Ministero Difesa: Forze Armate criticano gestione La Russa

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Etrusco
00sabato 15 gennaio 2011 12:54
distonie tra generali e Ministro (distratto dal PdL)
Etrusco
00sabato 15 gennaio 2011 13:35
in News Analysis
8 gennaio 2011

Parisi: i militari? Mai nascosto nulla

La brutta figura del Ministro della difesa sull’Afghanistan, le critiche delle forze armate.

Dopo il ministro della giustizia nemico dei magistrati, è arrivato il ministro della difesa che attacca i militari. La sortita di Ignazio La Russa ha dell’incredibile e non manca chi, persino nell’entourage del premier, attribuisce la scivolata e l’obbligata retromarcia del titolare della difesa ai suoi improvvisi e frequenti sbalzi di umore.
Così, di fronte alla morte di Matteo Miotto in Afghanistan, La Russa si è prodotto in una molteplice capriola: prima si è affrettato a dare una versione dell’accaduto ipersintetica e poco dettagliata; poi si è arrabbiato con i militari (quali? a che livello?) ritenendo che ci fosse stato del dolo nell’incompletezza e nel ritardo con cui gli era stata fornita la verità; infine, ha convocato la stampa per smentire se stesso e le accuse che aveva lanciato due giorni prima: «Non ho mai pronunciato il termine “rabbia” – ha detto ieri – semmai ero arrabbiato, dispiaciuto con me stesso per non essere riuscito a fornire, prima di tutto alla famiglia Miotto, tutte le informazioni relative all’uccisione di Matteo.
Nessuno ha mentito al ministro». Alle forze armate, sentimenti di «fiducia, stima, gratitudine». All’s well that ends well. E speriamo che i militari non se la prendano troppo. Perché il La Russa fuori controllo dell’Epifania non ci era andato leggero con i giudizi, aveva parlato di «vecchio metodo» in uso nei passati esecutivi, «forse perfino nel governo Berlusconi, sicuramente nel governo Prodi», quello di «indorare la pillola».

A.Parisi:«La mia esperienza alla Difesa è stata quella di un rapporto assolutamente leale; devo ritenere che non mi sia stato nascosto nulla. E sempre tutto ho puntualmente trasmesso al parlamento » dice a Europa l’ex ministro Arturo Parisi, amatissimo predecessore di La Russa, pur non essendosi mai presentato nei teatri di missione travestito da soldato in armi, a conferma dell’arcinoto proverbio che vuole che non sia l’abito a fare il monaco.
La sua sintonia con il mondo militare è stata profonda, pari soltanto a quella di Nino Andreatta, alla Difesa nel Prodi 1. «I due migliori ministri, perché avevano visione» osserva oggi un alto ufficiale dell’esercito. «In 23 anni di attività come addetto stampa non ho mai “indorato” alcuna pillola» afferma il colonnello Gianfranco Scalas, veterano di missioni compiute con governi di ogni colore («un vero soldato» disse di lui Andreatta).
Era a Nassiriya la mattina del 12 novembre 2003, quando un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti alla base Msu (Multinational Specialized Unit) dei carabinieri: morirono 19 italiani e 9 iracheni e molti furono i feriti. Toccò a Scalas gestire la comunicazione di quella tragedia, anche nelle radio e nelle televisioni. Alle spalle aveva l’esperienza di Somalia, Bosnia, Albania, Kosovo. La sua impressione su quanto accaduto oggi è netta: «I militari hanno imparato da tempo che non serve a nulla nascondere. Figuriamoci, poi, nell’era di internet.
Noi eravamo addestrati a dare le notizie dal “teatro” di missione, quando in Kosovo avvenne un suicidio lo dissi subito. In Somalia, durante l’assalto all’ambasciata, Carmen Lasorella si trovava lì con noi e fece immediatamente la diretta. Oggi il sistema è irrigidito ed è normale che qualche problema possa crearsi, ma non perché i militari nascondono le notizie. Perché, ad esempio, nelle dirette dall’Afghanistan non si è mai visto l’addetto stampa di Herat?».
Insomma, bisogna dare a La Russa quel che è di La Russa. Compresa l’insoddisfazione profonda, anche se non manifesta data l’abitudine delle forze armate alla discrezione, per un ministro che nei primi mesi del suo mandato preferiva occuparsi del partito, che inventa costose e inutili operazioni di immagine come la mini-naja e non si cura del mancato rinnovo delle divise o degli oltre 10 mila precari Vfb (volontari in ferma breve) il cui futuro è ancora incerto.
Mariantonietta Colimberti per Europa - 8/1/2011

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IL MINISTRO IN MIMETICA CHE HA PERSO LA BUSSOLA 8/1/11

Colloquio col Generale Franco Angioni

Emanuele Giordana

Sabato 8 Gennaio 2011

“Quel che ha fatto il ministro Ignazio La Russa non sta né in cielo né in terra. Qui abbiamo perso la bussola, il senso dello Stato”.

