LA METAMORFOSI DEL BISCIONE
– L’OFFENSIVA A TELECOM, LE MANOVRE SUL WEB, LA SFIDA DEI CANALI TEMATICI
– LA TV GENERALISTA È IN CRISI, MEDIASET GUARDA OLTRE E SE TORNA BERLUSCONI VAI CON TELECOM…
Alessandro Longo e Luca Piana per “L’espresso”
Il RE BISCIONE
Si comprerà Telecom Italia, cambiando le leggi che oggi glielo impediscono?
Frenerà l'arrivo di nuovi concorrenti nella televisione digitale?
Ucciderà definitivamente la Rai, limitando il lancio di nuovi canali tematici?
La possibilità di un ritorno di Silvio Berlusconi al governo ha riacceso le speculazioni sulle mosse che il leader del Popolo della Libertà farà nel settore a lui più caro.
Il passato dice infatti che l'identità dell'inquilino di Palazzo Chigi non è indifferente alle sorti di Mediaset, l'azienda televisiva che ha fatto la fortuna di Berlusconi. Se si guarda l'andamento del titolo Mediaset dal 2001 a oggi, si vede che quando Berlusconi era premier si è comportato quasi sempre meglio del listino. Con la vittoria di Romano Prodi del 2006, invece, la situazione si è rovesciata e le azioni della società sono scese vicino a valori minimi.
È chiaro che sulle scelte degli investitori incidono fattori che poco c'entrano con la politica. Allo stesso tempo,
nel settore televisivo, le regole influiscono in modo determinante sui potenziali profitti. E così, se la cosiddetta
legge Gasparri, varata dal governo Berlusconi nel 2004, aveva gonfiato le aspettative sulla crescita del business di Mediaset, la riforma ipotizzata dal nuovo ministro Paolo Gentiloni nel 2006, e finita nel cassetto con la caduta di Prodi, pesava non poco.
Ora il gioco sta per ripartire, come si è visto nella campagna elettorale. Se vincerà Berlusconi, ha annunciato l'ex ministro Maurizio Gasparri, la sua legge subirà "piccole modifiche" per superare la bocciatura da parte della Corte europea, che ha bacchettato l'Italia per aver osteggiato l'ingresso nel settore di nuovi concorrenti, a tutto vantaggio del duopolio Mediaset-Rai, che in questi anni ha infarcito i palinsesti di repliche in prima serata, dai film di Bud Spencer su Retequattro al Commissario Montalbano su RaiUno. Se la spunterà il Partito democratico, invece, parte della riforma Gentiloni potrebbe tornare d'attualità.
Al di là delle schermaglie, tuttavia, anche da un punto di vista industriale Mediaset vive giorni cruciali. In gennaio l'azienda ha lanciato tre nuovi canali, Joi, Mya e Steel, che possono essere visti da chi possiede il decoder pagando un abbonamento mensile da 8 euro. Il piano presentato dal vicepresidente Pier Silvio Berlusconi, è la risposta a una duplice sfida che l'azienda non aveva mai dovuto fronteggiare.
La prima riguarda tutti gli editori tradizionali, carta stampata compresa, ed è rappresentata dal successo del Web come forma d'informazione e intrattenimento. La seconda è costituita dalla fuga del pubblico più pregiato verso i canali a pagamento, resa evidente negli ultimi anni dalla crescita di Sky, la tivù satellitare del gruppo Murdoch, che offre un numero di canali superiore a un prezzo che in media è superiore di quattro, cinque volte quello di Mediaset per Joi, Mya e Steel.
Alcuni numeri aiutano a comprendere la portata dei cambiamenti che Mediaset, con o senza l'aiuto di Berlusconi al governo, dovrà affrontare. Lo Studio Frasi, un centro ricerche specializzato, ha calcolato che
dal 2003 al 2007 la quota di spettatori di Rai e Mediaset è scesa dal 91 all'85,3 per cento del totale. Contemporaneamente, il satellite è più che triplicato, salendo all'8,1 per cento. L'anno scorso l'erosione aveva raggiunto il picco tra gennaio e aprile, con in media mezzo milione di spettatori in meno rispetto al 2006. Ora il crollo si è fermato, ma niente recupero.
Dice Francesco Siliato dello Studio Frasi: "Forse siamo vicini a quello che per ora si può considerare
lo zoccolo duro delle tivù generaliste".
