalista venga in mente di "proteggerlo", catturandolo e rilasciandolo più a largo.
"Spesso si pensa che un pesce così, che si avvicina alla costa, sia malato, che abbia perso l'orientamento, che abbia bisogno di essere preso e portato altrove. Ma le mante sono presenti in tutto il Mediterraneo ed è normale che talvolta si spingano vicino alla costa. Catturarne una può significare ferirla. Siamo noi gli intrusi del mare, non loro". Mantenere la calma di fronte al "diavolo del mare" e ai suoi 7 metri di lunghezza non è facilissimo, ma la manta si nutre di plancton, è innocua per l'uomo e l'aculeo che ha sul dorso, alla base della coda, serve solo a scopo difensivo, quindi se tu non dai fastidio a lei, lei non darà mai fastidio a te.
"L'avvicinamento di questi animali alla costa è sempre un fatto positivo - spiega l'esperto - perché sono dei filtratori e, se si spingono fin qua, è perché le acque sono pulite. L'importante è non farsi prendere né dal panico né da manie interventiste: la cosa migliore è rispettarli". La manta è protetta e listata sia nell'appendice 2 della Convenzione di Berna, sia nell'allegato II del Protocollo SPA/BIO della Convenzione di Barcellona, ed è considerata una specie vulnerabile. Ecco perché i ricercatori dell'Ispra ricordano ai bagnanti, alla popolazione e a tutti coloro che dovessero incontrane una che è vietato infastidirla o anche semplicemente toccarla.
Non è la prima volta che un pesce di queste dimensioni viene avvistato nei nostri mari. Le "capatine" dello squalo elefante (Cetorhinus maximus Gunnerus, 1765) sotto costa in Sardegna sono ormai una routine e per quanto anche questo sia innocuo come un pesce rosso (si nutre solo di plancton) può raggiungere pur sempre i 15 metri e nuota con la bocca spalancata. Spettacolo che non si dimentica. Per tutelare il grande migratore, nella lista rossa delle specie a rischio della IUCN (International Union for Conservation of Nature) e spesso vittima di imbarcazioni, eliche o reti da pesca, in Sardegna è partita l' "operazione squalo elefante", la prima ricerca "sul campo" nel Mediterraneo.
Poche settimane fa nelle acque a largo del tarantino è stato anche avvistato uno squalo grigio. "Non c'è nessun rischio. Anzi - spiega Silvio Greco, biologo marino - siamo noi che mettiamo paura a loro. Li abbiamo decimati e li stiamo cancellando. Gli italiani sono tra i più grandi consumatori di carne di squalo nel Mediterraneo: è tra le prime 10 razze di pesce che mangiamo". Per Greco la presenza dei pesci più antichi del Pianeta nelle acque del Mediterraneo è ovviamente una buona notizia, anche perchè si tratta di predatori che stanno all'apice della catena alimentare marina e ne regolano l'equilibrio. Eppure, tutte le volte che viene individuato uno squalo bianco (uno degli ultimi casi al largo dell'isola di Capraia, l'anno scorso), le parole d'ordine sono allarmismo e terrore.
Altro gigante che popola la fascia circumtropicale dei mari del globo e spesso viene avvistato dai nostri bagnanti è la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea Vandelli, 1761), la più grande tra quelle marine: il suo problema è che si nutre di meduse e che spesso queste somigliano alle buste di plastica che noi gettiamo in mare. Dopo un tot di sacchetti ingeriti per sbaglio, il coriaceo rettile, per occlusione del sistema gastro-intestinale, muore, e non è raro trovare enormi esemplari spiaggiati lungo la costa. L'ultima carcassa, di 200 chili, è stata raccolta quest'anno a "Su Pallosu", nella costa di San Vero Milis, in provincia di Oristano.
Poche settimane fa, al largo della costa nord-orientale della Sardegna, il gruppo ricerche cetacei dell'università di Sassari ha anche avvistato un rarissimo esemplare di delfino mesoplodonte. "Un evento inaspettato - ha riferito l'Ente Parco la Maddalena - :le segnalazioni ufficiali di mesoplodonte nella storia del Mediterraneo sono quattro, di cui tre ascrivibili ad esemplari morti nel corso di spiaggiamento".
Quest'anno è iniziata con una sorpresa anche la terza giornata di monitoraggio del progetto Sardegna Nord Cetacei 2012: dopo dieci ore di navigazione tra Santa Teresa di Gallura e Castelsardo, i ricercatori di veterinaria di Sassari hanno avvistato una cinquantina di esemplari di delfino comune (Delphinus delphis Linnaeus, 1758), ormai praticamente scomparsi nel mar Tirreno e a rischio in tutto il Mediterraneo. "Questo animale era presente nelle acque della Sardegna cinquant'anni fa, allora forse era una delle specie più diffuse - spiega il coordinatore della campagna di ricerca, Andrea Rotta - ma negli ultimi decenni è scomparso quasi totalmente a causa di inquinamento, sovrapesca, scarse risorse alimentari. Le osservazioni in mare aperto sono rarissime".
E poi ci sono i giganti per eccellenza, le balene: ben 30 balenotte comuni sono state viste all'inizio dell'estate a meno di un miglio da Lampedusa. La Balaenoptera Physalus è il più grande cetaceo del Mediterraneo e il secondo al mondo. L'università di Scienze Gastronomiche e Slow Food da anni lavorano su questi hotspot di biodiversità marina organizzando stage per studenti e sensibilizzando le comunità di pescatori. L'edizione dei corsi del 2013 rilancerà il tema delle aree marine protette che, lungi dall'essere ridimensionate, dovrebbero riacquisire centralità. Per permettere a questi esseri imponenti e fragilissimi di tornare ad esser padroni del proprio habitat.



di SARA FICOCELLI
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