Il Generale Franco Angioni, ex parlamentare, già presidente del Centro alti sudi Difesa e soprattutto comandante della prima vera missione italiana all'estero nel Libano degli anni Ottanta, non usa perifrasi nel commentare la querelle al calor bianco tra l'inquilino di Via XX Settembre e i militari italiani. Accusati da La Russa di avergli detto mezze verità, di aver indorato la pillola, di avergli, in sostanza, mentito. “Prima di dire certe cose bisognerebbe pensarci tre volte anziché scatenare una bufera in un bicchier d'acqua”, sostiene il generale cui si fa risalire la nascita del cosiddetto “approccio italiano, ossia l'attenzione ai diritti delle popolazioni in mezzo alle quali si va in missione
Ma secondo lei come sono andate le cose?
Il quadro è chiaro: Miotto fu colpito da un cecchino che, con buona mira e molta fortuna, lo colpì da una distanza di mille metri e in una situazione in cui c'era uno scontro a fuoco. Ma l'esperienza mi dice che, in situazione come quella - quando viene ferito o ucciso un soldato - le notizie arrivano un po' alla volta e un po' alla volta vanno verificate, confermate, spogliate dall'emozione. La comunicazione di tutti i passaggi ci fu e fu chiara ma se il ministro ritiene che qualcuno gli abbia mentito, delle due l'una: se è vero si solleva immediatamente il Capo di stato maggiore della Difesa. Se invece non è così la sua è stata una vera e propria uscita fuori campo
Con che effetti?
Non so dirle quali possano essere le reazioni degli altri Paesi ma le posso dire cosa vuol dire per i soldati sul campo. In queste missioni ci sono tre elementi chiave per garantire un'effettiva capacità operativa: la motivazione, la preparazione e le risorse. In una parola il morale dei soldati. Ci si può immaginare l'effetto che queste uscite possono avere sul quel morale. Oggi inoltre non è più come anni fa quando, con un esercito di leva, l'indicazione che ci veniva dal Palazzo era quella di gettare acqua sul fuoco, di minimizzare. Oggi non si nasconde più nulla e tanto meno lo fanno i militari col proprio ministro: le comunicazioni sono veloci e continue e gli aggiornamenti costanti. E' una vicenda che amareggia perché con queste affermazioni, con questo scontro, si dimostra semmai che non c'è sintonia tra governo e militari, che ci si trova su altre frequenze e fors'anche che, come Paese, non siamo maturi per affrontare difficoltà in campo internazionale
Diceva che negli altri Paesi...
Dicevo che non so l'effetto che potranno avere le parole del ministro all'estero, anche se poi ha cercato di fare marcia indietro, ma dico che in questi casi si mettono a rischio la reputazione e i valori del proprio Paese. E' grave che si possa ritenere che in Italia tra la politica e le forze armate non ci sia sintonia
Eppure La Russa è un ministro che porta la mimetica...
Non son queste le cose che contano. Un ministro della Difesa non è un buon ministro perché mette la divisa. Questo semmai confonde i ruoli e i soldati lo sanno. Giudicano per quel che dice e fa, non per l'abbigliamento
Ha detto che andavano armati i caccia con le bombe
Un'altra uscita infelice. Noi abbiamo dei limiti che ci sono imposti dai nostri valori, dalla nostra cultura e dalla nostra Costituzione. E' il confine tra un'operazione militare legittima e una rappresaglia. E chiedere il supporto aereo che arriva quando ormai i guerriglieri sono in fuga e restano solo i civili inermi fa sconfinare nella rappresaglia. I nostri militari, anche nei gradi più bassi, lo sanno benissimo


Fonte: Lettera 22 8/1/2011 - ANCHE SU il manifesto

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La Russa o il capo dell’esercito: chi si dimette?

Il Generale Mini: "Inconcepibili due versioni su Miotto".

Il ministro? "Non ho mai visto in tv un uomo delle istituzioni mimare, come un attore di un film di ultima categoria, la ricostruzione di un episodio fatale"

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Fabio Mini si definisce un generale in cosiddetta ‘ausiliaria’. Anche il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, tra due mesi andrà in pensione. “Noi generali – dice Mini – in realtà non andiamo mai in pensione e continuiamo a interessarci del nostro Paese”. Per questo gli chiediamo di dirci a quale versione della morte di Matteo Miotto crede: a quella del ministro La Russa, secondo il quale Miotto è stato ucciso durante una battaglia, o a quella del generale capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, che sostiene che Miotto sia stato ucciso da un cecchino.