Man mano che satellite e decoder si faranno strada, tuttavia, il nucleo di fedelissimi diminuirà: "E sarà sempre più rappresentato", continua Siliato, "dagli
spettatori che non hanno accesso ad altre forme d'intrattenimento: vuoi per l'età, il reddito inferiore o la bassa scolarità".
Per chi vende pubblicità e punta tutto sui consumi dei propri spettatori, si tratta di uno scenario da incubo. Qualche segnale di difficoltà si può cogliere dall'elaborazione dei dati sulla raccolta pubblicitaria del 2007 rilevati da Nielsen: se il mercato pubblicitario è cresciuto complessivamente del 3,1 per cento rispetto al 2006, il progresso di Mediaset si è arrestato all'1,1 per cento. L'unica consolazione è aver fatto meglio della Rai (ferma al più 0,2 per cento).
Nell'operazione rilancio i fronti aperti per Mediaset sono ora numerosi. Il primo è quello delle
tecnologie utili per raggiungere i clienti del futuro, a cominciare da Internet. È qui che nascono le speculazioni relative all'interesse a entrare nella stanza dei bottoni di Telecom, approfittando dell'attuale debolezza della compagnia e della sua dipendenza dalle decisioni delle autorità di regolamentazione.
Mediaset si è appena ritirata dalla gara per le frequenze WiMax, una tecnologia per realizzare reti di connessione senza fili.
Fonti di Mediaset spiegano che l'interesse dell'azienda era simile a quanto realizzato nei telefonini, dove ha creato una rete per la tivù mobile affittata a Tim e Vodafone. Il ritiro è arrivato perché l'asta aveva raggiunto prezzi troppo elevati, mentre
l'interesse di fondo di Mediaset resta offrire, senza spendere troppo in infrastrutture, i propri programmi via reti ad alta velocità, un mercato finora limitato e dove Sky (in collaborazione con Telecom e Fastweb) è davanti a tutti.
La cautela dell'azienda è forse dettata dall'incertezza sugli effettivi ritorni che mosse molto costose potrebbero generare. Gli esperti, tuttavia, non escludono future sorprese: "Mediaset non può sottovalutare l'importanza delle nuove piattaforme televisive, dal momento che il valore della tivù tradizionale tende a ridursi", dice Franco Morganti di ITMedia Consulting. Di qui l'ipotesi che, se cambieranno gli orientamenti di Telecom sulla separazione della rete telefonica, "Mediaset possa entrarvi in pool con altri operatori", aggiunge Morganti.
Il fronte più vicino, però, è quello della televisione a pagamento. Sulla carta gli orizzonti sono entusiasmanti:
"La penetrazione della pay tv è fortemente legata alla capacità di spesa dei consumatori: se si considera questo fattore, nei prossimi quattro-cinque anni potrebbe raggiungere 9 milioni di famiglie, rispetto ai 4,5 attuali", osserva Marc Vos del Boston Consulting Group. Digitale, spiega Vos, vuol dire più canali (oggi quelli gratuiti e disponibili solo con il decoder sono 28), quindi identificare un pubblico più mirato e molto rilevante dal punto di vista della pubblicità, perché più identificabile per interessi comuni.
Anche qui, però, le difficoltà non mancano. Molti analisti hanno osservato che per avviare la concorrenza a Sky, Mediaset ha dovuto aumentare in misura considerevole gli investimenti in diritti televisivi, comprando ad esempio da Warner e Universal un pacchetto da 600 milioni di dollari in quattro anni che comprende, fra l'altro, la prima visione delle nuove puntate della fortuna serie 'Dr House'. E la banca d'affari JP Morgan, in uno studio recente, ha espresso dubbi sull'obiettivo di Mediaset di raggiungere nel 2010 il pareggio nel digitale.
Il senso della mossa di Mediaset, tuttavia, è forse un altro. Prossimamente, assieme a Rai e La7, dovrà mettere sul mercato il 40 per cento della capacità di trasmissione disponibile sul digitale. E
numerosi gruppi internazionali, a cominciare dalla tedesca Rtl del gruppo Bertelsmann, starebbero studiando lo sbarco in Italia. Come in tutte le norme che riguardano la televisione italiana, anche in questo caso ci sarebbero ostacoli più o meno occulti: "Non è chiaro se questo spazio viene ceduto definitivamente o solo affittato fino a quando, dopo il 2012, tutti i canali passeranno al digitale", dice Siliato.
Chi vuole comprare, insomma, rischia di non saper bene che cosa può comprare. Un tema su cui potrebbe toccare al prossimo governo fare chiarezza.
29 Febbraio 2008
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