Generale, lei che ne pensa?
Camporini ha detto la verità: è stato il ministro La Russa a cambiare versione. Quando ha sostenuto che gli era stata data un’informazione edulcorata. Adesso il ministro la pillola la sta indorando, sostenendo che non voleva dire quello che ha detto, che non prova rabbia per i vertici dell’esercito, bensì stima. Sono boutade che possono avere conseguenze pesantissime sulla sicurezza dei nostri soldati. Non si può giocare sulla pelle dei militari morti e di conseguenza su quella dei vivi.

Generale, la pace è lontana anche tra le istituzioni. La situazione questa volta è “grave ma anche seria” ?
Le accuse che il Ministro della Difesa ha rivolto al capo di Stato maggiore della Difesa hanno un effetto negativo anche sulla situazione interna: squalificano le istituzioni politiche e militari. Questo significa intaccare il tessuto connettivo del Paese. Dopodiché non resta più nulla.

Possibile che La Russa non si renda conto di fare un danno anche a se stesso?
Questi politici sono travolti dal proprio narcisismo.

O dalla propria incompetenza?
Anche. La cosa che mi ha lasciato stupefatto è la versione “romanzata”, divulgata urbi et orbi, dal ministro La Russa, con tanto di interpretazione mimica dell’accaduto. Si capiva molto bene che aveva cambiato la sua versione dei fatti perché influenzato dai colloqui avuti con i soldati dopo essere andato in Afghanistan.

E quindi?
E quindi, a mio avviso, il ministro non dava una nuova versione perché era emersa un’altra verità. Semplicemente gli è piaciuta di più quella dei soldati. Che è sempre meno “banale”, proprio perché enfatizzata, vuoi per spirito di corpo, vuoi per darsi coraggio, vuoi per esorcizzare la morte.

Un ministro che non sa fare la tara tra l’enfasi con cui i soldati raccontano ciò che vivono e i rapporti ufficiali dei vertici delle Forze Armate, non è inadatto a ricoprire questa carica?
Un ministro deve saper fare la tara, soprattutto se è il ministro della Difesa. E deve anche saper distinguere tra i toni dei rapporti ufficiali e i toni da usare quando si deve comunicare con l’opinione pubblica. Un ministro della Difesa deve avere, sempre e comunque, come suoi primi interlocutori i vertici militari, che sono addestrati per interpretare ciò che è accaduto davvero ai soldati sul campo.


Lei è stato a lungo impegnato nei Balcani, ma anche in Cina, negli Stati Uniti, sia in veste di generale sul campo, sia come portavoce e responsabile della comunicazione dei vertici militari. Ha mai assistito a uno scambio di accuse così aspro e frontale tra il ministro della Difesa e il suo capo di Stato maggiore?
No. Non ho mai nemmeno visto in tv un ministro della Difesa mimare come un attore di un film di ultima categoria, la ricostruzione di un episodio fatale che ha coinvolto l’esercito del suo Paese.

Perché, secondo lei?
Intanto perché uno dei due si è sempre dimesso prima di arrivare a tal punto. Secondo perché non si arriva a questo punto: l’insipienza non è prevista per certi ruoli. La malafede magari sì, ma l’incapacità no.

Senta Generale, ma c’è ancora un punto in comune tra il vertice politico e quello militare?
Sì, purtroppo: nessuno dei due dice chiaramente che questa non è una missione di supporto e assistenza all’esercito e alla polizia afghana, altrimenti avremmo mandato sempre più ingegneri e infermieri, invece abbiamo aumentato le forze militari, passando da 9 mila a 140 mila soldati. Questa è una guerra e si va “alla guerra come alla guerra”.

Cioè?
I nostri soldati partecipano a battaglie vere e proprie, le nostre Forze Speciali (sabotatori e incursori), che ubbidiscono direttamente agli ordini della Nato, ogni notte si lanciano dagli elicotteri o marciano per decine di chilometri al buio per infiltrarsi nei territori non ancora controllati. E lo fanno a costo di eliminare tutti gli avversari che incontrano sul loro cammino. In guerra eliminare significa ammazzare.

Stiamo trasgredendo l’articolo 11 della Costituzione?
Far rispettare l’articolo 11 alla lettera (L’Italia ripudia la guerra, ndr) sarebbe ottimo, tuttavia il diritto internazionale, autorizzando l’intervento armato in casi particolari, di fatto permette di aggirare l’articolo 11. Dobbiamo quindi badare alla sostanza, che è quella di far riconoscere a tutti che siamo in guerra, in un teatro di guerra, contro avversari che ci fanno la guerra.

di Roberta Zunini

da Il Fatto Quotidiano dell’8 gennaio 2011
Etrusco
00mercoledì 15 giugno 2011 10:19
Interni

Briatore & Santanchè schifano Scajola e La Russa

14 giugno 2011

Nelle telefonate intercettate tra i due giudizi severi su Scajola e il ministro della Difesa

Sarà anche vero che al telefono si parla in assoluta libertà. Ma forse queste intercettazioni tra Flavio Briatore e Daniela Santanché finiranno per imbarazzare e molto i due astanti e le personalità d’eccezione di cui parlano continuamente. Dopo Berlusconi, infatti, il Fatto Quotidiano, a firma di Antonio Massari, pubblica le parole su Claudio Scajola e Ignazio la Russa:

“Scajola non lo vuole nessuno” Ed ecco cosa pensano Briatore e la Santanché (che non è indagata) del ritorno in campo di Claudio Scajola dopo le vicissitudini giudiziarie che l’hanno portato alle dimissioni. Sebbene non sia mai stato indagato dalla procura di Perugia, nell’inchiesta sui Grandi Eventi e la Protezione Civile, il nome di Scajola è emerso nell’indagine per l’or mai famosa casa al Colosseo, comprata “a sua insaputa”, con i soldi dell’imprenditore Diego Anemone versati dall’architetto Angelo Zampolini.
Briatore. “E poi vedi … io li leggo i giornali … poi adesso Scajola che ritorna … quello che ha venduto il … (incomprensibile) …”
Santanché “Ma figurati! Ma Figurati se Scajola ritorna …”
B. “No, ma … ma non c’è niente da stupirci lì, eh…”
S. “Ma scherzi?! Ma che dici?! Non possiamo farlo! Ma i nostri ci mandano … l’80% della nostra gente non lo vuole …”.

I casini di La Russa

Briatore e la Santanché commentano anche il comportamento del ministro della Difesa Ignazio La Russa. Si riferiscono a 2 situazioni ben precise.

La prima: i calci – ripresi dalle telecamere – che La Russa diede al giornalista di Annozero Corrado Formigli.

La seconda: la seduta sospesa alla Camera, il 30 marzo, alla quale seguirono, fuori da Montecitorio una dura contestazione della gente con lancio di monetine. Il 30 marzo, alla Camera, si discuteva del disegno di legge sulla “prescrizione breve” e la seduta fu sospesa perché il Presidente Gianfranco Fini fu offeso proprio dalle parole, oltre che dai gesti, di La Russa. Mentre la contestazione era in corso, La Russa urlò verso i banchi dell’opposizione, parlando con Dario Franceschini: “Bravo , bravo, bravo”. Fini lo richiamò a essere più “rispettoso verso l’assemblea ” e, per risposta, si vide rifilare un esplicito “vaffa”.

Ben altro senso delle istituzioni dimostra la Santanché, ma solo in privato e al telefono, parlando dell’episodio con Briatore. B. “Sì, ma anche La Russa non può fare questi casini qui …! Io ho visto sul…
S. Ma lui li ha fatti in aula…! Quello è sbagliato! È sbagliato!
B. “eh, ma anche quando dà i calci ai giornalisti … lui non può far…
S. “Ma dai! Non si può!
B. “Ma perché … è proprio … un ministro della Difesa. Io capisco tutto … ma è sempre un’istituzione …! Tu non puoi dare dei calci nelle caviglie alla gente …!
E uscire … quando avete visto quel casino lì voi, perché siete usciti? Dovevate star dentro!
S. “Ma no, io non son mica uscita …! Io stavo entrando per andare a fare il mio dovere …! Io non c’entro niente…! Io mica ero con La Russa!
B. “Ah no, perché… io quando ho letto poi volevo chiamarti, sembrava che tu fossi con La Russa…
S. “Ma figurati! Io ero per i fatti miei, sono uscita dal mio ministero che è di fronte a Montecitorio e andavo a fare il mio dovere…! Io… ma a me manco sapevo … io quando …
B. “Ma La Russa era dentro, è uscito, sapeva che c’era la gente lì davanti, no?
S. “Sì, lui è uscito, ma io non sapevo niente, perché ero al mio ministero a lavorare … io poi sono andata per i fatti miei …”
B. “Ah”.
S. “Io sono entrata, lui è usciva … io non l’ho neanche visto …!”
B. “Ma lui ha cercato lo scontro … perché se lui non usciva non succedeva niente…!”
S. “Sì, sì, ho capito lui … ma io non c’entravo un cazzo! Io mi sono trovata lì nella piazza…”
B. “Sì, ma anche in aula non puoi mandare a fare in culo Fini …! Cioè … adesso, ci sono dei limiti, eh …! Perché ha dato proprio un’immagine non … non felice …
S. “Br utta”.
B. “Br utta”
S. “Molto brutta”.

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Eppure in pubblico la Santanché sul vaffa di La Russa al presidente della Camera commentò così: “Può scappare, La Russa ha già chiesto scusa e Fini ha chiuso i lavori

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